Totem & Tabù : Baricco


di
Francesco Forlani

Nelle Cronache di Bustos Domeq, di Jorge Luis Borges e Adolfo Bioy Casares, c’è un breve racconto intitolato Esse est percipi, che riporta una conversazione fra due amici sulla realtà, piuttosto la finzione del calcio. Uno sport che abdica dalla imprevedibilità del gioco vero in nome dello spettacolo “organizzato”, truccato dietro le quinte dei media.
Quando ho letto l’ultimo libro di Baricco Tre volte all’alba, è stata proprio la frase di Berkeley a risuonarmi dentro. Vuoi per il risaputo amore di Baricco per il calcio, vuoi per l’anomalia Baricco, una su tutte quella di non potere come lettori prescindere dalle reazioni che suscita il nome, il personaggio, il simbolo, in una sola parola la mauvaise réputation che lo accompagna. Una cattiva reputazione che circa un anno fa fu proprio Baricco a raccontare suscitando tra le varie reazioni, quella di Antonio Moresco con un’accorata e bella lettera pubblicata da Repubblica.
Per fortuna, di Baricco, ma anche nostra in un certo senso, il tabù Baricco sembra interessare più la critica e un certo tipo di critica che i lettori, lettori in generale visto che le sue opere sono tra le più lette e vendute in italia e all’estero a cominciare dalle prime che pure avevano messo d’accordo tutti, come è possibile leggere in un documentatissimo dossier intitolato Castelli di rabbia, il caso editoriale, in cui lo stesso Goffredo Fofi non aveva esitato a definirlo “un inventore”.

Esse est percipi scriveva Berkeley e come Borges anche Beckett si era servito di questa tanto inoppugnabile quanto misteriosa tesi in Film. Proprio su questa idea di double, Berkeley vs Keaton/Beckett Gilles Deleuze aveva concentrato la sua analisi in Critique et clinique / 1993, ed è su questo paradigma del doppio che vorrei costruire la mia personale lettura del libro in questione.


Quando qualche giorno fa ho incontrato Alessandro Baricco per strada gli ho così detto che mi era piaciuto il suo libro e che ne avrei scritto nei giorni a venire. “Sorpreso eh!” o una cosa del genere mi ha risposto fulminandomi con ironia. Ho immediatamente realizzato che l’entusiasmo che gli aveva manifestato avrebbe potuto annunciarsi con una frase che rimaneva sotto testo, una cosa che sarebbe suonata tipo: roba da non crederci, non te l’aspettavi eh, incredibile ma vero, però il tuo libro mi è piaciuto. Insomma quel tipo di cose che partono come un complimento e finiscono per essere quasi un insulto.
E ho aggiunto a quel punto che il libro “tre volte all’alba” mi era piaciuto per due ragioni. Una per il coraggio di concepire un’opera interamente costruita su dialoghi, spartiti, in un momento in cui la letteratura sembra aver dimissionato da questi in nome delle descrizioni oggettive, e l’altra per la perentorietà della frase, un passo estremamente potente che proprio al teatro di Beckett mi ha fatto pensare.
Pubblico questa introduzione continuando la mia analisi nei commenti.

13 COMMENTS

  1. Una prima cosa che mi ha colpito è stata quella del personaggio “portiere di notte”. Diversi autori in questi ultimi mesi si sono dedicati a questo tipo di figura, Luca Ricci per esempio, nel suo ultimo romanzo https://www.nazioneindiana.com/2012/10/12/una-critica-in-diretta-luca-ricci-mabel-dice-si/ A mio parere, opinione sicuramente condizionata dalla mia esperienza letteraria, come spesso accade in letterartura o nel cinema, il ricorrere di certi personaggi concettuali, vedi la figura del mago nella letteratura tra le due guerre, o i viaggiatori folli negli anni 50, non è mai innocente, il prodotto di una pura casualità. Il secondo atto per esempio si apre con la domanda: “Quando dormono i portieri di notte?. Dico atto perchè trovo assai insensato il parallelo tra questo libro e le variazioni di Queneau Esercizi di stile.

