Quello che vampiri, lupi mannari e mutanti non dicono – Prima di scomparire, di Xabi Molia
di Carlo Mazza Galanti
Distopie, utopie, ucronie, qualunque sia il taglio, tonale e formale, che si voglia dare alle diverse interpretazioni immaginarie della storia umana, quello della fantapolitica è forse il genere più “perturbante” oggi a disposizione degli scrittori, quello meglio capace di riprodurre la fertile e angosciosa convivenza di famigliarità e straniamento che Freud riconosceva nella grande letteratura fantastica dell’ottocento. Come se soltanto la trasposizione del presente sul binario di una cronologia parallela potesse liberarci dal peso soffocante di un realtà riprodotta e moltiplicata in maniera esponenziale, dal sovraccarico d”informazione, dall’esposizione continua al resoconto dell’attualità. Non riusciamo più a volare in mondi arcani, perderci in labirinti metafisici, dialogare con creature oltremondane: ma manipolare leggermente il calendario è uno stratagemma sufficiente a mescolare le carte di questa bruta fattualità per farne emergere ideologie, contraddizioni, punti ciechi.
Certo, ci vuole molto talento per immaginarsi una Roma senza papa o un mondo completamente in mano ai nazisti. Molti autori di fantascienza e fantapolitica oggi in voga scivolano facilmente nel didascalico (o nel moralistico: in Italia, dove pure il genere non manca, pare un difetto abbastanza diffuso), in una complessità tendenzialmente cervellotica e involuta (è il caso del polacco Jacek Duckaj, di cui non ho però letto il libro più apprezzato, La cattedrale, prossimamente in uscita per Voland; o anche, in modo diverso, di Volodine, la cui trilogia post-apocalittica uscita in Francia nel 2011 è in corso di pubblicazione presso Clichy, erede di Barbès edizioni), infine nella parodia un po’ frivola e superficiale, come succede al belga Quiriny de Le assetate, pubblicato quest’anno da Transeuropa.
Nulla di tutto ciò in Prima di scomparire (L’Orma, trad. di Stefano Lazzarin, pp. 300, E. 14,50) del francese Xabi Molia, libro che inaugura la collana franco-tedesca “kreutzville” della neonata casa editrice L’Orma. Che si presenta bene con questo giovane autore (classe ’77) capace di manipolare un immaginario tra i più inflazionati e però (perciò) potenti (vampiri, zombie, mutanti) in un contesto appunto fantapolitico, senza indulgere minimamente a schemi narrativi prevedibili o semplicistici e senza rinunciare, allo stesso tempo, a una scrittura estremamente avvincente, buona per tutti i palati.
La storia si svolge nella Parigi di un futuro prossimo, la Francia è appena uscita da una violenta guerra civile succeduta alla crisi economica che ha visto il riemergere di numerosi gruppi politici, di diversa matrice, pronti alla lotta armata. Ristabilito l’ordine, eletto un presidente capace di accontentare se non tutti molti, attivato un programma di riconciliazione nazionale, esplode una misteriosa epidemia: un male sessualmente (ma non solo) trasmissibile che trasforma le persone in ominidi dotati di grande forza fisica a metà strada tra i mostri di I’am legend (quelli dell’ultima trasposizione filmica, del 2007) e i mutanti di Black Hole (il fumetto di Charles Burns) o i vampiri esistenzialisti di Abel Ferrara, a seconda dello stato di avanzamento dell’alterazione. Parigi diventa una cittadella dove gli umani arroccati lottano contro questi nuovi barbari decisi a prendere il sopravvento, capaci di utilizzare mezzi militari e già padroni di diverse città francesi. Non tutti i sani, però, riconoscono la causa del governo: circola un testo clandestino, un trattato filosofico dal sapore millenaristico intitolato “Il progetto umano” che proclama la fine necessaria dell’umanità. Nuovi schieramenti si formano e attraversano i due campi in maniera caotica, tra la superficie di una città semidistrutta e i labirintici cunicoli della Parigi sotterranea. In tutto questo, un funzionario addetto all’identificazione degli infettati viene improvvisamente catapultato sul campo di battaglia, alla ricerca della moglie scomparsa, una sceneggiatrice di fumetti presa di mira dalla censura durante il periodo della crisi per il contenuto controverso delle sue storie.
Il risultato è un romanzo complesso, stratificato, ma godibilissimo, capace di mischiare contenuti pop e filosofici, spaccati visionari e interni di domestica quotidianità senza alcuna ambizione “postmoderna” e senza che la struttura del racconto ne risenta mai, né sul piano della tensione narrativa né su quella della riflessione, estremamente meditata, attivata dall’assemblaggio degli eventi e dei personaggi. La barbarie, la fine dell’umano, il ritorno violento del rimosso animale (tra i gruppi che difendono gli infettati ce n’è uno che si definisce “animalista”), sono le questioni affrontate da Molia. I finale è aperto: non c’è risposta ma solo la formulazione radicale e accurata di un dubbio, anzi di un complesso sistema di dubbi che attraversa il nostro tempo e il nostro immaginario con un’insistenza ossessiva, a cui la maggior parte delle fantasmagorie di vampiri, lupi mannari e mutanti oggi in circolazione non offrono che un confuso, inerme, tentativo di espressione.
[Questo articolo è stato pubblicato su Alias]
Spero di non essere off-topic, ma su questo tema trovo molto bello questo racconto, leggibile online:
http://www.apex-magazine.com/useless-things/
Un romanzo distopico asciugato fino a diventare racconto alla Alice Munro.
sembra interessante, non conoscevo l’autrice ma sarà preso Il Libro!Gracias.
P,N.
Mi sa che questa è una gran cosa.