Sillabario – Per un manifesto sulla Scuola Bene Comune (versione 1.0) – Dalla A alla F
di Generazione TQ
AUTONOMIA. Le riforme scolastiche succedutesi in Italia negli ultimi anni, a partire da quella della cosiddetta «autonomia» varata dal ministro Berlinguer nel 2000, hanno avviato un processo di privatizzazione della scuola pubblica in obbedienza alle direttive impartite da organizzazioni internazionali come l’OCSE e l’ERT. La riduzione dell’istruzione a una merce, venduta in scuole-aziende in concorrenza tra loro, rientra a pieno titolo in quella tendenza generale del mondo contemporaneo che già all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso Jürgen Habermas definiva la «colonizzazione» in atto dei «mondi della vita» da parte del «sistema» economico-amministrativo. Ovvero la trasformazione dei valori vitali, tra cui rientra l’educazione delle nuove generazioni, in puri scambi commerciali e burocratici. Difendere l’autonomia della scuola significa allora sottrarla al dominio del mercato e ricollocarla in quello «spazio protetto» che naturalmente le compete in quanto bene pubblico.
BENE COMUNE. La scuola pubblica è un bene comune e come tale deve essere tutelato. Produce beni immateriali preziosi per la società intera, per la sua coesione, per la sua crescita culturale e il suo sviluppo economico, primo fra tutti il sapere critico, cruciale per la formazione della cittadinanza e l’articolazione a tutti i livelli della democrazia. In anni di dittatura dell’ignoranza e del razzismo diffuso, con tutte le sue debolezze e mancanze la scuola pubblica ha continuato a svolgere questa sua funzione vitale. Oggi è il momento di affermare con forza che le tre «i» della scuola berlusconiana (inglese, impresa, internet), suffragate dal binomio Moratti-Gelmini, ancorché completamente disattese rappresentano una finta rivoluzione modernizzatrice. Modernità non significa formare tecnici addestrati a soddisfare le richieste del potere economico. Affinché la scuola pubblica sia un Bene comune, gli organi decisionali vanno aperti a tutte le componenti del mondo scolastico (compresi gli studenti e i loro genitori), respingendo gli stravolgimenti proposti dal DDL 993 Aprea-Ghizzoni (trasformazione dei Consigli di Istituto in Consigli dell’autonomia, ovvero consigli di amministrazione, con l’ingresso degli sponsor privati; abolizione degli organi di democrazia interna, con la sottomissione del Collegio dei docenti, ribattezzato Consiglio dei Docenti, in Consiglio dell’autonomia; aumento dei poteri del Dirigente scolastico). In quanto Bene comune la scuola pubblica deve poter contare su congrui finanziamenti da parte dello Stato, ridotti in questi ultimi anni, oltre che a causa dei tagli, anche a causa della contestuale elargizione di denaro pubblico alle scuole private paritarie. Perciò aderiamo alla campagna referendaria avviata a Bologna per abolire questo tipo di finanziamenti (http://referendum.articolo33.org/).
COMUNITÀ. Bisogna pensare alla scuola come spazio non segregato ma incluso nella città, come casa comune dei cittadini di oggi e domani, fulcro della formazione di giovani e adulti (corsi di italiano per stranieri, corsi di lingue, arti applicate, ecc.), luogo di integrazione e socializzazione. La scuola deve essere capace, al di fuori degli orari curricolari, di dare spazio alle istanze delle fasce più disagiate, attraverso forze innovative che emergano dal territorio. Le biblioteche scolastiche, un patrimonio ricchissimo ma sconosciuto a molti, potrebbero trasformarsi da luoghi chiusi e di difficile accesso (quando non del tutto inagibili per mancanza di spazi adeguati o di personale) a luoghi aperti alla città, enti capaci di interagire virtuosamente con le altre biblioteche presenti sul territorio e di promuovere progetti di lettura per adolescenti e giovani adulti.
ECOLOGIA. Il rapporto con la natura dovrebbe costituire materia prioritaria di studio. La vita scolastica dovrebbe svolgersi nel rispetto di pratiche quotidiane virtuose, come le modalità di smaltimento differenziato dei rifiuti, la gestione virtuosa delle mense scolastiche, il risparmio energetico, l’organizzazione di piccole serre, la conoscenza del territorio quale habitat per l’uomo. Le scelte architettoniche e dei materiali costruttivi destinati agli edifici scolastici potrebbero ispirarsi alla filosofia delle scuole steineriane.
