Aboliamo il termine libertà
di Pino Tripodi
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Tempo fa, tanto tempo fa, si propose infruttuosamente di abolire la parola popolo dal dizionario degli antinazionalisti. Con esito certamente identico si proporrà di seguito, per ambienti magari anche più circoscritti, l’abolizione della parola libertà o quantomeno l’essere più guardinghi e diffidenti verso di essa almeno quanto lo fu Spinoza.
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Libertà è uno di quei termini astratti che ha fascino universale, si adatta a tutte le occasioni; ciò è determinato dal fatto che non è una parola-concetto, ma una parola-confusione. Le parole-concetto sono parole astratte dense e circoscritte che rinviano a idee, storie, comportamenti specifici e concreti. Una parola-concetto non appartiene al dizionario di tutti; vede sempre nettamente schierati gli eserciti dei pro e dei contro.
Le parole-confusione sono sempre parole astratte ma hanno carattere friabile ed evanescente, possono essere inalberate da tutti per indicare un valore tanto assoluto quanto generico.
Monogamia e uguaglianza sono esempi di parole-concetto.
Popolo e libertà sono esempi di parole-confusione.
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Bisogna diffidare sempre delle parole-confusione perché:
a) varcano le barricate, calzano bene a tutti gli eserciti;
b) se due nemici guerreggiano sull’altare della medesima causa (per esempio la libertà) chiunque vinca eserciterà la propria libertà per distruggere quella altrui;
c) tanto più un’ideologia è priva di concetti, tanto più inalbera la parola libertà.
INCISO
Gli uomini, le donne non nascono liberi nè diventano tali.
Essi sono limitati da ragioni esterne e da vincoli che essi stessi si danno scegliendo di continuo nel corso della propria esistenza. Ogni scelta lascia al bivio i vincoli precedenti e ne determina altri. Ogni forma di libertà conquistata ci assoggetta ad altri vincoli.
Nel limite, in questa frontiera mobile che si ampia e si attorciglia, si annoda e si scompigla, c’è tutto il gioco della vita.
Non esiste dunque libertà assoluta. Senza limitazioni ogni libertà è puro arbitrio.
Gli uomini e le donne non diventano mai liberi, essi tuttavia possono cercare – e devono cercare – di conquistare gradi maggiori di autonomie, le massime autonomie possibili, nel gioco di specchi che inevitabilmente compiono con l’autonomia degli altri viventi. Senza questo gioco di specchi, senza reciprocità tra condizione singolare, condizione relazionale e condizione generale chiamatela pure libertà ma significa oppressione.
La condizione del limite – come insieme dei limiti estrinseci e dei limiti intrinseci dell’esistenza di ciascuno e di tutti – definisce e indica le possibilità dell’autonomia a diversa scala.
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Ogni parola rimanda spesso a una pluralità di significati, ma le parole-confusione travalicano le caratteristiche di polisemicità.
Libertà non è mai stata una parola univoca – i rivoluzionari francesi dell’89 conoscevano perfettamente la perfidia della parola libertà tant’è che l’hanno inchiavardata nella camicia di forza di due parole-concetto: fraternité ed egalité – ma col tempo è diventata onnivoca, fedele soldato di ogni ideologia. Come se non bastasse, in questo tempo il suo significato si è torto in direzione univoca.
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La libertà intesa un tempo essenzialmente come assenza di dominio, come possibilità di emancipazione degli oppressi, come autonomia, ha subito una traslazione tale da accoccolarsi su significati opposti; la libertà è oggi intesa eminentemente come abuso, come capacità di dominio, come esercizio di oppressione. Con tale torsione, libero non è più chi si affranca dalla schiavitù come succedeva nell’antica Atene, ma chi commette ogni nefandezza a spregio delle cose comuni, della collettività, dei poveri e degli oppressi di tutto il mondo. Libero è ormai chi profitta di ogni ambito privato o pubblico, relazionale o collettivo per trarre furbeschi vantaggi e per lucrare in modo spregiudicato.
Nella parabola finale della sua torsione, libertà non è più intesa come anelito dell’oppresso, ma come diritto dell’oppressore, come arbitrio sempre più totale, sempre più assoluto, perpetrato dal più forte sul più debole in ogni grado della scala sociale e in ogni tipo di gerarchia.
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L’unica forma di libertà che sembra ancora attagliarsi, timida e rannicchiata in se stessa, agli oppressi è l’obbligo di accettare le condizioni stabilite dagli oppressori, magari votando. Fiat docet.
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L’esercizio della libertà non avviene più sulle barricate contro gli eserciti come ha pensato Delacroix dipingendo La libertè guidante le peuple nel 1830 (quelle sono ormai cose da black bloc, da anarchici insurrezionalisti), ma al contrario piove dall’alto dei caccia e dal basso dei carri armati impegnati in una delle tante campagne militari della guerra globale come è avvenuto con l’operazione chiamata non a caso Iraqi Freedom dal 2003 al 2011.
