Kenneth Anger alla Galérie du Jour
di
Enrico Camporesi
È un’annosa questione, quella che circonda le esposizioni di cinema. Si sa come, nello spazio museale, una componente fondamentale del film, la sua stessa condizione di esistenza, venga a mancare – la proiezione. Ancora più inconcepibile è, a prima vista, la presenza di un cineasta in una galleria. Cosa si può vendere, infatti? Non certo una copia di un film, poco appetibile per i collezionisti. Del resto (ma questo è forse un altro corno del problema) siamo di fronte alle stessa trita questione dell’arte della riproducibilità tecnica. Più volte mi domando se non sarebbe proficuo accantonare questa definizione insoddisfacente, in favore di un paradigma diverso – Paolo Cherchi Usai proponeva, dal canto suo, un’arte della ripetizione. (1)
Non questa la sede per spingerci in un’inchiesta ontologica sul cinema. Più pragmaticamente, invece, in termini di mercato qualcosa è stato fatto. Nella sua estrema semplicità, sembra uno stratagemma soddisfacente, per il cineasta, trarre dalla copia del film stampe di qualche immagine. Dal film alla foto dunque, in edizione numerata e siglata. Questa la soluzione adottata da tempo da Jonas Mekas. Così è anche nella mostra di Kenneth Anger alla Galérie du Jour di Agnès B. a Parigi (che del resto, è anche la gallerista di Mekas). Vi è allora una stanza con qualche stampa di grande proporzioni. Lo spettatore si avvicina e l’occhio si dirige a scrutare la consistenza dell’immagine. La grana però pare svanita, dissolta in una piattezza sconcertante. Un pensiero lo assale, le stampe sono incredibilmente deludenti. Certo l’effetto dell’Osiride interpretato da Donald Cammell in Lucifer Rising, ad esempio, non è del tutto svanito, ma quando si scorge sul cartellino la scritta tirage numérique, l’insieme appare ben più deprimente.
Non mancano, ad ogni modo, i film esposti (in proiezione video): in una sala sta Inauguration of the Pleasure Dome (1954) accompagnato dalla Messa glagolitica di Janáček, nell’altra Puce Moment (1949), che l’occhio distratto del visitatore si può concedere di sbirciare. Certo rimane poca cosa dell’impatto dei film nella sala ma qualcuno potrebbe obiettare che fra le sparse membra della filmografia di Anger, così disseminata di progetti incompiuti, smarriti o appena abbozzati, una visione parziale non sia poi così fuori luogo, quasi come si stesse a guardare gli arti amputati caduti dal letto di Procuste. C’è però qualcosa che ha attratto prevalentemente la nostra attenzione. La sala di ingresso presenta alcune memorabilia dalla collezione di Kenneth Anger: ritratti del cineasta, volantini per le proiezioni di alcuni suoi lavori. Ancora meglio sono le pareti allestite coi formidabili ritrovamenti di Anger. Un muro è completamente ricoperto di immagini di Billie Dove. Ricordi di una carriera folgorante, al fianco di Douglas Fairbanks in The Black Pirate (Albert Parker, 1926) ma soprattutto a fianco di Howard Hughes, del quale fu la compagna. Incastonato al centro di questa parete colma di ricordi sta un dipinto della stessa Dove, Masquerade, in guisa di testimonianza del suo talento in pittura. Anger, l’ammiratore, l’aveva risparmiata nel suo impietoso Hollywood Babilionia, citandola solamente di striscio in qualche riga dal sapore melanconico sulla Hollywood post crisi del Ventinove. (2)
Su muro di fronte si trova un altro fitto mosaico di fotografie e locandine, di un altro idolo di Kenneth Anger, Rodolfo Valentino. Altrove, il cineasta ricordava come fosse legato alla sua famiglia, per via di una nonna costumista che, a suo dire, gli avrebbe donato i bottoni del cappotto che Rudy indossava in The Eagle (Clarence Brown, 1925). Probabilmente si tratta di un’altra storia da intrecciare al suo vissuto fantastico, in perenne indecidibilità fra la realtà e la finzione, sulla falsariga dell’aneddoto che lo vuole attore bambino nel Midsummer’s Night Dream (1935) di Max Reinhardt. In fondo, non vi è poi alcuna ragione di voler provare il contrario. Ciò che conta è che gli avvenimenti del suo vissuto, anche qualora fasulli, sono eloquenti riguardo all’autore. Così come parlano queste foto disposte davanti ai nostri occhi, una sorta di atlante mirabile della Babilonia californiana della quale Anger aveva raccontato le peripezie a più riprese. C’è appunto più di un richiamo nelle sale agli scritti del cineasta sulla Hollywood tumultuosa: in una teca stanno alcuni articoli dai Cahiers du cinéma, un abbozzo del volume a venire (che sarà pubblicato inizialmente in francese, da Jean-Jacques Pauvert, nel 1959). (3) Vi è poi una sorta di scultura al neon, con un paio di labbra femminili aperte, stile insegna da night bar. Sulle labbra si legge, neanche a dirlo, Hollywood Babylon.
Anger sostiene di aver cominciato a raccogliere fotografie dalla tenera età di tre, quattro anni. Una passione febbrile lo ha sostenuto nell’accumulare vertiginosamente questi materiali, «come se si trattasse di proteggersi dal mondo tramite un fragile ma raffinato, efficace scudo», ha scritto giustamente Jean-Claude Lebensztejn. (4) Di tale pratica la mostra alla Galerie du Jour restituisce una visione avvincente e credibile: una sorta di tempietto portatile dove ci può recare per rendere omaggio agli idoli di celluloide.
Il culto della Hollywood tramontata pare correre parallelo, nell’opera di Anger alla venerazione di Lucifero. Del resto non c’è da stupirsi giacché più volte lo stesso ha identificato questo “angelo della luce” con il cinema e il fascio di luce emesso dal proiettore. Fra gli oggetti disseminati nella sala da Anger sta, a illuminare la parete dedicata a Valentino, una curiosa abat-jour che riprende un momento da The Sheik (George Melford, 1921). La tenue luce emessa dalla lampada carezza garbatamente i ritratti del divo. Forse anche in questo bizzarro soprammobile si annida un poco della potenza di Lucifero.
Kenneth Anger – Galerie du Jour Agnès B.: dal 13 settembre al 3 novembre 2012. 44 rue Quincampoix, 75004 Paris.
Note:
[1]) Cfr. P. Cherchi Usai, The death of cinema. History, cultural memory and the digital dark age, BFI, London 2001, p. 59.
2) Cfr. K. Anger, Hollywood Babylon, Dell Publishing, New York 19752, p. 152.
3) Cfr. K. Anger, L’Olympe ou le comportement des dieux, in «Cahiers du cinéma», n. 76, novembre 1957; Id., Hollywood où le comportement des mortels, in «Cahiers du cinéma», n. 77, dicembre 1957; Id., Les dieux aux enfers (fin), in «Cahiers du cinéma», n. 79, gennaio 1958.
4) J.-C. Lebensztejn, Figures de culte. Beckford avec Anger, in «Vacarme», n. 24, estate 2003.