EDUCAZIONE. (vedi anche RELAZIONE) La scuola odierna rischia di mancare il ricambio generazionale di «principi, comportamenti e conoscenze» di cui la gioventù di ogni epoca si fa portatrice, se non resta fedele al senso recondito del suo operare, contenuto nella radice etimologica della parola educazione, che, come noto, viene dal latino educere e significa «tirar fuori». L’educazione è primariamente un processo in divenire. L’idea e le pratiche di una scuola-museo devono lasciar spazio a quelle di una scuola-laboratorio, in grado di affinare capacità di giudizio, confronto, sperimentazione. Compito del docente è quello di porre quesiti e guidare il discente a trovare autonomamente le risposte, ricreando esperienze di vita tratte dal mondo esterno per poter presentare contesti e situazioni, aiutando così il discente ad esercitare e sviluppare le proprie capacità di giudizio ed interpretazione del reale. La conoscenza e il rispetto dei propri diritti e doveri, che costituiscono i presupposti per una convivenza civile nella società, spingono i ragazzi a esercitare i propri diritti in piena autonomia, stimolandoli sui propri doveri di cittadini. Le azioni educative non dovrebbero essere volte soltanto ad affinare le abilità cognitive dei ragazzi, ma dovrebbero occuparsi anche della loro sfera emotiva, sviluppando la capacità di dialogo tra l’intrapsichico (il mondo interno) e l’interpersonale (il sistema relazionale), attraverso l’utilizzo integrato di diversi linguaggi. L’educazione dovrebbe essere attuata attraverso pratiche che promuovano «un’intelligenza generale capace di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale» (Edgar Morin[1]).
FISICITÀ. L’obiettivo primario dell’educazione resta imparare a convivere pacificamente condividendo risorse e spazi. L’educazione al sentire dovrebbe essere collegamento indispensabile tra la sfera intrapsichica del minore e la sfera interpersonale affinando le capacità relazionali. Il corpo, sempre più mortificato entro l’esiguo spazio di aule sovraffollate e costipato tra i banchi, dimenticato per ore davanti ai mezzi telematici e a una sempre più invadente realtà virtuale, sembra essere sempre più sconnesso dal mondo emotivo del ragazzo. Le questioni del corpo degli studenti vanno poste al centro della didattica interdisciplinare.
FLIPPED CLASSROOM. (vedi anche SCUOLA 2.0) L’insegnamento ribaltato (flipped classroom), metodo introdotto nel 2004 da Jonathan Bergmann e Aaron Sams alla Woodland Park High School del Colorado, è fondato sulla trasformazione della didattica tradizionale top-down (dall’alto al basso) in una didattica bottom-up (dal basso in alto), euristica, sostituendo il binomio tradizionale «lezione frontale in classe + studio individuale a casa» con lezioni video, e altri materiali didattici preparati dall’insegnante, da consultare a casa e lavoro attivo in classe. In Italia è oggetto di pionieristiche sperimentazioni, di cui si può trovare traccia nel sito dell’Associazione dei Docenti Italiani (ADI): http://www.adirisorse.it/groups/progetti-in-corso/gruppo-di-discussione-su-flipped-classroom/ Per non lasciare questa sperimentazione, come di consueto, alla esclusiva buona volontà del corpo docente ma per svilupparla al pari dei Paesi più avanzati, sono necessari investimenti da parte dello Stato, che solo in questo modo potrà incentivare l’assunzione delle nuove tecnologie digitali quali strumenti indispensabili per una didattica effettualmente nuova.
FORMAZIONE. Con il termine «formazione» oggi ci si riferisce soprattutto alle nuove forze professionali che potrebbero entrare in campo nei prossimi mesi/anni (lo si auspica) all’interno del corpo docente. Formazione e aggiornamento sono dunque due componenti contigue, alle quali i professori devono dedicare una particolare applicazione, trovandosi di fronte una realtà quotidiana che consegna loro aule con studenti cosiddetti «nativi digitali» o quasi, abili e condizionati (e condizionabili) nell’utilizzo di nuove tecnologie e sistemi di comunicazione. Non si può più entrare in una classe senza conoscere le modalità e le potenzialità di un social-network, per fare un esempio; e anche per questo l’interazione, su basi diverse rispetto al passato più o meno recente, diviene sempre più necessaria. In più, non si può trascurare che nelle nostre scuole il binomio lettura-scrittura divenga ogni giorno un problema da affrontare con massima urgenza. Il livello di alfabetizzazione nelle scuole italiane va progressivamente e pericolosamente diminuendo. Formazione dunque vuol dire anche proporre iniziative che favoriscano la lettura (anche dei quotidiani, cartacei e on-line) e la scrittura in classe, attraverso lezioni frontali e laboratori, per recuperare la strada perduta in questi anni. È inoltre auspicabile istituire la presenza di figure distinte dai docenti e dotate di specifiche competenze psico-pedagogiche, in grado di favorire il confronto e il dialogo nelle relazioni tra docenti e discenti.
