da “Militanza del fiore”
di Carlo Cuppini
.
qui il benzinaio dà ragione
a chi si vuole incendiare
il Maghreb in fiamme
ha fatto alzare il prezzo del barile
in Maghreb alle fiamme
ci si è dato un ragazzo
ventisei anni / laurea / moglie / figlie
l’ultima lettera alla madre su facebook
a Roma il carburante a un euro e mezzo al litro
le tasse le accise lo Stato fa cassa con tragedie appassite
oggi domenica anche il tavolo s’è incendiato
noi seduti intorno per pranzo
rimasti a guardare attoniti il pollo
le altre portate e la tovaglia avvampare
—
ninnananna regime
ci hanno tolto già tutto
disarmati tentiamo
di resistere ma
se con colpo fulmineo
gli oligarchi per caso
provano a strapparci anche il cuore
noi facciamo i bagagli
e leviamo le tende
ce ne andiamo su Marte
con la sabbia e le formine facciamo
cose molto più belle
a cui poi diamo vita
soffiandoci sopra
tutto il fiato che resta
—
aspiro la polvere
lavo le stoviglie
asciugotutto
disgorgo
non è vero niente
la casa è un disastro
percorsa da correnti
le stanze in balia dei venti
la casa è sana e salva
abitata da rettili
felini nascosti tra i giunchi
non mangio più i mammiferi
intendo essere mangiato
da bocche d’edera aperte in corridoio
dichiaro che aspiro – non polvere
aspiro fermamente a
—
se l’arancia trasuda violenza
non puoi farne a meno: la trafiggi
con la punta del coltello
mentre ti esplode in mezzo allo stomaco
un proiettile a frammentazione
avanzato dall’ultima guerra
ancora in corso in corridoio
o forse in salotto ti pare
poi si apre l’anta della dispensa
tra i pacchi dei biscotti s’affacciano
migliaia di profughi libici
ti vengono incontro
sorridenti
pieni di fiori nel grembo sfondato
ballando il samba ti riempiono gli occhi
di fosforo bianco – e la cucina
—
…
accusiamo l’assenza del cane
discutiamo dello stato dei denti
le mani spezzate di Ali Ferzat
le poesie bandite di Islam Samhan
riportiamo scottature sul collo
rovesciamo vetroresina nelle giunture
noi non c’eravamo
e non ci siamo
scriviamo messaggi sul vetro
giriamo le dita al contrario
…
giriamo le dita al contrario
scriviamo messaggi sul vetro
rovesciamo vetroresina nelle giunture
riportiamo scottature sul collo
noi non c’eravamo
e non ci siamo
le poesie bandite di Islam Samhan
le mani spezzate di Ali Ferzat
discutiamo dello stato dei denti
accusiamo l’assenza del cane
…
—
(per Adriano Sofri)
ognuno è affezionato alla sua cella
per questo si sta dove si sta
anche quando non va
quando il caldo consuma le sinapsi
l’umido ingrossa gli interstizi
le piante grasse implodono
le termiti divorano il letto
ognuno resta dove sta
in questo lungo vuoto di storia
anche se l’angelo accucciato sul tetto
enorme e scuro è in attesa
lo sguardo fisso sulla montagna
la sua ombra dà le spalle alla città
—
tolto il bavaglio
non c’è bocca
né faccia
senza trucco
né inganno
ci tocca scoprire
che nessuno ci aveva costretti a tacere
se non il tacere
*
Carlo Cuppini, Militanza del fiore, Maschietto Editore, Firenze 2011
nonostante lavori spesso su una ‘frontalità’ tra enunciazione e suo contenuto che può rendere prevedibile qualche passaggio, mi sembra che nella poesia di Cuppini, per come momentaneamente ‘stabilizzata’ nel suo libro d’esordio, la volontà di dire, declinata sempre in immediata (anche ‘urgente’) responsabilità nominante, riesca a configurare un interessante campo di forze dal quale la scommessa conoscitiva emerge innanzitutto nella forma di una finalizzazione extraestetica del proprio movimento. una finalizzazione che però, al contempo, si guarda bene dal ridursi in eterotelia e/o pretesa di docenza; la malta ritmica, unita a una fanopea anche espressionistica ma che sa tenere insieme referenti sicuri, prossimità immediatamente sociali e convocazione di adynata, di impossibili di specie esperenziale e politica, mi sembra poi l’elemento di maggiore forza di questa scrittura. Qualche dubbio me lo pone l’utilizzo insistito del “noi”, che penso funzioni meglio in quei testi dove incarna la dimensione o frontiera, anche geografica, da scardinare e aprire, ma questo è elemento su cui non ho riflettuto abbastanza per cui mi taccio.
