Violazione
di Gianni Biondillo
Alessandra Sarchi, Violazione, 271 pagine, 2012, Einaudi
Violazione è sostanzialmente un libro che parla di famiglie. Alessandra Sarchi, qui al suo primo romanzo, scrive in modo anafettivo, quasi fosse una scienziata sociale attenta ad analizzare nel suo laboratorio le cellule minime della società, per restituircene la tassonomia.
Varie sono le tipologie e le combinazioni: c’è Primo Draghi, figlio di un meridione contadino che odia il passato di fatica e stenti, e che cerca nella cementificazione, e nell’abuso, il riscatto sociale e il facile guadagno. Famiglia patriarcale, la sua, con una moglie sottomessa e priva di contatti con la realtà e due figlie che per eccesso di autonomia o di autismo si negano al padre padrone. Poi c’è la famiglia piccolo borghese, impiegatizia e progressista, in teoria solidale, di Alberto e Linda Donelli, alla ricerca di uno sfogo dalle frustrazioni urbane bolognesi tradotto nel sogno bucolico di una casa in campagna, a pochi chilometri dal centro. Infine la famiglia fragile e senza diritti di Jon – ospite della madre Natasha, serva di famiglia Draghi – giovane clandestino che vive nascosto dal mondo, ridotto per ciò ad una umiliante servitù psicologica.
L’Italia, così come ci viene descritta da Sarchi sembra una nazione senza riscatto. Nessuno degli attori, per davvero, è capace di scatti d’orgoglio. Solo meschinità esplicite – quelle di Primo, calco di una arroganza fin troppo nazional-popolare – o implicite, camuffate dalla cultura, anche ecologista, di Alberto e Linda.
Ma questo è anche un libro dove lo scenario, il paesaggio, diventa protagonista. Violentato e idealizzato, sprecato e banalizzato, sfruttato e imbellettato, aspetta, mai davvero immobile, con i suoi tempi sovrastorici, il momento di una vendetta definitiva sull’umanità che non ha rispetto delle sue leggi. In attesa, durante la lettura, di una frana definitiva che sommerga tutti, Violazione termina con un’altra rappresentazione della sconfitta: quella di un sacrificio sterile che non saprà placare alcuna divinità ctonia.
[pubblicato su Cooperazione, n. 12 del 20 marzo 2012]
Credo che se si usano parole non molto comuni sia particolarmente importante l’attenzione a scriverle in modo corretto. E’ facile altrimenti generare dei dubbi sul loro reale significato.
Non mi ritrovo con “anafettivo”. E nemmeno con l’idea di un campionario “tassonomico” di uno spaccato di società sotto forma di famiglie.
Per me la cosa più interessante del romanzo sta esattamente nella capacità di rendere gli esseri umani e la natura protagonisti alla pari, il che significa che i primi debbano talvolta risultare piccoli rispetto al “gioco” che stanno giocando, con diversi gradi di consapevolezza. E’ questo ciò che esige una messa a distanza, ma non impedisce che alcuni personaggi siano decisamente complessi e sfaccettati (penso forse soprattutto ad Alberto Donelli).
A questo si aggiunge credo anche la difficoltà di mettere al centro la natura violata senza volerla idealizzare secondo una certa vulgata ecologista. Non a caso il libro reca in esergo una citazione di Leopardi.
La cosa che più mi ha colpito leggendo il libro è che protagonisti di un degrado che non risparmia nessuno, perché a diversi livelli tutti diventano responsabili, sono abitanti di una regione come l’Emilia Romagna, additata di norma come progressista e civile e che il confine tra pubblico e privato, garanzia del diritto, è violato proprio là dove ci aspetteremmo che venga protetto; è il paradosso del Paese che si legge in una storia apparentemente privata.