[1] Questa citazione è contenuta in Formare una testa ben fatta. Edgar Morin entra in classe: giochi di ruolo e didattica per problemi (2003), a cura di Luigi Tuffanelli e Dario Ianes. Una sintesi delle idee cardine del libro è presente all’indirizzo www.darioianes.it/slide/testa.pdf
Le parole sono importanti. In questo manifesto si parla di beni comuni e di beni pubblici coem se fossero la stessa cosa, in realta’ sotto queste espressioni vi sono teorie e visioni dell cose abbastanza diverse. La differenza fra beni comuni e beni pubblici, almeno in senso economico, andrebeb conosicuta, se si vuole parlar ewdi contenuti, e non per slogan, o lezioni video. Io sono stanco degli slogan. e delle elzioni video. La logica dei beni comuni va bene per le foreste, va bene per i teatri, e per gli interessi collettivi, e’ invece molto piu’ discutibile per gli interssi diffusi,ve la vedete una fondazione di diritto privato che gestisce la sucola ‘pubblica’ come se fosse una comunita’ montana che gestisc eil bosco di camaldoli? Vi rendete conto di cosa state parlando almeno quando dite beni pubblici e beni comuni? E ancora: La scuola deve ricevere finanziamenti pubblici. Ma va’? Meno male che c’ e’ tq a ricordarcelo… Cosa proponete allora? Finanziamenti pubblcii fondazioni o a enti privati che gestiscnao le scuole per territorio? O un problema di lotta contro i talgi alla spesa pubblica? Ecco: le parole ch esono importanti, beni pubblici e beni comuni, non sono la stessa cosa… E ancora: la logica dei beni comuni non e’ adatta alla tutela di numerosi casi di monopolio naturale, lo sapete cosa e’ un monopolio naturale? Ve la vedete una fondazione di diritto privato che gestisce la mondezza nelle metropoli, o le ferrovie? Ecco si vero, ho fatto il professorino si , e’ cosi’, perche’ credo che tq sia un mare di parole vuote e generiche, essere di sinistra e’ una cosa seria…ripeto: basta con gli slogan, e con i marchi della cultura che fondano tutto sul lapalissiano, sul condivisibile a oltranza, e sul mainstream giornalistico. Parlare delle cose a ragion veduta, almeno…si chiede troppo? Un saluto
@Marco: grazie innanzitutto di esserti preso la briga di aver scritto questo commento, che al di là del tono polemico coglie un punto nevralgico della questione. Al di là della disquisizione terminologica tra bene pubblico e bene, su cui tornerò alla fine, la domanda fondamentale è: la scuola è o non è un “bene comune” (proprietà comune)? Stando a Ugo Mattei, teorico e giurista dei beni comuni, parrebbe proprio di sì (cfr. Mattei U., (2011) Beni comuni: un manifesto, Laterza, Roma-Bari, pp. 52-53, 70-71). Stano ai docenti torinesi che hanno redatto, il 1 gennaop 2013, il Manifesto per la scuola pubblica come bene comune (http://www.insegnantiarrabbiati.it/), ripreso su doppiozero dal filosofo Enzo Manera (http://www.doppiozero.com/rubriche/78/201302/scuola-bene-comune), parrebbe di sì. Stando ai firmatari dell’appello “L’Urlo per la scuola” del 23 marzo 2012, tra cui molti comitati di insegnanti e presidi emiliani (http://www.urlodellascuola.it/pagina-di-esempio/appello), parrebbe di sì.
Quanto alla distinzione “bene pubblico” e “bene comune”: abbiamo dibattuto tra noi e, segnalando che non c’è unanimità neanche nell’assunzione del termine “bene comune” per designare la Scuola, la volontà di inserire entrambi i termini rispecchia l’attuale situazione italiana: la Scuola è un bene pubblico, in quanto di interesse pubblico è di pertinenza della funzione pubblica. Ma contemporaneamente è diventato, in questo preciso momento storico in cui si è metto in crisi con continui tagli e delegittimazione, un bene comune nel senso che non appartiene né allo Stato né ai privati: è di tutti e, nel momento in cui viene rivendicato e agito come tale, diventa un “bene comune”.