Diversamente da quanto scriveva Erich Fromm in Escape for freedom nel 1941 c’è tutta una classe di persone che non fugge dalla libertà perché schiacciata da essa, dalla sua attività ansiogena cercando riparo dalle responsabilità nell’autoritarismo e nel conformismo, tutt’altro; c’è tutta una classe di persone che fugge nella libertà e si rifugia in essa, vi cerca la manifestazione del suo più puro arbitro, delle proprie volontà e capacità di dominio.
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Dunque: abolire dal proprio dizionario la parola libertà.
In Italia particolarmente dovrebbe esserne abolito l’uso per qualche secolo; in questo Paese il termine ha un carattere così nefasto che un partito di cavallette è stato capace di chiamarsi Popolo delle libertà. Pure, da una sua scissione è nato un altro partito, Futuro e libertà.
Be Free, recita la pubblicità della Banca Popolare di Milano. Libero di che e in che cosa non è specificato, presumibilmante di fruire dei suoi servizi che parimenti a quelli di altre banche assicurano ergastoli d’interessi per prestiti sempre più ghigliottinati. Le banche sono libere infatti di praticare l’usura e libere pure di non chiamarla usura perché c’è una legge che non la definisce usura. Ma almeno il termine usura è stato cambiato con interesse, cioè usura legale. Attendiamo che anche libertà cambi nome.
Ultimo: la pura libertà
L’Italia non è un caso limite. Anche altrove l’amore per la libertà ha traslato di proprietà definendo non più eminentemente gli anarchici ma preferibilmente reazionari d’ogni specie. Il problema non riguarda solo la politica. Anzi. Riguarda ogni sfera sociale. Interessa, chiaro, i rapporti di produzione – chi ha creduto che la libertà intesa come lavoro costretto fosse stato un mero sarcasmo linguistico del nazismo con il suo Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi, si sbagliava a giudicare dalla diffusione again della schiavitù odierna – ma è nell’economia e nella finanza che il termine libertà ha tesaurizzato la sua più alta cogenza contemporanea dopo la sua plurisecolare parabola.
In quel campo il libero scambio già era servito a distruggere l’artigianato di mezzo mondo nel corso dell’Ottocento.
Così, la libera circolazione dei capitali è divenuto il massimo paradigma della società finanziarizzata contemporanea. Certo, i mercati globali hanno inscritto nelle loro regole anche altre forme di libertà (di circolazione dei beni, delle persone …) che però al contrario di quella della circolazione dei capitali possono essere regolarmente dimenticati per strada, diventare pasto osceno per poterucoli assatanati di voti. Tutte le altre forme di libertà possono essere regolate, controllate, bilanciate, sospese, ma la libera circolazione dei capitali no. Cosa fanno i capitali in circolazione libera? Si spostano a velocità della luce alla ricerca continua e affannosa di valorizzazione intervenendo in ogni differenza tra valori globali e perciò estendendo, approfondendo tali differenze.
Non è volontà di qualcuno; ciò inerisce al dispositivo macchinico della finanza globale. Nella loro ebbra ed assoluta libertà di circolazione in cerca di valorizzazione, i capitali creano nel contempo grandi ricchezze ed estreme povertà. Quando non sono più in grado di valorizzarsi poiché la catena della valorizzazione si interrompe provvisoriamente in qualche punto, non ci sono problemi: quei capitali sono diventati così importanti, hanno così tanto infettato banche, fondi pensione, fondi sovrani, riserve statali, stati, governi, partiti che governano e partiti che stanno all’opposizione, sindacati gialli e non, menti delle masse che tutti appassionatamente devono correre ai ripari per salvare la finanza dal crack; dunque gli stati, sempre e comunque a difesa della libertà, chiedono sacrifici immani agli esistenti tassabili e pagabili affinché si rifinanzi la finanza e la si metta in grado di riprendere la propria più ebbra e sempre più assurda circolazione.
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I liberi capitali circolanti oltre a essere diventati metafora della libertà del mondo, sono anche il governo libero del mondo. Non sono più gli stati che governano loro, ma i capitali circolanti che governano gli stati. Che si coordinano non per difendersi dalla libertà di circolazione dei capitali ma per difenderla. Ma è una difesa che non argina: i liberi si dimostrano ancora una volta più forti dei servi e dunque colpiscono duramente gli stati che si coordinano a livello più globale per salvaguardare la medesima libertà in un circolo che rischia di precipitare nella crisi più grave che sia mai stata generata dall’economia monetaria.
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La libertà dei capitali ha una potenza onnivora: nel corso del suo incedere via via minaccia e distrugge ogni altra forma di libertà.
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Vista la situazione, e la torsione che ha subito il termine, nessuno stupore se le piazze del mondo si riempissero di masse oppresse urlanti Abbasso la libertà.
