Lettera aperta alla mia editrice mancata (Une pisseuse de copie)

di Gian Balsamo

Gentile Emilia,

Collaboro da vent’anni con Claudio Maria Messina, che considero degno di figurare nella schiera degli illustri editori italiani del passato: Einaudi, Feltrinelli, Rizzoli, Mondadori, Garzanti, e Bompiani: settimo tra cotanto senno. Però due anni fa contattai Lei, invece di Messina, a proposito di un mio lungo saggio di contenuto analogo al bestseller recente d’una sua autrice, che chiamerò col nome fantasioso di Fiorenza. Intendevo pubblicare questo libro dietro il solito pseudonimo che uso in Italia, Luigi Ferdinando Dagnese. E così ho fatto nel 2012: Alla ricerca del tempo sprecato è apparso per i tipi di Robin Edizioni, la casa editrice di Messina, dopo che Lei ed io abbiamo preso strade diverse.

Le scrivo una lettera aperta nello spirito dei lettori di queste pagine. I conti con la grande industria editoriale italiana, figlia degenere dei suddetti fondatori, ibernata nella bara di ghiaccio che Dante riservava ai traditori, li fanno tutti i giorni. Ma che dire della schiatta di certi nuovi agenti letterari, nuovi editori, e nuovi, sedicenti maestri di scrittura a pagamento? Non sto parlando di tutti gli editori indipendenti, come dimostra il mio incipit, né di tutti gli editors o curatori d’edizione, perché io stesso appartengo saltuariamente a questa categoria. Parlo di quelli che confondono lo stream o flusso di coscienza con una certa loro funzione escretiva: quanto più fumante è il getto delle parole con cui ci ammaliano, tanto più salata la gabella che richiedono in cambio dei loro inutili servizi.

Lei ricevette il mio scritto il 23 novembre 2010 e si immerse immediatamente nella lettura, concedendosi poche ore di sonno e tempestandomi di email entusiastici; li ricevevo di giorno qui in California, ma a Roma, di dove li scriveva, era notte fonda. Avvezzo a trattare con publishers di tutte le salse, come faccio da trent’anni a questa parte in Italia e soprattutto negli States, i suoi complimenti, tanto generosi quanto repentini, mi stupirono pur senza meravigliarmi, così come mi sembrò generosa ma inevitabile, per un saggio che considero assai originale, la sua dichiarata intenzione di “farne un libro di successo.” La prima nota stonata arrivò il giorno dopo, quando Lei, evidentemente ignara della mia lunga carriera di scrittore italiano e della mia competenza di editor californiano, mi scrisse: “Purtroppo il suo stile risente della lunga permanenza all’estero, anche se le confesso che la qualità della scrittura è di molto superiore al manoscritto [di Fiorenza], a cui ho personalmente lavorato correggendo, sopprimendo e riscrivendo interi passaggi.” So bene quanto il mestiere di editor o curatore d’edizione si associ talora ad una vocazione artistica frustrata, quindi non ho rimostrato contro questa sua osservazione ingiusta nei confronti della mia scrittura. Ma mi ha ferito, diciamo in maniera vicaria, la mancanza di discrezione con cui Lei liquidava la prosa di Fiorenza, l’unica autrice che ha portato fortuna alla sua casa editrice; mi hanno ricordato Bernard Grasset, l’editore del primo volume della Recherche di Proust, il quale confidò imperdonabilmente ad un amico, la vigilia dell’uscita di questo capolavoro, che si trattava di un libro “illeggibile.” Imperdonabili o no, Emilia, trovo che certi sgarbi ai propri autori manchino innanzitutto di professionalità. Sebbene io abbia personalmente contribuito a modificare di sana pianta certi manoscritti eccellenti nel contenuto ma carenti sul piano espositivo, non mi permetterei mai di certe indiscrezioni. Decisi comunque di stare a vedere, anche perché era pur vero che in questo mio nuovo saggio avevo sperimentato un italiano colloquiale e un critero di riferimento bibliografico che erano del tutto nuovi per me; mi si prospettava, magari con il suo aiuto, un lavoro attento di correzione e riformulazione. (Quanto alla punteggiatura all’americana, come vede, sono recidivo.)