Un saluto a Carlo, e grazie ad Andrea per aver postato questi testi,
f.
sono contento che fabio, lettore esigente e fino, trovi interesse in questi testi di Carlo Cuppini; questi ha il merito – in tanto assembrarsi sotto l’insegna “poesia civile” – di voler fare, con tutti i rischi del caso, semplice poesia politica, inserendosi in una linea brechtiana (davvero fuori moda). Ovviamente ciò significa dover tenere il motore sempre su di giri, rischiando un “gridato” monotono. Ma mi sembra anche che Carlo si sia scavato le sue vie di fuga: stralunate, d’ironia metafisica, e di ironia “nera”, che mi sembrano considerevoli. Un verso come “qui il benzinaio dà ragione / a chi si vuole incendiare” vale non solo tanti versi di poesia etico-civile-della-resistenza, ma anche tanti slogan dei (giustamente) incazzati che manifestano per l’Europa
caro Andrea,
ciò che dici mi trova in buona sostanza d’accordo. poi non so se “Militanza del fiore” (libro che ho a casa ma che non ho ancora potuto leggere per intero) possa inserirsi in una linea tout court brechtiana. o meglio, è una linea percepibile ma a me sembra mediata innanzitutto da certe modalità di recupero dello stesso Brecht quali quelle che Porta operava alla fine degli anni ’70; penso a opere come L’aria delle fine, soprattutto. ho l’impressione che Cuppini esplori e lavori proprio a partire da una simile postura, non tanto formalmente quanto a livello di intenzioni (il suo non è un epigonismo). in questo senso la tua lettura mi pare corretta. ci si muove, sembra a me, nei testi di Carlo, sempre tra una dizione frontale ed esplicitamente ‘contenutistica’ e una contrapposta tensione che continuamente convoca sulla pagina una sorta di grimaldello ipnagogico, col suo corredo di immagini orniriche e tensioni utopiche, comprendenti anche forme d’ironia “nera”, come hai notato. l’attrito (ma senza ‘astuzia’) tra i due movimenti e volendo le due logiche, la diurna e la notturna, produce qualcosa di non troppo lontano da ciò che Benjamin definiva “struttura del risveglio”.
grazie per lo scambio, e vediamo se l’autore ha da dirci qualcosa a riguardo. un abbraccio,
f.
Grazie ad Andrea per la lettura attenta del mio libro, la selezione e l’ospitalità; e grazie a Fabio per le acute, dense e pregnanti parole.
In questa mia fase – in questo libro – la contraddizione si impone irriducibile, e io l’ho incorporata di buon grado – non potendo fare diversamente – nel fare e nel pensare la poesia. Il libro in effetti è composto da 7 sezioni molto diverse tra loro: dalle poesie “frontali” e “stralunate” del “taccuino politico” (da cui sono tratte quelle postate qui da Andrea, tranne quella con l’angelo), alle epifanie dell’angelo, appunto, al festino sadico e iconoclasta di “magnificat”, all’esercizio automatico di “Mameli machine”.
