Il saluto di Mesagne

di Domenico Pinto

Un desiderio di chiarezza, come dire di pace, imperturbabile e dirimente, sarebbe il sogno di qualunque osservatore. Non si hanno invece che frammenti, una sequenza di fotogrammi, nulla che ancora custodisca un senso fuorché la corrente di emozioni che continua a attraversare la città di Mesagne. Ora che una larga folla si va adunando in piazza IV Novembre, dopo due giorni dall’attentato alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi, tutti i piani interpretativi di questa realtà, infinitamente mediata e congetturale, irrisolta, contraddittoria, si aprono per far posto al più duro degli oggetti di realtà: il corpo di Melissa Bassi entra per l’arco della Porta Grande, viene seguito da un applauso; dalle finestre della biblioteca comunale si vede la folla dei vivi richiudersi su di esso.
Nel dominio della funzione religiosa ricade adesso ogni sentimento, è lo spazio in cui si trasmette, per contatto, il dolore, è l’involucro della rabbia. Tuttavia nei giorni che sono preceduti, l’urto della bomba aveva già mosso, in un istante, qualcosa: dalla massa schiacciante delle nostre paure – la Sacra Corona Unita, l’eversione anarchica e anche, più oscuramente, statale, oppure il terrorismo internazionale –, da questa nebbia di ipotesi, che in forza della sua aleatorietà si rivela persino più paralizzante, è sorta una reazione limpida e generosa. Nel punto in cui si aspetta l’arretramento della società civile – la SCU, benché in disarmo, è un antagonista concreto e spaventa -, è accaduto che i cittadini, di fronte a una minaccia gravissima, abbiano replicato con una condivisione profonda, attiva, commovente, rompendo l’incanto della paura. Sabato la città si è svuotata per riversarsi nelle piazze di Brindisi; le ragazze e i ragazzi di Mesagne e dei paesi limitrofi, gli studenti e i lavoratori, hanno non solo simbolicamente, bensì materialmente avocato a sé il terreno della vita comune, opponendosi ai nemici quali che fossero, il terreno dello stato di diritto come un possesso definitivo. La carovana antimafia, che è poi passata, la sera, per le strade, raccogliendo sul percorso numerosi partecipanti, ha ‘cucito’ i cammini cittadini, ridisegnando una nuova geografia umana dei luoghi. Sul sagrato della Chiesa Matrice, infine, più forte dei duemila anni di retorica che rotolano sulle nostre teste, si sono formati gruppi di preghiera spontanei che hanno intonato canti. Tutto questo ci ha abbagliato, così come la chiusura totale dei negozi, i lumini a ogni angolo di strada, il furore che ha segnato i social-network, la coesione improvvisa e senza ripensamenti, la messa a nudo del dolore, la riappropriazione immediata dei luoghi e del paesaggio cittadino dopo l’esplosione di una bomba.
Una giovane ragazza non è più qui con noi. Era bella, mostrava una grande dolcezza. Scrive Fortini, in un appunto su Robert Walser, che tutto quel che aveva potuto fare è stato osservare, giorno dopo giorno, come si confondesse, sovrapponendosi alle voci dell’Io, «l’urlio detto mondo e storia». Per poco, in questi giorni, l’urlio si è placato, sostituito da un gesto collettivo di pietà e di forza.

Articolo pubblicato sul «manifesto», oggi 22.05.2012.

9 COMMENTS

  1. Leggendo questo articolo ho pensato a quanto è difficile, di fronte a certi orrori senza risposta, riuscire a dire semplicemente quel che si è visto, a riflettere restando ancorati solo a questo. E come una simile “mera rappresentazione” sia già barriera contro l’irrazionale mostruoso che, evocato, cerca di farsi largo.

    Poi vi segnalo anche questo pezzo di Alessandro Leogrande.

    http://www.minimaetmoralia.it/?p=8000

  2. La strage di Brindisi mi ha ricordato quella di Tolosa. Ho letto gli articoli dedicati alle ragazze e al paese- e una cosa- dopo l’emozione- mi ha colpita: è la difficoltà di leggere il paesaggio della criminalità. Sembra un paese dove si mescolano criminalità e lotta contro la criminalità, gente che vivono in una terra bellissima, tra cielo e ulivi, con il mare in vista, ma un paese fatto di silenzio, di violenza, gente che vivono insieme ma non sono della stessa parte.
    Sono nati su una terra antica, ma non parlano la stessa lingua, o forse la lingua commune del silenzio. Non avevo mai sentito il nome di Mesagna, terra vista in un film forse, ma terra non conosciuta, chiusa, nascosta dietro il cliché di natura ribelle.
    Se avevo attraversato questo paese, avrei letto in superficie: la tranquillità, volti del sud vicini a quelli che ho incontrato nella mia infanzia, e oggi scomparsi, non avrei letto i segreti, il vendicarsi: una guerra non visibile,
    in paese sperduto, dietro il mare, o nelle montagne, c’è sempre la possibilità di credere alla bellezza. Non si immagina la crudeltà- la ferocità della citta.
    Mi ha colpito la dolcezza, la grazia di queste ragazze- assomigliano a alunne che ho in classe, ragazze assassinate- e mi sembra che il paese ha perso la sua bellezza e ha rivelato certo communione, ma communione nella morte.
    E’ una tristezza vedere un paese camminare insieme non per una festa, ma per accompagnare una ragazza sotto terra.

  3. In questi giorni cercavo le parole, qualcosa di simile a un’elaborazione di un lutto, di un fatto. Queste tue parole Domenico mi hanno permesso di vedere meglio, più a fondo, le cose
    effeffe

  4. Si brancola nel buio…già solo quest’ammissione d’impotenza da parte degli inquirenti mi sa di terrorismo! Ed è atroce pensare che chi ha colpito è tra noi, potrebbe essere ovunque!

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.