Infine, una postilla: diamo per scontata la definizione di “bene comune” emersa dalla Commissione Rodotà e pubblicizzata da Mattei nel libro citato e in altri, ma non dimentichiamoci che esiste anche una definizione di “bene comune” che si rifà alla dimensione religiosa (http://www.fidae.it/AreaLibera/AreeTematiche/Progetto%20educativo/L.Caselli,%20La%20scuola%20%C3%A8%20un%20bene%20comune.pdf). E ce n’è ancora un’altra, laica, elaborata dai Valdesi: http://www.claudiana.it/php/mostrascheda.php?nscheda=9788870168402
Spero di averti chiarito le idee e dimostrato che, sebbene non abbiamo la presunzione di parlare a “ragion veduta”, per lo meno miriamo alla ragion critica.
Il tuo commento ci servirà, comunque, per tornare su quella vicinanza, foriera di fraintendimenti, tra il termine “bene pubblico“ alla voce Autonomia e le seguente voce “Bene comune”.
Valerio grazie per la tua risposta, il mio consiglio al di fuori delle polemiche resta quello di studiare in modo approfondito le distinzioni che fanno gli economisti,, cui si ispira il libro di Mattei in Italia, fra beni comuni. e beni pubblici, e poi di ragionare anche sulle categorie giuridiche, gl i interessi collettivi e gli interessi diffusi da una parte, e le forme organizzative di diritto privato che sono in genere associate al termine beni comuni. Il problema di fondo nella teoria economica dei beni comuni resta quello di presumere compatibile con l’idea che qualcosa appartenga a tutti, il fatto che questo qualcosa sia gestito privatamente, ance se in base criteri sociali, da un gruppo di privati che si organizzano ad esempio In fondazioni, come dicevo questo va bene per certi tipi di beni, non per altri, come nel caso della scuola. E ancora l’idea del publblico, correttamente intesa, implica proprio che un bene sia accessibile a tutti, la parola pubblico non significa necessariamente statale, mentre la parola comune, riferita a certi tipi di beni pubblici come la scuola, potrebbe invece significare semplicemente: privato. Un saluto spero che i chiarimenti siano reciproci
Capisco ciò che dici, ma non è esattamente così. Comune, nel caso per esempio, di ABC Napoli, la nuova azienda pubblica di gestione dell’acqua a Napoli, non è una fondazione privata di cittadini, ma è un ente di diritto pubblico, in cui i cittadini sono chiamati a partecipare direttamente alla gestione. Ne è presidente Ugo Mattei. Lo stesso potrebbe valere per la Scuola.
Poche luci e molte ombre in questa manifesto.
A parte il linguaggio che sembra ricavato da un testo della sinistra anni 70, pura ideologia di estrema sinistra, i contenuti sono pieni di retorica, di buoni propositi che sono sia di destra che di sinistra, ma nn pone valide soluzioni che non sia il solito “tirate fuori più soldi”.
Vero che ci sono stati i tagli alla scuola pubblica, ma è anche vero che questa scuola era da ben prima dei tagli una delle peggiori tra i paesi OCSE (e nn per mancanza di fondi).
Vero che la riforma Gelmini è criticabile, ma allora quale riforma viene proposta?
Vero che la conoscenza nn è una merce, ma è anche vero che manca una reale tutela del diritto allo studio di tutti che sia di qualità.
Perchè è questo che manca alla scuola italiana, la qualità del servizio offerto, che è scadente nn per mancanza di fondi, ma per inadeguata capacità di gestire l’offerta.
Mi spiego, come si fa a gestire bene un servizio quando i dipendenti sono dello stato, l’edificio del comune e gli oneri di spesa ripartiti tra provincia regione e di nuovo comune? (Esesmpio riscaldamento pagato dalla provincia).
La scuola nn è un’azienda, ok, ma dovrebbe comunque perseguire i principi del buon servizio, come tutte le ONG serie.
Ricordiamoci che, a fronte di una stragrande maggioranza di docenti onesti e bravi, c’è una minoranza di scansafatiche che fanno DANNI agli allievi e che nessuno smuove dal “posto fisso” raggiunto.
Su un milione di persone dipendenti dallo stato nella scuola pubblica, quante ne vengono licenziate per demerito all’anno? Andatevi a vedere i dati.
Ed infine se una scuola diventa un’entità autonoma nella gestione economica nn si fa altro che arrivare al modello di paesi come la Finlandia, La Svezia l’Olanda ecc. cioè alle esperienze migliori.
Se posso ricevere un contributo da parte di un’azienda per creare un laboratorio, non si tratta di “sponsorizzazione”, ma di una donazione!!!
Ed infine il concorso, perchè concorso truffa poi!!
Per la prima volta era impossibile avere aiuti, visto che le domande e le risposte erano già pubbliche!!!
Per favore, BASTA pubblicare questi manifesti pieni di niente, e vuoti di tutto.