Ora mi sto spostando nel buio, e non so costruire un discorso articolato e tecnico, neanche riferito a quanto già fatto oggettivato con la pubblicazione; mi limito a elencare una serie di istanze che determinano un campo di forze instabile all’interno del quale sono nati e nascono testi, a volte molto diversi tra loro nell’esito esteriore:
Penso a una poesia metafisicamente, linguisticamente ed epistemologicamente libertaria e liberatoria
Nel panorama saturante di manipolazione capillare aspiro romanticamente a uno status impossibile di clandestinità e di neo-persecuzione per la poesia
Do importanza al linguaggio, non come mezzo da padroneggiare per fare discorsi, ma come sostanza di cui siamo fatti e circondati: l’incontro con il linguaggio quindi non può che essere tragico e ridicolo insieme, necessario e impossibile, grimaldellante e incarcerante
Non mi metto a scrivere poesie, ma mi curo che nel mio corpo si vada formando un organo nuovo, materiale, che secerni testi (poesie, per così dire), e che funzioni in modo del tutto indipendente da “me”, come gli altri organi, grazie alla solerzia del sistema simpatico, e che tenga insieme un po’ delle funzioni di tutti gli altri organi: cervello, cuore, polmoni, reni, cistifellea, vescica, intestino…
L’esistenza e la funzionalità di questo organo complesso ma semplice e immediato, dovrebbe spazzare via d’un colpo ogni polemica oziosa su poesia lirica/poesia sperimentale e altre faccende del genere
Per altri versi la poesia si origina come l’alveo scavato da un insettaccio “malefico” all’interno del “corpus” legnoso del rumore ambientale onnipervasivo
Pur aspirando a un’idea di purezza, di “alveo” entomologico, va a finire che la poesia nasce sempre nella/grazie alla/con i pezzi della concitazione, data dallo stare dentro le cose, in mezzo alle cose, fino a essere “io” stesso (il famoso “io”) indistinguibile dalle cose, connaturato a esse, senza più confini negoziabili (forse per questo l’ossessione del noi, slabbramento verso l’impersonale – ma con ancora un ancoraggio fraternamente umano – dell’io? non so…)
Immediatezza, quindi, fretta gestuale, urgenza. ma anche fragilità (questo è veramente essenziale e discriminante) dell’essere esposto e privo di distanza di sicurezza, in un contatto quasi sessuale con la schizofrenia oggettiva, che ti marchia
Il clownesco rischio di sputtanarsi (veramente, non per recita), rispetto a qualche idea di coerenza, di premessa teorica o d’altro genere, è poi un piacere e un dovere irrinunciabile. rispetto al discorso delle neoavanguardie, non è tollerabile per me un “apparato” di protezione concettuale. non otterremo niente con la poesia, né con altro mezzo, questo è chiaro. però possiamo rivelare che la figura di un ragazzo davanti alla bocca di un carroarmato è il massimo dell’ironia possibile di questa epoca – un’ironia che ci riguarda nello stesso modo in cui l’occhio del cannone guarda in faccia quel ragazzo
Pur leggendo e amando (certa) poesia, più che pensare alla poesia penso al fatto che nasciamo e moriamo e abbiamo tutto sommato poco tempo per cercare di capire in che rapporto stiano questi due strani eventi. non so perché, ma questa considerazione mi fa pensare che ogni teoria e ogni proposito che io possa farmi (e ne faccio in continuazione!) lascia il tempo che trova, e alla fine questo mi fa sentire padrone di una libertà sfrenata e anche per certi versi imbarazzante (non certo eroica)
In questo momento lascio fare il suo lavoro a quell’organo, quasi sovrappensiero, anche se sto attento a quello che mangio (e sono diventato da poco vegetariano, o quasi), e faccio fare amicizia a Brecht e a Celan, a Porta e ai Salmi – come nel parco si guarda se per caso, annusandosi il culo, un barboncino può fare inaspettatamente amicizia con un alano – anche se intanto il mondo va in cerca della catastrofe
L’espressione “la struttura del risveglio” è bella da dare i brividi
[…] Carlo Cuppini: “qui il benzinaio da’ ragione” e’ un testo efficace e risolto (12 Mag 2012, nazione indiana, https://www.nazioneindiana.com/2012/05/12/da-militanza-del-fiore/) […]