Cacciatori allegri: Francesco Pecoraro

La preziosa edizione del libro di Francesco Pecoraro, Primordio Vertebrale, delle Edizioni Ponte Sisto, per la sobria veste grafica mi ha richiamato alla mente o forse è stato un amico a suggerirmelo, quelle altrettanto eleganti della Quodlibet o della Pequod. Pequod, come molti sanno, è il nome della più famosa baleniera del mondo. L’immenso Melville ne immagina a bordo tre ramponieri, Queequeg cannibale del Pacifico, Daggoo l’africano e Tashtego un indiano originario del “Capo Allegro”. « Chiamatemi Tashtego. » Così ha scritto di sé Francesco Pecoraro ai primordi della rete e con il nickname Tash lo conoscono i naviganti. Francesco Pecoraro, se dovessi definirlo a parole mie, è un cacciatore allegro. Il suo è un cabaret filosofico, però, dove senso tragico dell’esistere incrocia il proprio cammino con quello comico del vivere. Vivere è una cosa, esistere la stessa però vista da molto in basso. In Tashtego/Pecoraro l’unico elemento metafisico è lo spazio e infatti la sua “visione del mondo” è laica come davvero poche in circolazione, secondo me. Che scrivesse poesie potevamo immaginarlo, dalle prose poetiche con cui ha raccontato in questi anni ogni possibile variazione dello spazio, sia nei suoi elementi costitutivi, diciamo naturali, che in quelli artificiali, ora un cavalcavia alla deriva di una periferia, ora una semplice piazza. Che scrivesse delle belle poesie l’ho scoperto con questo libro. A seguire, degli estratti che rispettano la successione delle sezioni secondo una mia selezione assolutamente arbitraria e soggettiva. effeffe

da Prime notti

Sarà fatale l’inverno di quest’anno,
giungendovi così,
come fuggendo
da una macchia in fiamme.
Il fiato grosso,
il corpo solo esteriormente
intatto.

*

Migrano uccelli,
appunto migratori,
le penne remiganti
aperte all’aria
e pensieri leggeri
evanescenti in testa.

*

 

Ed ecco l’aeroporto,
immobile, sospeso
tra l’aria respirabile
e quella adatta al volo.
Bisogna attraversarlo
in senso trasversale.
L’iter procedurale
che mi sospinge avanti
mi toglie ad una ad una
le ragioni del viaggio.
Il pavido trasogno
nella sala d’imbarco,
da dove s’intravede
un grande trapezio
sagomato
un cilindro imbutito
un’apice ogivale rivettato.
Ecco l’era del fuoco,
le tracce degli eccessi
di potenza aeronautica.
Porzioni di velivolo
tenute su con viti a testa piatta
sporche di bave d’olio
brunite da selvagge combustioni.
Da umano,
ridotto a passeggero,
coinvolto in un decollo,
trascinato in cielo.

da Madre acqua

Creste marine in movimento.
Lucide scaglie d’acqua.
Dorsi di leviatani in emersione.
Schiaffi di duri refoli ritorti,
come corde d’aria.
Strati concentrici di rocce,
come sezioni
di tonni giganteschi.
E cuspidi di mare
intorno ai promontori,
dove s’avvolge la corrente.
Questi i residui estremi
dei giorni miei
scaduti nell’Egeo

 

*

L’acqua la vedo gelida
e sento i sassi caldi.
La luce è inaccettabile
anche per gli occhi chiusi.
Il corpo mi si arrossa
e indolenzisce presto
dove tra pietre e ossa
non c’è che pelle e tela.
E pelle sente a brividi
i brividi dell’aria.
Il mondo non è fatto
per essere abitato

da Ultime notti

Quando stavo bene
dormivo pancia–sotto
restando a collo torto
per una notte intera.
Quando stavo bene
(in quell’aria inaudita)
sedevo su una sedia
di plastica, fissavo
l’orizzonte come
un’idea assoluta.
Quando stavo bene
spandevo nello spazio
fumo dalle labbra,
credevo si potesse
parlare all’infinito.
Quando stavo bene
mi amavo come corpo
mi carezzavo il petto
d’estate, i muscoli
plastici, contratti.

Quando stavo bene
leggevo ancora Conrad,
mi arredavo un futuro
che adesso se lo cerco
non lo trovo.
Quando stavo bene
non era come adesso.
Anche adesso sto bene
ma di meno.

da Sette rebus

Rebus sette

Mano a schermo sulla fronte.
Sole a scaglie all’orizzonte.
Il calore e questa luce
L’ombra (piano) si riduce
Una donna nuota a dorso
Sulla pèsca vedo un morso.
Sdraio poste sulla riva
La medusa ancora viva.
Tra le labbra c’è un capello.
Muore il granchio nel secchiello.
L’aria è piena di richiami.
Poi ti guardo: forse m’ami.

5 COMMENTS

  1. Libro stupendo: panico, romantico, a tratti forse anche progettuale.

    “Solo rimango
    d’una specie estinta”, temo sia vero, Francesco.

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017