Milano, Gennaio 2012
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è la rappresentazione paradossale della realtà che Berlusconi ha tentato di dirci, credo.
La prima parola nella storia che corrisponda all’italiano LIBERTA’ è AMARGI, spuntata in una cronaca sumera di una ribellione ad un governo particolarmente dispotico e significante “ritorno alla madre” (probabilmente con riferimento alla voglia di ritorno ad una condizione sociale precedente, consistente in una società gilanica).
Per quanto duttile e generico possa essere il termine Libertà, essa non può sua natura prevaricare altre libertà, altrimenti diventerebbe Potere, il suo opposto. Ed è appunto di Potere e di poteri che si parla quando si parla di libertà. Ma le cose non vanno confuse, perché chi esercita su di un altro un potere è libero rispetto al soggetto sui cui lo esercita, l’oggetto in suo potere, ma è in definitiva schiavo del potere stesso.
Chi è astrattamente libero lo è e basta, sia dal comandare che dall’ubbidire.
Nella neolingua di orwelliana memoria si dice libertà dove si dovrebbe dire potere; è una delle tante perversioni del linguaggio al servizio del Potere stesso.
Se si vuole cancellare dal vocabolario la parola Libertà, bisogna cancellare anche la parola Potere; la vedo dura.
Bellissimo testo, terribili realtà!
Condivido in gran parte l’articolo. Il punto è che delle parole-confusione non se ne può fare a meno. Potrei citare amore, arte e chissà quante altre.
Per questa ragione, io mi contenterei di ridimensionarne l’uso, ed in particolare l’uso del termine libertà in ambito politico.
E’ una questione che mi coinvolge molto, e penso che sarà una delle parti più importanti della nuova impresa in cui mi sto impegnando, la scrittura di un secondo libro. Del resto, anche in quello che ho già scritto, vi ho dedicato una certa attenzione, ma nel frattempo mi sono sempre più reso conto della necessità di occuparmene con maggior dettaglio.
Non pretendo ovviamente di essere molto originale nel rivolgervi grande attenzione, ma credo che, lamgrado tutto quanto si è scritto a proposito dlela libertà, ci sia ancora tanto da dire, forse è richiesta una maggiore radicalità di approccio.
UN CERCHIO
LA GIUSTIZIA DA LA LIBERTA’
LIBERTA’ E’ PARTECIPAZIONE
PARTECIPAZIONE E’ SOLIDARIETA’
LA SOLIDARIETA’ FA L’UGUAGLIANZA
L’UGUAGLIANZA E’ GIUSTIZIA
al centro del cerchio c’è LA SCELTA di stare al centro del cerchio
la libertà è uguaglianza
solidarietà è giustizia
giustizia + libertà = uguaglianza
solidarietà : partecipazione = libertà : giustizia
libertà – giustizia = zero
zero + uguaglianza = libertà e giustizia
domanda:
Quanto fa uguaglianza + partecipazione?
Ci hanno fottuto la vita§(quasi..)inculcandoci gli stereotipi di tre paradigmi:l’amore,la felicità e la libertà trasformandoci tutto in idioti che vanamente rincorrono chimere di fumo e cartapesta.Il primo emendamento della costituzione americana prevede che non si possa “fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione”.Mi sembra che riproporlo da queste parti interpretandolo in senso lato potrebbe essere una buona base di partenza per discuterne a proposito di libertà tenendo conto che proprio oggi loro si sono riuniti per parlare del concordato e i toni del clero si sono ammorbiditi,prendendo persino in considerazione l’ipotesi di pagare l’imi per i luoghi dove ci sia la possibilità di contemplare l’effige del maschio alfa.Diversamente questi si mettono a chiedere le scuse ufficiali anche quando ci lasciamo andare nel nostro personalissimo delirio
http://arctica.nw.ru/toolband_update_12-12/Mp3/nirvana/02-Nirvana%20-%20Singles/01-All%20Apologies%20-%20Rape%20Me%20(Single)%201993/01-All%20Apologies.mp3
gli spermatozoi con l’opportunità dell’umana avventura chiedono che venga istituzionalizzato lo spessore minimo del loro probabile solvibile esserci nella congrua capacita ricettiva che il Pianeta Terra può assicurare loro.
Mi ci ritrovo in questa riflessione. Vi sono stati un sequestro della parola e una perversione del concetto. Un ideale di cittadinanza si è trasformato in una realtà di dominio. Credo però che questo scenario richieda una restituzione della parola al suo significato politico di lotta contro il dominio dei poteri privati. Non dimenticando che la libertà è lo spazio garantito dall’applicazione della legge e che al di fuori di questo spazio c’è sempre e solo l’arbitrio del più forte. Come dimostrano gli ultimi 15 anni di politica italiana. Più che abolirla, io vorrei che mi fosse restituita, la parola libertà, per poterne fare ancora un’aspirazione ad un mondo diverso, magari più giusto.