Like a Stoner
I libri sono un’espressione dell’atletica, si costruiscono sulle distanze, sulla qualità del respiro, la dose di muscoli e mentale. Ci sono libri che come in certe gare non riescono a tagliare il traguardo nei modi e nei tempi che si erano immaginati. Partenza troppo sicura e passo incerto nel mezzo della gara. Altre volte la gare sono qualcosa che sfiora la perfezione. I piedi dell’atleta, dello scrittore, del lettore sembrano staccati da terra e allora nulla sembra trattenere l’involata. Stoner, di John E. Williams è magistrale per due ragioni. La prima, per il modo in cui si pone ad una equa distanza dall’esistenza minima dei personaggi e dalla potenza dei temi trattati e delle loro aspirazioni, la seconda perché davvero vivi sulla tua pelle quello che in loro pare inciso nell’anima, fino a farla sanguinare. effeffe Qui di seguito la bella recensione che ne ha fatto Domenico Calcaterra per noi.
Domenico Calcaterra scrive di
John E. Williams
Stoner
(con una postfazione di Peter Cameron)
Roma
Fazi
2012
ISBN 978-88-6411236-7
Non nascondo tutta la mia diffidenza, verso i presunti casi letterari d’oltreoceano. Sfiducia che m’induce ad autoimpormi di limitare al massimo, quasi fosse una regola, sconfinamenti e trasferte. Ma devo dire che per lo Stoner di John Williams (Fazi, 2012), la sfiducia e il pregiudizio si sono da subito mutati in inattesa scoperta. A due anni dalla pubblicazione in Italia del suo libro senz’altro più famoso e celebrato, Augustus. Il romanzo dell’imperatore (Castelvecchi, 2010), a metà tra biografia romanzata e romanzo storico, Fazi fa centro traducendo il terzo romanzo di questo scrittore texano, uscito per la prima volta senza troppi clamori nel 1965, e divenuto più di recente un fenomeno grazie al recupero in patria con la ristampa fatta dalla New York Review Book nel 2003. Ma che cos’è a donare la straordinaria attualità di un classico al romanzo di Williams? La storia è tra le più convenzionali: il racconto d’una esistenza del tutto normale e incolore o, se vogliamo, del suo inesorabile fallimento. Di origini umili e contadine, Stoner trova l’emancipazione (?) nello studio della letteratura al college e nella scoperta possibilità di una carriera che lo porterà a svolgere con onestà e passione, per oltre quarant’anni, la professione accademica alla Columbia University.
Avvolta in una cappa di mediocre inettitudine, la sua vita è per lo più fatta di sconfitte: la perdita dell’amicizia, un matrimonio già fallito in partenza, una figlia adoratissima ma come lui destinata a perdersi, la tardiva scoperta d’una genuina fedeltà all’insegnamento e i dissapori connessi all’ambiente universitario, la rinuncia al solo vero amore della sua vita. Il massimo che gli è dato di cogliere sono l’insistito pressare di talune fondamentali domande (che a lui sembrano porsi innanzi con più impersonale forza) e l’affinarsi d’un nichilistico sentire che fa tutt’uno con il dissolversi dell’illusione di essere vero artefice del proprio destino. Ecco che la vicenda di Stoner, la sua cronica incapacità, inchioda per quel riuscire davvero esemplare, simile a un prisma capace di riflettere insoddisfazioni e frustrazioni della vita di everyman; a erodere quella certa dose d’imperdonabile disonestà verso se stessi. Infatti, come non scorgere nella monotona esistenza di Stoner una molecola della nostra inadeguatezza, un’oncia del nostro disagio di stare al mondo?
«Aveva concepito la saggezza e al termine di quei lunghi anni aveva trovato l’ignoranza» – basterebbe questo passaggio per convincersi di essere dinanzi alla cronaca minuta d’una totalizzante resa. Ma siamo sicuri si tratti solamente di un’inerme certificazione nichilista? Se così fosse ben altri autori si potrebbero chiamare in causa e meglio, certamente, gioverebbero allo scopo. Se non si è ancora detto tutto, che libro è, dunque, questo di Williams? Accanto all’esperienza del nulla, a brillare come non meno autentica rivelazione (distillata nelle pieghe del racconto) sta la scoperta dell’amore, da lui offerto a ogni svolta della vita, e la cui sostanza poteva sintetizzarsi, semplicemente, in un «Guarda! Sono vivo!». E non è un caso che l’unico scampolo di felicità concesso nell’esistenza di Will Stoner sia proprio la relazione extraconiugale con la giovane e talentuosa allieva Katherine Driscoll, non per il rifugio che la storia d’amore in sé poteva offrire alla sua conclamata condizione d’infelicità, ma per quel barlume di verità che gli permette, in concreto, di conoscere e sperimentare di e su se stesso. Un amore che scopre come «parte del divenire umano», «condizione inventata e modificata momento per momento», dal guizzo della volontà, dell’intelligenza, del cuore. Sarà l’accarezzare nuovamente, sull’orlo d’un inconsolabile rimpianto, questo speciale e compiuto sentimento d’amore, avvertito come piena consapevolezza dello stare al mondo, forma suprema di conoscenza, a fargli rifiutare l’idea di salvarsi.
Con una scrittura di rara eleganza e misura, di profonda penetrazione psicologica, capace di cesellare sequenze memorabili come quelle dedicate all’idillio amoroso, o ancora e più quelle finali sull’appressarsi della morte del protagonista, John Williams con Stoner ci consegna uno straordinario e singolare romanzo d’amore tout court.
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i casi letterari d’oltreoceano ci hanno portato tanti di quei regali che non finiremo mai di essere grati a quegli esploratori che sfidarono lo scorbuto e il destino(quasi in un controsenso)salvandoci da una panne culturale che ci avrebbe regalato solo “storie di ufo e di suore che menano” o letteratura elegantissima ma senza ritmo anche 150 anni dopo il seppellimento dell’ultimo verista ottocentesco
http://www.youtube.com/watch?v=7tuJFei7Xa8
un libro che mi è piaciuto moltissimo