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Pensiero ballabile: Lucio Saviani e Pasquale Panella

Il mio amico filosofo Lucio Saviani ha pubblicato qualche tempo fa una riedizione di un libro di cui conosco bene la genealogia, il suo farsi e disfarsi. Voci di confine. Il limite e la scrittura (Moretti & Vitali). Il compositore di parole, Pasquale Panella e il musicista Gianni Bisori   a queste pagine si sono ispirati per un nuovo lavoro, Pensiero ballabile, ovvero “Tredici canzoni nuove e chiacchiera danzante intorno, da e circa le Voci che girano al limite del vivere, del pensare e dello scrivere, quindi al limite del ballo, nel libro Voci di confine di Lucio Saviani. Musiche: Gianni Bisori. Libretto e testi: Pasquale Panella”.

CONTRAPPUNTO.

LIEVI CONTRASTI D’APPARENZE

di

Lucio Saviani

 

 

 

“La mia visione è così retta,

 così pura è la mia sensazione,

 la mia conoscenza è così perfettamente completa, 

così acuta, così netta è la mia rappresentazione

 e la mia scienza è così perfetta 

che io mi comprendo dall’estremità del mondo

 fino alla mia parola silenziosa;

 e dall’informe cosa che si desidera alzandosi, 

lungo le fibre note e gli ordinati centri,

 io mi sono, io mi rispondo, io mi rispecchio e mi rifletto,

 io fremo dell’infinità degli speccbi –

 io sono di vetro”. 

P. Valéry

 

 

Guardi una persona e la vedi da parte a parte 

quasi fosse una sfera di cristallo 

che tu stesso hai appena gonfiato con un soffio.

V. Nabokov

 

 

ABISSI SUPERFICIALI

 

Dov’è più, nel fondo, la trasparenza? Il fondo può essere osservato, raggiunto soltanto grazie a un trans-, un attraverso, grazie a cui apparire, essere visto o pensato. Abita sempre dietro, o sotto; ha l’abitudine di non essere mai sottomano né a prima vista. Così il fondo è da raggiungere, svelare, avanzando o scavando. (Lo si avvicina per passione ma poi lo si tocca per disperazione. E poi qualcuno, una volta toccato il fondo, comincia a grattare…). Non è mai apparente, cioè sospetto; in due parole, è sempre “profondo”o, il che molte volte è lo stesso, “alto” (come sentimenti, i pensieri, le intenzioni). Un po’ come la verità…

Ilfondo dice allora anche la superficie, o una stratificazione di superfíci. Superficie e fondo si rendono a vicenda, uno dà conto dell’altra. E’ da questo rendere conto, ritorno redditizio, che ci si abitua a dare fondo ad ogni energia, ad ogni distanza, per “rendere” trasparente una superficie: ritorno d’immagine. Eppure fin da qui qualcosa, qualche conto, comincia a non tornare.

Trasparire è dunque “apparire, essere visibile attraverso un corpo diafano oppure translucido”. Ma già questo apparire manifesta un certo gioco di complicità, attese e tradimenti. Sentimenti, pensieri, intenzioni possono rivelarsi attraverso qualche indizio: una felicità, non detta, può trasparire dagli occhi mentre da tante parole può trasparire una noia scaltra. Ma poi, la stessa cosa si può sempre far trasparire e lasciar indovinare… Tra cose velate e rivelazioni involontarie, tra il mostrare e il nascondersi, appare a prima vista come l’antico gioco erotico della seduzione (e) della verità.

Ma allora, ciò che traspare e il trasparente? E invece no, per il momento ciò che viene alla luce, che traspare, è solo apparente (ma qui, una volta tanto l’apparente sta dietro, sul fondo, non davanti, sulla superficie). Trasparente è invece un corpo o un mezzo (una superficie) che si lascia attraversare dai raggi della luce: a volte si può dire anche del cielo, o di un colore che non abbia corpo. Addirittura si può parlare, in modo trasparente: si lascia intuire (trasparire) il vero  significato di un sentimento, di un pensiero, di una intenzione senza rivelarli esplicitamente. Si può cioè parlare esponendo, contemporaneamente, la filigrana del discorso. In effetti, più che con le parole, la trasparenza ha a che vedere con l’occhio: guardare in controluce ponendo la superficie tra l’occhio e, nel fondo,`la sorgente di luce.