Resta solo l’amaro in bocca a capire perchè questo paese è così arretrato…
Caro Rinaldo, puoi criticare il linguaggio anni 70 (perché non anni 60 poi?), i bersagli critici (aziendalismo, mancanza di investimenti, ecc.) ma poi non puoi dire che sono manifesti pieni di niente: perché avresti perso a criticare il niente? Ho visto come funziona la scuola francese e ti posso assicurare che in Francia – un paese con cui possiamo paragonarci – sulla scuola lo Stato investe e per la scuola organizza serissimi concorsi annuali, mettendo a bando posti reali, per cui se vinci inizi subito a insegnare “di ruolo”, guadagnando ai 2000 euro in su.
Saranno pure anni 70, ma sono richieste sacrosante. La scuola italiana necessita di una riforma della scuola media, caro Rinaldo, di concorsi annuali, in cui si mettono a bando posti reali, non rubati dai piani di impiego di chi ha già vinto più di un concorso, e di investimenti cospicui, non di tagli di personale, che non fanno altro che lasciare i nullafacenti che dici tu al loro posti.
Nel primo punto («AUTONOMIA») c’è una contraddizione logica evidente. Se in nome dell’autonomia sono state avviate riforme che hanno ridotto l’istruzione a merce, perché bisogna difendere l’autonomia?
La voce «BENE COMUNE» è confusa, in tutti i sensi. Si passa da «funzione vitale» della scuola a «modernità» con troppa nonchalance. La Costituzione Italiana è molto meno confusa (e decisamente più avanti) di questo Manifesto.
Nel terzo punto («COMUNITA’») non si capisce «chi paga». Se si organizzano iniziative extra (corsi od altro), lo si fa in volontariato?
Il punto sull’«ECOLOGIA» è per certi versi anacronistico (son cose che nelle scuole si fanno da anni) e utopistico (la filosofia steineriana, pur prendendola come buona, non è compatibile con l’attuale sistema scolastico).
La parte sull’«EDUCAZIONE» è di una banalità sconcertante.
etc.
Nel complesso, un Manifesto scritto male. Nulla da dire se questo fosse stato il risultato di un’autogestione liceale; qui, invece, ci troviamo di fronte a un testo un elaborato da intellettuali …
S.L. (insegnante)
[…] EDUCAZIONE. (vedi anche RELAZIONE) La scuola odierna rischia di mancare il ricambio generazionale di «principi, comportamenti e conoscenze» di cui la gioventù di ogni epoca si fa portatrice, se non resta fedele al senso recondito del suo operare, contenuto nella radice etimologica della parola educazione, che, come noto, viene dal latino educere e significa «tirar fuori». L’educazione è primariamente un processo in divenire. L’idea e le pratiche di una scuola-museo devono lasciar spazio a quelle di una scuola-laboratorio, in grado di affinare capacità di giudizio, confronto, sperimentazione. Compito del docente è quello di porre quesiti e guidare il discente a trovare autonomamente le risposte, ricreando esperienze di vita tratte dal mondo esterno per poter presentare contesti e situazioni, aiutando così il discente ad esercitare e sviluppare le proprie capacità di giudizio ed interpretazione del reale. La conoscenza e il rispetto dei propri diritti e doveri, che costituiscono i presupposti per una convivenza civile nella società, spingono i ragazzi a esercitare i propri diritti in piena autonomia, stimolandoli sui propri doveri di cittadini. Le azioni educative non dovrebbero essere volte soltanto ad affinare le abilità cognitive dei ragazzi, ma dovrebbero occuparsi anche della loro sfera emotiva, sviluppando la capacità di dialogo tra l’intrapsichico (il mondo interno) e l’interpersonale (il sistema relazionale), attraverso l’utilizzo integrato di diversi linguaggi. L’educazione dovrebbe essere attuata attraverso pratiche che promuovano «un’intelligenza generale capace di riferirsi al complesso, al contesto in modo multidimensionale e globale» (Edgar Morin[1]). […]
Ah e un’altra cosa che dimenticavo: esercitare la ragione critica significa a mio avviso rifuggire argomenti fondati sull’auctoritas di due studiosi pur bravi e intelligenti,, signifca farsi le proprie idee su questi temi, ovvero conoscere, parlare a ragion veduta, appunto, come presupposto necessario per esercitare una ragione critica….biblioteche quindi, come beni pubblici, dove poter accedere e studiare questi problemi drittamente dalle loro fonti, ail fine di redigere un manifesto imperniato sulla concretezza dei problemi, e del,e possibili soluzioni….
..direttamente dalle loro fonti, volevo dire….