  2. In realtà non c’è un tema comune alle tre storie, un fatto raccontato in tre modi diversi. Diciamo pure che mentre negli esercizi di Queneau il tempo e lo spazio sono gli stessi, in tre volte all’alba il tempo è completamente altro dal tempo delle esperienze, un tempo anomalo lo definisce Baricco, scandito dal dialogo, dalle battute dei due protagonisti. Nel primo atto, il portiere di notte non si vede, si sa solo che esiste e che la donna, nelle prime battute presentata come un’intrusa che si comporta da clandestina, da irregolare, prima di rivelare la propria identità, teme profondamente. Ecco, se variazione c’è riguarda proprio lui, il portiere di notte, che nel primo atto si evoca soltanto, nel secondo è l’uomo. E nel terzo?

  3. Nel suo ultimo libro, Stress e libertà, Peter Sloterdijk, a un certo punto istituisce un interessante parallelo tra la quinta passeggiata delle fantasticherie di Rousseau e l’opera Eleuthera di Beckett. Delle riflessioni del filosofo sul rapporto e lo scontro dell’uomo con il “reale” prenderei in prestito qui, ora, una particolarmente efficace e pertinente per le cose che stiamo dicendo. più particolarmente quando scrive: ” L’ultima annotazione scenica di Beckett prevede che Victor si sieda sul proprio letto e, raccolto, fissi il pubblico, l’orchestra, le balconate a destra e a sinistra . Poi si sdraia volgendo le esili spalle all’umanità” Ora l’uomo sul letto ha raggiunto l’uomo nella barca, scrive Sloterdijk facendo riferimento all’episodio chiave della quinta passeggiata in cui rousseau racconta come disteso in una barca si lasciasse andare alla deriva e in quel movimento passivo ritrovasse la propria anima esperisse il sè come in nessun tipo di attività gli era stato concesso di vivere.
    E allora, conclude Sloterdijk, “Noi capiamo che letto e barca svolgono la medesima funzione. L’uomo, disteso, è più vicino alla libertà.

  4. In tre volte all’Alba in tutti e tre gli atti troviamo quest’atto del distendersi sul letto in tre funzioni diverse e soprattutto raccontato attraverso la percezione dell’occhio spettatore e non certo di chi si sta lasciando andare alla deriva.
    Nel primo atto la donna si appropria del suo letto terribilmente in ordine e nuda comincia a farsi raccontare una storia, anzi la Storia. Nel secondo riroviamo sempre lei sdraiata sul suo letto – lui questa volta è il portiere dell’albergo e la sta nascondendo dal compagno che vorrebbe ammazzarla di botte, e nel terzo è lui, ormai o ancora ragazzino disteso sul letto di una squallida camera d’albergo da cui lei, questa volta di nuovo donna poliziotto come nel primo atto, lo porterà via. Nelle tre descrizioni di quel gesto, postura, tanto semplice quanto problematico come scoprirà chi leggerà il libro accade esattamente quanto teorizzato da Sloterdijk. nei tre casi la vera protagonista è proprio la prossimità a qualcosa che si potrebbe definire libertà.

  5. Tutto sulla terra è in un flusso continuo. Nulla mantiene una forma costante e fissa, e i nostri sentimenti per le cose esteriori passano e cambiano necessariamente come loro. Costantemente, prima o dopo di noi, esse ricordano il passato che non è più o anticipano il futuro che spesso non deve affatto essere: non vi è là nulla di solido a cui il cuore si possa attaccare. Così non abbiamo quaggiù
    nient’altro che piacere che passa; in quanto alla felicità che dura, dubito che la si conosca. A malapena si trova nei nostri più vivi piaceri un istante in cui il cuore possa veramente dire: Vorrei che questo istante durasse per sempre; come possiamo allora chiamare felicità uno stato fuggevole che ci lascia poi il cuore inquieto e vuoto, che ci fa rimpiangere qualcosa che era, o desiderare qualcosa che sarà? scrive il magister Rousseau nella quinta passeggiata. tre volte all’alba si chiude proprio su questa riflessione, e lo fa con un gioco di sguardi tra l’uomo e la donna, lasciando un finale aperto. Un finale che si ripete appunto insieme alla domanda: sarà lui il portiere di notte? Ovvero il solo che possa capire la luce dell’alba e la trasforma nella propria notte.