Un aspetto curioso della trasparenza viene qui a chiarire, ma per poi complicarlo molto, il discorso sullo sguardo: “trasparente” è il nome di un elemento tipico dell’architettura barocca, che consiste in un diaframma (che può essere un inestricabile intarsio di marmi, bronzi, balconi e capitelli come nella cattedrale di Toledo) dall’esuberante decorazione che ha la funzione di far trasparire in modo surreale, tra la navata e il coro, l’altare. Dunque, ancora una volta, stratificazioni di superfici e lì, nel fondo, traspare la Verità.

Ad ogni modo, in un rapporto meno stratificato di sguardi, la trasparenza rimane soprattutto questione di limite e di superficie: in un corpo trasparente, proprio grazie alla trasparenza, “sono individuabili due superfici limite, una di entrata, l’altra di uscita. La trasparenza del corpo sarà maggiore o minore secondo che sia maggiore o minore il rapporto tra la luce uscente e la luce entrante”. Dunque, all’interno della stessa superficie, traspaiono ora due superfici limite: di nuovo, per incanto, una stratificazione.

Si ritorna, così, al fondo; e a quel ritorno redditizio, di immagine, da cui parte quel lavoro incessante, quella passione e quell’oscuro desiderio di “rendere” chiara, trasparente, ogni superficie.

E’ probabilmente da questo fondo che traspaiono le ragioni autentiche di un fallimento. L’utopia occidentale dell’assoluta “autotrasparenza”,  dal programma hegeliano della realizzazione dello spirito assoluto, della piena autotrasparenza della ragione, all’Aufklärung – in tutte le sue direzioni: condizione emancipata e disalienata dell’uomo, annullamento del limite tra teoria e prassi, dell’intervallo tra fatto e valore – ha scoperto  l’impossibilità della propria definitiva realizzazione proprio nella società contemporanea in cui, paradossalmente, la tecnologia sembra da una parte rendere possibile il “punto di vista di un soggetto centrale” – la trasparenza di una storia universale – costituendo invece, per una sorta di entropia, una moltiplicazione e stratificazione di centri di storia, cioè di sguardo e di discorso. Probabilmente “autotrasparenza” (trasparenza da sé) è un termine paradossale: sembra incantarsi, cioè sospendersi, l’eterno gioco di fondo e di superfici, quel movimento seduttivo di trasparire e lasciar apparire. Sembra ci si avvicini, invece, a un fondo senza superfici e dunque anche senza fondo. Avvicinarsi sembra anzi un falso movimento. Ciò che è in superficie è il fondo: una superficie-fondo.

L’autotrasparenza è dunque l’ideale che sottende alla fatica di “rendere” trasparente ogni superficie (limite, schermo, filtro) e di raffinare, illuminare, assottigliare ogni opacità.

L’ideale di una superficie-fondo in cui il limite tra ciò che lascia apparire e ciò che traspare non si dia più.

 

SIPARI FONDALI. DI LÀ DAL VETRO

 

Se dallo sfondo viene emergendo come ragione di fallimento e di caduta, l’ideale dell’autotrasparcnza appare in superficie, in tutta evidenza, nelle ben diverse sembianze della perfetta trasparenza. La trasparenza perfetta rimane infatti  l’estrema luce di quel limite che si tende a far svanire: il fondo ri-esce visibile attraverso una superficie che “renda” tutto del fondo, ma che resista in quanto superficie. Ad essere trasparente rimane sempre la sola superficie, ma così essenziale al fondo stesso.