Il bello doveva ancora venire. Il 26 novembre Lei reiterò che la mia prosa “soffr[iva] della lunga permanenza all’estero del suo autore, nonché delle sue (immagino numerose) letture in lingua francese.” E a mo’ di esempio dei contributi vitali che Lei avrebbe apportato al mio testo, mi rivelava che avrei potuto sostituite il verbo “apprendere” con la perifrasi “venire a sapere,” o anche con “venire a conoscenza del fatto che.” In questo devo smentirla dandole tre volte ragione. È vero che ai francesi il verbo “apprendre” piace un sacco, ed è anche vero che a qualsiasi verbo corrispondono sempre diverse perifrasi. Ma il verbo “apprendere” è canonico nella lingua italiana. Se lo preferisco alle sue perifrasi, è proprio a causa del motivo che Lei cita, la mia lunga permanenza all’estero. Negli States, il training nell’arte della scrittura non è meno spietato di quello nella danza o nella musica. Ho sofferto e patito per diventare professore di scrittura creativa. E ho imparato a mie spese la regola della parsimonia nell’uso delle parole: un singolo verbo ne vale mille delle sue perifrasi.

Il 15 dicembre, con mia enorme sorpresa, apprendevo—ops, scusi—venivo a conoscenza del fatto che la sua casa editrice aveva già formattato il mio scritto in bozze per la stampa!

Il 22 dicembre ricevevo via email la sua riscrittura delle prima quattro pagine del mio scritto—già inserita nelle bozze al posto del testo originale. È stato quel giorno che ci siamo parlati per la prima volta al telefono. Lei ha fatto in modo che ricevessi il file delle nuove bozze via email immediatamente prima di ricevere la sua telefonata. Mi ha chiesto subito di aprirlo e leggerle il testo della sua riscrittura ad alta voce nella cornetta. Il che ho consentito a fare, per quanto la trovassi bizzarra, come richiesta. Alla fine delle sue quattro pagine, voleva sapere cosa ne pensavo. Quel che avevo appena letto ad alta voce ripeteva in gran parte, effettivamente, i contenuti introduttivi del mio saggio; ma non mi sentivo in grado, così su due piedi, di valutarne i vantaggi e gli svantaggi rispetto all’originale. Lei ci tenne comunque a precisare che avrei dovuto pagare la sua parcella, che quelle sue gemme stilistiche mica potevo ottenerle gratis; e aggiunse che per il momento, per evitarmi l’imbarazzo d’un rifiuto, si era astenuta dal presentare il mio scritto alla casa editrice (la stessa che aveva appena preparato le mie bozze di stampa).

A questo punto della conversazione, avendo io un po’ la vocazione dell’attore, mi sono immedesimato nel suo ruolo, Emilia. Quella dello scampato imbarazzo dev’essere stata la mossa vincente, pregna di tolleranza comprensiva, che le ha permesso di strappare un bel gruzzolo a qualche scrittore esordiente, promettendogli di schermare la sua scrittura stentata dal meritato biasimo—magari dopo essersi cucinata detto esordiente, come aveva fatto con me nei giorni precedenti, al fuoco vivo di una lettura notturna entusiasta e instancabile, di una promessa allettante di farne un autore di successo, e di una repetina trasformazione del frutto delle sue fatiche in bozze pronte per la stampa. Mentre una parte di me faceva questa riflessione e un’altra colloquiava al telefono con Lei, mi sono, per così dire, diviso per tre (proprio come fa la zucca di Satana al fondo dell’inferno, dove sventaglia con ali di ghiaccio la cella frigorifera dei traditori editoriali). Mi sono anche messo a meditare sul fatto che la casa editrice in questione, a cui Lei non si proponeva di presentare il mio scritto che dopo averlo mondato dei difetti deplorevoli della mia scrittura, è stata fondata da Lei stessa. Quella casa editrice è Lei stessa, direi, se mi concede un momento ontologico alla Tommaso d’Aquino. Comunque, non ho condiviso con Lei nessuna delle considerazioni sgorgate in quel momento dalla mia mente tripartita; non perché io sia più satanico di Satana, ma semplicemente in quanto ritengo sempre valido un principio che ho appreso tramite—oh, ecco che ci ricasco! Qui finisce che la irrito! Dicevo: per me resta valido il principio, di cui sono venuto a conoscenza tramite lo studio della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che nessuno è malvagio o stupido prima di venire dimostrato tale. Ho preferito pazientare; come prima cosa, volevo eseguire con calma un confronto minuzioso della sua riscrittura con le mie prime quattro pagine. Il che ho fatto quel giorno stesso e l’indomani.