  6. E su questo atto del distendersi vale forse la pena di ritornare. Proprio Gilles Deleuze ravvisava in Film di Beckett un momento che potremmo devinire dell’affezione attraverso l’oggetto e movimento della sedia a dondolo. Del resto http://www.youtube.com/watch?v=Qox-KbkXITU come si vedrà, verso la fine del film, il movimento sembra suggerire proprio quel lasciarsi cullare dalla barca alla deriva così come ce lo aveva descritto Rousseau nella quinta passeggiata. Ma seguiamo il filosofo francese nella sua descrizione ( a questo link la traduzione in italiano http://www.scribd.com/doc/40018879/Critica-e-Clinica-Gilles-Deleuze )

    Troisième cas : la berceuse, l’Affection
    Le personnage a pu venir s’asseoir dans la berceuse, et s’y assoupir, à mesure que les perceptions s’éteignaient. Mais la perception guette encore derrière la berceuse, où elle dispose des deux côtés simultanément. Et elle semble avoir perdu la bonne volonté qu’elle manifestait précédemment, quand elle se hâtait de refermer l’angle qu’elle avait dépassé par inadvertance, et protégeait le personnage contre les tiers éventuels. Maintenant elle le fait exprès, et s’efforce de surprendre l’assoupi. Le personnage se défend et se recroqueville, de plus en plus faiblement. La caméra-perception en profite, elle dépasse définitivement l’angle, tourne, vient en face du personnage endormi et se rapproche. Alors elle révèle ce qu’elle est, perception d’affection, c’est-à-dire perception de soi par soi, pur Affect. Elle est le double réflexif de l’homme convulsif dans la berceuse. Elle est la personne borgne qui regarde le personnage borgne. Elle attendait son heure. C’était donc cela, l’épouvantable : que la perception fût de soi par soi, « insupprimable » en ce sens. C’est le troisième acte cinématographique, le gros plan, l’affect ou la perception d’affection, la perception de soi. Elle s’éteindra aussi, mais en même temps que le mouvement de la berceuse se meurt, et que le personnage meurt. Ne faut-il pas cela, cesser d’être pour devenir imperceptible, d’après les conditions posées par l’évêque Berkeley ?

  7. Cosa sappiamo noi di questo romanzo?
    Che sono tre storie. Tre incontri. Tre episodi. Scrive Baricco:
    “Nell’ultimo romanzo che ho scritto, Mr Gwyn, si accenna, a un certo punto, a un piccolo libro scritto da un angloindiano, Akash Narayan, e intitolato Tre volte all’alba. Si tratta naturalmente di un libro immaginario, ma nelle immaginarie vicende là raccontate esso riveste un ruolo tutt’altro che secondario.
    Il fatto è che mentre scrivevo quelle pagine mi è venuta voglia di scrivere anche quel piccolo libro, un po’ per dare un lieve e lontano sequel a Mr Gwyn e un po’ per il piacere puro di inseguire una certa idea che avevo in testa. Così, finito Mr Gwyn, mi son messo a scrivere Tre volte all’alba, cosa che ho fatto con grande diletto.
    Adesso Tre volte all’alba è scritto e forse non è inutile chiarire che può essere letto da chiunque, anche da coloro che non hanno mai preso in mano Mr Gwyn, perché si tratta di una storia autonoma e compiuta. Ciò non toglie tuttavia che, nella sua prima parte, mantenga ciò che Mr Gwyn prometteva, cioè uno sguardo in più sulla curiosa vicenda di Jasper Gwyn e del suo singolare talento.”

  8. La domanda che ci facciamo come lettori è cosa unisca i tre atti, i personaggi nelle tre sequenze, uomo donna, uomo donna, uomo donna bambino. Semplice, anzi elementare visto che il tono del romanzo è poliziesco: la morte, perchè è all’alba che si sconta la condanna, perché è la sola, la morte a rendere possibile la fuga da quell’essere che è tale solo se è percepito. Così’ come la vita immaginata ad essa sfugge, solo un libro inesistente poteva generare qualcosa di già scritto.
    effeffe

  9. adesso lascio che i concetti facciano il proprio lavoro per mettere in ordine il tutto. effeffe

    • Ma chi, Robert Bloch, quello di Psycho?

      Ciao Franzone, come stai? Fatti vivo, vecchio mio…

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017