Il ruggito del coniglio
Mentre ascoltavo su Radio Tre il programma Tutta la città ne parla, questa mattina dedicato all’apertura della stagione della caccia, una radio ascoltatrice rileggeva un passaggio del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. La citazione radiofonica cominciava con la descrizione del coniglio selvatico. Andando a caccia del passaggio mi sono imbattuto nella scena che precede l’assassinio. Dove si parla di danza religiosa. E proprio in questa “sospensione” descrittiva ho ritrovato la più autentica vocazione della letteratura.
effeffe
“Poco prima di giungere in cima al colle, quella mattina, Arguto e Teresina iniziarono la danza religiosa dei cani che hanno scoperto la selvaggina: strisciamenti, irrigidimenti, prudenti alzate di zampe, latrati repressi: dopo pochi minuti un culetto di peli bigi guizzò fra le erbe, due colpi quasi simultanei posero termine alla silenziosa attesa; Arguto depose ai piedi del Principe una bestiola agonizzante.
Era un coniglio selvatico: la dimessa casacca color di creta non era bastata a salvarlo. Orribili squarci gli avevano lacerato il muso e il petto. Don Fabrizio si vide fissato da grandi occhi neri che, invasi rapidamente da un velo glauco, lo guardavano senza rimprovero, ma che erano carichi di un dolore attonito rivolto contro tutto l’ordinamento delle cose; le orecchie vellutate erano già fredde, le zampette vigorose si contraevano in ritmo, simbolo sopravvissuto di una inutile fuga: l’animale moriva torturato da una ansiosa speranza di salvezza, immaginando di potere ancora caversala quando di già era ghermito, proprio come tanti uomini. Mentre i polpastrelli pietosi accarezzavano il musetto misero, la bestiola ebbe un ultimo fremito e morì; ma don Fabrizio e don Ciccio avevano avuto il loro passatempo; il primo anzi aveva provato in aggiunta al piacere di uccidere anche quello rassicurante di compatire.”
Da “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pp 89-90
Odio la caccia, questo residuo della barbarie su cui si fonda la cosiddetta civiltà. Odio i mattatoi, campi di sterminio di cui ci sono stati anche antecendenti con gli umani, odio le armi e la prevaricazione dovuta alla specie, al malinteso senso di dominio, odio tutto ciò, il sangue il dolore inferto agli animali che sentono, pensano vivono respirano proprio come noi!
“Non so come darò misura alle mie idee, e tono a sentimenti che non domino: alla paura specialmente, che in me adesso io scopro intemperante, e ciarliera quanto l’ira, se le do la stura, come in auto poco fa, tornandomene a casa tutto solo. Finora la paura m’ha sospinto e la paura m’ha ritratto. Anche la lepre però sa risolversi alla lotta, e sceglie l’ira, se fuggire o nascondersi non serve più.”
Giulio Angioni “l’oro di fraus”
http://www.youtube.com/watch?v=4SV8FnrkwmM
p.s. ah,la memempsicosi!
autore a cui vorrei dedicarmi e a cui si dedicò acutamente Sergio Atzeni effeffe
Questo tipo di “compatimento” mi sembra ancora peggiore del piacere di uccidere, è meno umano e molto più cattolico. D’altro canto si tratta del Gattopardo…
Un bellissimo pezzo, non lo ricordavo per niente.