Le elenco qualche risultato.

Ho trovato interessante la sua scelta di non menzionare nessuno dei nomi degli amici di Proust, come faccio invece io fin dalla prima pagina. Cercava di snellire l’esordio? Siccome più tardi Proust passa dalla infatuazione per i compagni di liceo a quella per le loro mamme, le sarebbe poi toccato menzionare questi ex-compagni di scuola al momento opportuno e senza dare l’impressione di una intromissione indebita nel flusso della narrazione. Se l’era presa un appuntino su questa omissione? Aveva individuato la parte più opportuna del testo per rimediarvi? Qualcosa mi dice che non l’ha fatto. Ho pure trovato originale la sua soppressione dei due dettagli che Proust era imparentato per parte di madre con la borghesia finanziaria ebrea, e che i banchieri ebrei esercitavano una specie di monopolio sulla finanza francese. Se cercava di semplificare l’argomento, direi che c’è riuscita appieno. Anzi, s’è superata: ha espulso dal mio testo parecchie delle informazioni da cui ero partito per scriverlo, estraendone invece alcuni puri frammenti di copy, tanto semplici nel significato quanto sconnessi da tutto il resto. Ma siccome il mio libro tratta principalmente dei rapporti di Proust con l’alta finanza, e della maniera in cui questo rapporto determina i contenuti del suo capolavoro letterario, al momento opportuno le sarebbe toccato reinserire proprio le informazioni appena sacrificate, in modo da riconnettere i frammenti l’uno all’altro. Se l’era presa l’appuntino, stavolta?

Potrei continuare la lista, gentile editrice ratée, ma a qual uopo. Avendo risolto il dilemma costituzionale dello stupido e del malvagio (nessuna con-artist è interamente stupida), le ho inviato una lettera che diceva pressapoco così: “La Sua maniera di scrivere scorre liscia e aderisce bene al tema centrale, meglio di un rullo compressore sull’asfalto; soprattutto, non flirta mai con l’intelligenza del lettore. Non ho dubbio che Lei sia una splendida écrivaine de copie, in quanto vedo bene, dal Suo editing come dal rapporto che ha instaurato con me, che si vieta rigorosamente il lusso di presumere una qualche vivacità mentale in chi La legge o La ascolta.”

Come avrà capito, Emilia, in quella lettera, datata Venerdì 24 Dicembre 2010, non la chiamavo “écrivaine de copie” per farle un complimento. Ma temo le sia sfuggito che alludevo alla designazione lapidaria che intitola la versione francese di un romanzo di Muriel Spark, la stessa designazione che compare nel titolo di questa lettera aperta; ho fatto implicito riferimento a quella designazione poco fa, nel misurare il costo della sua parcella sul metro della termoidraulica delle minzioni. Dunque non sto a ripeterla. Fa pensare a un titolo di rango, non trova?