Questa idea di perfetta trasparenza sembra intantosubito assumere, a prima vista, due sembianze e prendere due direzioni diverse: la sovrapposizione (più che l’illuminazione e il rischiaramento) e la seduzione. La sovrapposizione (ancora stratificazione) di una superficie trasparente ad un’altra superficie che diventi fondo appare immediatamente poggiata su di un discorso di utilizzabilità (l’unico, pare, praticabile). Perché, infatti, far aderire una superficie perfettamente trasparente su di un’altra? E poi, quale può essere la sua funzione?

L’uso del trasparente appare troppo comune per non pensare ad un lavoro di schermatura, difesa, protezione; ri-paro e custodia per ciò che, di sotto, appare. Dalle vetrine dei negozi, dei mobili, delle sale di esposizione alle veline e alle sovraccoperte trasparenti dei libri, al vetro o al cellophane per alimenti si evidenzia (così come si usa evidenziare, per frammenti, un discorso fra le righe tramite tratti di colore trasparente) una cura, un’attenzione tutta tesa a preservare una integrità, purezza e pulizia. (A loro volta queste superfici sono sempre minacciate dalla polvere che, a strati, attenta alla trasparenza – esibita spesso anche come pulizia. Insomma, vanno curate e lucidate). Nitore, pulizia e integrità restano in primo piano anche nell’uso di lucidi, veline e trasferibili per ricalcare un disegno, in particolare frammenti e mancanze – come nei rilievi archeologici.

La vita stessa può entrare tutta in una sfera di cristallo in cui pochi occhi, purtroppo, riescono a intravedere gli oscuri percorsi del destino e del futuro. Quando invece interessa guardare attenti nelle oscurità e tra le veline del presente e del passato (le cataratte del potere o i suoi fantasmi, trasparenti e invisibili) è la politica a mostrarsi cristallina, pulita, trasparente, dallo sguardo lucido e dai Palazzi di Vetro. Qui le idee, i programmi e i discorsi si propongono chiari nella sostanza e trasparenti nella forma, come in quei souvenir in cui entrano città da ammirare e capovolgere o come, ancora meglio, negli oggettini di vetro soffiato, fatti solo d’aria e di superficie trasparente. Invece della materia oscura, il “soffio creatore” modella ora il vetro, l’aria stessa sembra coprirsi di vetro assumendo forme precise: pensieri soffiati, idee divenute cristallo fragile (La fragilità diventa poi fatalità quando si pensa alle bolle di sapone…). Insomma, la politica diventa trasparente per chi “non ha nulla da nascondere”, per chi non prevede doppiezze e occultamenti (Il doppio fondo rimane sempre cosa da ladri, illusionisti e contrabbandieri: inganno e custodia di refurtiva. Hanno molto successo, intanto, quegli orologi da polso il cui vetro non protegge più il fondo-quadrante ma lascia trasparire, come la sabbia nella clessidra, tutta la verità degli ingranaggi e dei meccanismi…). Ma c’è un’occasione, niente affatto rara, in cui la trasparenza come sovrapposizione di superfici si incontra con l’altro sembiante, la seduzione (di nuovo, l’eterno gioco assenza/presenza: del resto, cos’è la seduzione se non il lasciarsi desiderare e, contemporaneamente, sviare, allontanare e confondere?), l’altra delle due direzioni che, a prima vista, l’idea di perfetta trasparenza sembrava andare assumendo.

Nell’uso di tessuti trasparenti, o di un complicato gioco di aderenze, velature e trasparenze (di nuovo, la pelle-superficie diventa sfondo) l’assenza/presenza, il mostrarsi e il ritrarsi diventano la verità di un corpo che si racconta (contro la nuda, carnale verità della pelle). Qui, nel gioco di assenza e presenza in cui ci attira la trasparenza, le due (a prima vista) direzioni della sovrapposizione e della seduzione rivelano invece un unico senso. E questo si fa evidente in uno strano, ma decisivo, differimento di senso: dallo schermo/riparo allo schermo/sipario. In realtà è proprio lo schermo che, qui, diventa centrale e su cui si proietta tutto il discorso sulla trasparenza, perfetta e seducente: da scudo, ostacolo, filtro lo schermo diventa ora tramite trasparente, una leggera e consistente barriera trasparente, (come un sipario sempre calato ma allo stesso tempo sempre aperto).

