Ritratto con pecora morta

di Andrea Gentile

Il cadavere della pecora è disteso, compatto. Appare un soprammobile. Le orecchie sono erette, in rigor mortis, sotto di cui compaiono i primi effetti ipostatici. Il sangue ha già iniziato a depositarsi nelle regioni declivi del cadavere, riempiendo i vasi del derma. Le lividure cadaveriche non mi impressionano. Neanche essere lì, ora.
Pellicone dondola con la testa, come a dire sì.
Guardo il suo volto. È costellato di comedoni e papule. Una cicatrice corona la vena enorme che pulsa sotto il collo. Non dice. Mi guarda.
Roteo il rasoio, dando l’idea di un avvio ipotetico.
Guardo il cadavere.
Penso che è già in atto il processo putrefatorio. I germi anaerobi hanno già elaborato fermenti, ora all’azione nell’atto del divoramento di una vita che fu.
Guardo il suo muso.
È angelico, in quanto ferino.
Esala inarrestato un afrore acido.
Guardo i suoi occhi.
La lana trattiene i segnali corporali, io sono lì perché non sono a cercare la madre mia che è morta.
Lo sento: che è morta.
Mi chino.
Pellicone non parla.
Nessun rumore attorno a noi.
Devo adagiare il rasoio sul cadavere, non so da dove iniziare. Lo avvicino lentamente.
Il rasoio entra in contatto con la pelle. Avverto la pelle che trema. Subisco il brivido.
Taglio, procedo al taglio, poi scatto all’indietro, la mano esce dalla scena in autonomia, mi volto, Pellicone mi guarda, ora chiudo gli occhi, la mano ritorna sul corpo ovino, lo tocco.
Il contatto con il cadavere mi scuote, subisco rorschach di contrazioni muscolari asincrone, impulsi cerebrali involontari si riflettono sul corpo mio. Percepisco, mi pare, una specie di stridio tra il rasoio e la pelle ovina, nugoli di lana cadono, il cadavere essendo inerte.
Mi volto verso Pellicone, che è in piedi. Non riesco a guardarlo negli occhi: il sole corona il suo volto. Vedo solo il suo sorriso; e il dente giallastro scintillare.
Ripiombo sul corpo della pecora. Devo rasarla tutta. Procedo seguendo un moto ondulatorio, circolare. Il rasoio mi sembra un trattore. Raggiungo il collo. Noto una ferita, forse inflitta da Pellicone. Passo il rasoio in contropelo, sotto il pizzetto, guardo il suo muso che è un viso, e che pur sembra esistere, al di fuori dell’esistere.

Ringrazio Andrea Gentile per questo estratto da L’impero familiare delle tenebre future (Il Saggiatore, 2012), il suo primo romanzo.

2 COMMENTS

  1. Viaggio allucinante e allucinato in un’atmosfera straniata, poststorica, legnosamente simbolica. Una lingua-bisturi da cui escono, come da un taglio, certe verità illuminanti e epifaniche. E molte belle pagine dove il testo sembra procedere a lasse, come in un poema medievale, ove il personaggio femminile (quasi un cavaliere) porta avanti la sua quete. Un viaggio da fare per intero leggendo L’impero familiare delle tenebre future!

Comments are closed.

articoli correlati

Conversazione con Paolo Zardi su “L’invenzione degli animali”

A cura di Gianluca Garrapa L’invenzione degli animali è l’ultimo romanzo di Paolo Zardi, uscito a settembre del 2019...

Scultore di sé

di Daniele Muriano   Quanto gli piaceva scolpire nel giardino, mentre in estate gli uccelli svolazzavano attorno senza posarsi sul marmo,...

I fratelli Michelangelo

di Luca Giudici L’ ultima fatica di Vanni Santoni è pubblicata da Mondadori, e si intitola “I Fratelli Michelangelo”. Nel...

Sì, uscirne vivi

di Walter Nardon Non fosse venuto a sapere che, al termine della riunione, con ogni probabilità si sarebbe fatto vivo...

da “Colpo di stato nella San Marino rossa”

di Daniele Comberiati   Ricorda Balducci, le parole del Gardini, ricordale mentre corri ora che la strada sembra piccolissima sotto i...

Dalle terre di mezzo della prosa

di Andrea Inglese Vivere è incoerente. È frammentario. Ma è lecito che sia tale. Fa parte del disordine naturale dei...