Mi creda, Sinceramente,

Gian Balsamo

Palo Alto, 17 febbraio 2013

 

21 COMMENTS

    • sì, forse un po’ irritante; come irritante è la voce di Chiara Di Domenico, e di tutte le persone che parlano per dire quello che hanno subito;

      non è una bella posizione, non è un bel tono, quello dei “perdenti”; è sempre al limite del patetico, sempre al limite del disonesto (vedi Chiara), appunto dell’irritante …; c’è sempre qualcosa che non va, che non è come dovrebbe essere …; lo sappiamo tutti, per retaggio feudale i perdenti in Italia sono per definizione dalla parte del torto, sono ridicoli;

      per parte mia considero però molto sano che la gente parli; che dica quello che subisce, che lo dica col cervello e con le trippe (recentemente mi è capitato, faccio un esempio tra i tanti, di leggere in rete la testimonianza di una ragazza che aveva partecipato, venendo selezionata tra i finalisti, al premio per drammaturgie Ipazia: allucinante);
      sono convinto che se tutti parlassero, l’Italia sarebbe più democratica; perchè di questo, anche quando si è apparentemente lontani dalla “politica” si tratta;

      per me è molto importante denunciare i malfunzionamenti e le ingiustizie (come per me è sano e salutare analizzare i libri di successo brutti …); questo è considerato ingenuo, o appunto grossolano, prevale la posizione che bisogna sopportare in stoico (cinico) silenzio (se si è intelligenti si deve sapere che è così, non c’è da stupirsi; bisogna dirselo sottovoce, da “persone addentro”); io non sono affatto d’accordo: sono foucaultianamente convinto che gli abusi di potere (perchè di questo si tratta, anche se in vesti minime) non possono espletarsi senza il consenso di chi li subisce;
      per questo ho accettato volentieri di postare il pezzo di Balsamo; forse appunto un po’ irritante;

  1. non si capisce il senso, di questo pezzo. Ma d’altronde, non è un caso che sia stato pubblicato da Sartori…

  2. il senso mi sembra essere: “nonostante la mia competenza, provata dai miei lavori e dal mio percorso, sono stato (ridicolmente) trattato come un inetto, e in modo disonesto (la richiesta di quattrini)”

    (quanto alla superiorità intrinseca di Laserta nei miei confronti, beato lui, rimando a un pezzo dove ho cercato di analizzare questo atteggiamento così diffuso in Italia, e ancor più in rete: https://www.nazioneindiana.com/2011/12/17/autismi-11-la-superiorita-intrinseca-di-taluni-critici-letterari-e-di-altri-individui/)

      • Trovo sorprendente – e davvero irritante- quando in un blog dedicato al piacere letterario e alla corrispondenza di idee ci si parla con commenti di una riga, piu’ adeguati, mi sembra, al battibecco televisivo o ad un “like” di Facebook, aspetti che, credo e spero, i lettori/collaboratori di Nazione Indiana stanno cercando di rifuggire. Forse scritti come I Nuovi Autismi 11 di Sartori e La Pisseuse di Balsamo ci offendono perche’ non siamo piu’ abituati a scambi di idee costruttivi e/o creativi? L’idea di una termoidraulica della minzione e’ un concetto divertente, che avrebbe sollevato l’ilarita’ delle masse, se fosse stato concepito da uno dei soliti autori consacrati.