Nella “civiltà del plexiglas” lo schermo è il vetro del televisore, del monitor, di un microscopio, oppure il telone di proiezione al cinema, ma è anche il vetro dell’obiettivo fotografico (le diapositive, le loro immagini e poi le pellicole trasparenti del “mondo della celluloide”), la lastra di una radiografia (trasparenza compiuta?) e, perché no, i finestrini di un treno o di un pullman per viaggi organizzati. Lo schermo trasparente è schermo proprio in quanto nello stesso tempo avvicina e separa, rende visibile e irraggiungibile, allontana un  mondo proprio mentre rende una visione ben chiara, se non familiare e quotidiana: appunto il darsi/celarsi di un mondo. Il plexiglas permette di instaurare un rapporto con le cose fondato sulla familiarità con l’intangibile, sull’avvicinare contemporaneamente mondi lontanissimi con particolari effetti (transfert) sulla nostra percezione del tempo e dello spazio, del nostro desiderio e del suo dileguarsi.

(A volte basta sfiorare uno schermo con un dito che si aprono davanti agli occhi orizzonti fantastici e mondi remoti). Probabilmente è per questo che il vetro che protegge la Pietà in San Pietro o il Papa durante le uscite in automobile bianca,più che sicurezza e custodia sembra riflettere questo particolare movimento di avvicinamento e separazione, familiarità e distanza nei confronti di un altro mondo, quale è la dimensione del sacro.

Ad ogni buon conto, per il plexiglas, schermo trasparente, il riflesso fa problema proprio come l’opacità e la polvere: nei vetri antiriflesso per quadro e dei più recenti televisori, nella cura per la massima trasparenza dello schermo, traspare il conflittuale rapporto tra sguardo e specchio (Sono speculari, in questo caso, da una parte il riflesso curioso di una vetrina che mostra l’interno ma anche l’altrettanto curioso sguardo del passante, oppure la fastidiosa attrazione di un paio di occhiali a specchio; dall’altra, l’imbarazzo e l’inquietudine che suscita l’attore che “guarda la in camera”). L’ “anima maledetta”, così superficiale e non trasparente, degli specchi rende, più che lo sfondo, una profondità che ritorna alle spalle di chi guarda: di nuovo, ma in un senso pervertito, un ritorno d’immagine (ai luna park, di paura si ride molto di più nei labirinti di specchi che non in quelli di semplici vetri trasparenti … ).

Ma anche qui, allo specchio, arriva un’occasione di incontro, ancora una volta, tra schermo, trasparenza e protezione. La scena è quella di un individuo, abbastanza sospetto, che parla davanti a uno specchio rivelando particolari, forse confessando senza saperlo. Dietro lo specchio, finto, al riparo di una trasparenza il testimone oculare si schermisce, vede e ascolta, non visto, l’individuo da riconoscere…

Dell’antico e innocente gioco della verità e del mondo, dell’apparire e del nascondersi, rimane un superficiale inganno. E, più in là, sullo sfondo, un criminale sospetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2 COMMENTS

  1. La trasparenza come limite che separa ed avvicina, che protegge e rivela, che nasconde e seduce è una bella traduzione del senso che potrebbe avere in quanto mezzo ed utilizzabile. Ma il fondo che dovrebbe anticipare non è forse il risultato del riflesso di specchi che essa stessa genera, la sfera di vetro che esaurisce al suo interno tutt’intera la verità? Cosicché abisso e sipario, nel gioco dell’incontro tra fondo e superficie, potrebbero rivelarsi semplicemente come la fragile interfaccia di un vetro che gioca con la luce!
    Ancora una volta complimenti a Lucio Saviani e Pasquale Panella.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017