  3. Sono onorato di tante risposte alla mia lettera aperta, ma è chiaro che non posso scaricare tutto il lavoro di risposta sulle spalle generose di Giacomo Sartori. Come ho scritto di recente in una lettera aperta per Lavoro Culturale, eccomi: “sono io, Gian Balsamo.” Sono per temperamento uno scrittore comico, non tanto in Cronache dal frigorifero, ch’è comico dall’inizio alla fine, quanto negli altri romanzi firmati L. F. Dagnese; ricorro sovente al comic relief per sdrammatizzare. Anche qui c’è bisogno di sdrammatizzare. In questa “Pissesuse” mi interessava soprattutto la termoidraulica della minzione e il dilemma costituzionale dello stupido e del malvagio. Come on! Se non ci fanno ridere i quattro passaggi che dedico a questi due affondi, è proprio tempo che ci rileggiamo Pirandello. Seriamente parlando, nelle mie lettere aperte esploro la possibilità di sostituire la letteratura (in un caso, la mia scoperta della gelosia come modulo narrativo) alla giurisprudenza (vedi: https://www.nazioneindiana.com/2012/12/03/la-stanza-del-disordine-lettera-aperta-a-un-curato-carrucese) oppure la letteratura (in un caso, la mia scoperta del potere paralizzante dei sentimenti paterni) al pietismo religioso o alla fede nella provvidenza divina (vedi: http://www.lavoroculturale.org/spip.php?page=recherche&recherche=balsamo). In questa “Pisseuse,” invece, ho flirtato con l’intelligenza del lettore per definire la maniera di operare di una scam artist o confidenze woman editoriale che presume che tutti gli scrittori in cerca di editore siano scemi. Come dice Kundera in “Unbearable Lightness,” la levitas grava sulle spalle di chi non ce l’ha.
    Non sono un bloggista. Non divido mai uno scritto, anche occasionale, prima di averlo riveduto e corretto come se fosse davvero una cosa seria, come se fosse la mia unica occasione di comunicare con i posteri. Chiunque ha figli può capire il senso di questa responsabilità. Ma in questo caso, per non scaricare, come ho detto, su Sartori, scrivo di getto. Ci risiamo: “di getto.” Mi sa che la termoidraulica della menzione aiuti a spiegare gran parte delle polemiche da blog, non solo quelle pro o contro una pisseuse de copie.

    • Segnalo un errore di battitura. Nell’ultimo paragrafo del mio brano qui sopra, leggi: “termodinamica della minzione.”
      Gian

  4. Trovo sorprendente – e davvero irritante- quando in un blog dedicato al piacere letterario e alla corrispondenza di idee ci si parla con commenti di una riga, piu’ adeguati, mi sembra, al battibecco televisivo o ad un “like” di Facebook, aspetti che, credo e spero, i lettori/collaboratori di Nazione Indiana stanno cercando di rifuggire. Forse scritti come I Nuovi Autismi 11 di Sartori e La Pisseuse di Balsamo ci offendono perche’ non siamo piu’ abituati a scambi di idee costruttivi e/o creativi? L’idea di una termoidraulica della minzione e’ un concetto divertente, che avrebbe sollevato l’ilarita’ delle masse, se fosse stato concepito da uno dei soliti autori consacrati.

    • mettiamola così, allora.
      poniamo il caso che io mi metta in testa di essere uno scrittore (anche se non sono in grado di tenere la penna in mano e scrivo cose che nemmeno mia madre, con tutto l’amore filiale, riuscirebbe a portare alla fine). sono stra-convinto di essere uno scrittore. anzi, trovo vicino anche della gente sciagurata che mi incoraggia. il problema nasce quando, pubblicando roba palesemente illeggibile, non trovo un lettore manco a pagarlo. cosa succede in quel caso? si traggono le logiche conclusioni? (no, non sono capace a scrivere ma, in fondo, c’è di peggio nella vita, magari trovo qualcos’altro da fare). eh, no, troppo semplice. questa idea non passa neanche dall’anticamera del supposto scrittore. che succede, al contrario? che il problema non sono io, ma l’intero mondo editoriale. eh certo, il mondo è brutto e cattivo, non mi capisce, non è colpa mia. di conseguenza, e qui veniamo al pezzo di Balsamo (divertente a tratti, ma completamente folle e spudoratamente egocentrico): è un ulteriore indizio della grande congiura universale dell’editoria contro gli scrittori incompresi. in definitiva, senza livore e senza minzione automatica: ma dedicarsi a un altro hobby pare brutto? evidentemente sì. così il supposto scrittore continuerà a scrivere cose indicibili e noi poveracci lettori di Nazione Indiana a continuare, sommessamente, a leggerli e chiosarli a margine.
      ;-)

        • ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti era puramente casuale, ovviamente…

          come no, mi sono documentato prima di commentare. e al di là delle valutazioni soggettive sul lavoro di un critico (su cui non metto bocca, naturalmente), è possibile esprimere una valutazione sul singolo scritto. e da qui traspare grosso modo una personalità alquanto… ehm… “debordante”? (si può dire?). scusi sa, ma il mio personale modello è la figura appartata e schiva di un Contini, di un Dionisotti. Dei veri Titani della critica, che mai si sarebbero sognati di scrivere una lettera simile (e si chiamavano, per l’appunto, Dionisotti e Contini…). comunque, l’importante è essere convinti: il mondo editoriale è cosa turpe e malvagia… già.

          • “Sono io, Gian Balsamo.” Non capisco perché Lei ritenga di non saper tenere la penna in mano, Mr. Laserta. Trovo invece che scriva molto bene, nel Suo genere. Come forse ricorda, sono un estimatore della Costituzione americana: a mio modo di vedere, nessuno è stupido, malvagio, o cattivo scrittore prima di venire dimostrato tale. E Lei si è già dimostrato innocente in due di quei tre capi d’accusa. Siamo tutti col fiato sospeso.
            Ma chiuda pure l’ombrello adesso: non sto scrivendo “di getto,” come ieri. (Qui in Silicon Valley siamo ricorsi ai canotti. Altro che stream: ci ha inondati!)
            Mi firmo:
            Gian Balsamo
            P.S. Personalmente, ho sempre preferito i malvagi agli stupidi.

  5. wow, prof. Balsamo!
    E se fosse l’inizio di una lunga amicizia?
    ;-)

    p.s.: preferisco sempre una dialettica accesa piuttosto che il plauso incondizionato. la sua lettera non mi piace, ma è divertente.
    a presto

  6. Devo ammettere che anch’io sono rimasta inizialmente un po’ perplessa dalla lettera di Gian Balsamo. La risposta del 25 febbraio 2013 alle 15:31 mi ha dato ulteriore spunto di riflessione, e vorrei iniziare proprio da qui.

    Scrive Balsamo: «Come on! Se non ci fanno ridere i quattro passaggi che dedico a questi due affondi, è proprio tempo che ci rileggiamo Pirandello.» Non so, io non ho riso, nemmeno sorriso, e sicuramente dovrei andarmi a rileggermi Pirandello. Forse, forse, la spiegazione potrebbe però banalmente trovarsi nel fatto che l’umorismo del pezzo non sia poi un gran che. Se Balsamo lo conosco per la sua produzione accademica ma l’alter ego Dagnese non l’avevo mai sentito nominare magari un motivo ci sarà. Magari, una seria sobrietà si confà a Balsamo più di quanto lui voglia.

    Poco dopo si continua: «[…] ho flirtato con l’intelligenza del lettore per definire la maniera di operare di una scam artist o confidenze woman editoriale che presume che tutti gli scrittori in cerca di editore siano scemi.» Anche qui, vi è la seria possibilità che io non abbia intelligenza a sufficienza da recepire flirt dell’autore. O forse no, forse è la levitas dell’autore that falls short.

    Riassumendo, il succo della risposta di Balsamo è che se la lettera non ha avuto l’effetto voluto sul lettore ciò è dovuto a shortcomings del lettore. Magari sarà anche così, però forse non starebbe all’autore doverlo dire. Anzi magari Balsamo potrebbe domandarsi, anche solo come esercizio, se gli shortcomings non siano invece da trovarsi nel testo.

    E veniamo allora al testo. Ma ancor prima dei peccati commessi dalla nostra Emilia, ci sono due punti menzionati a proposito del libro che mi hanno dato da pensare, due punti che, evidentemente, hanno dato da pensare anche ad Emilia:

    1. I banchieri ebrei esercitavano una specie di monopolio sulla finanza francese.
    2. Proust era imparentato per parte di madre con la borghesia finanziaria ebrea.

    La formulazione del primo punto rimanda molto, troppo, ai complotti demoplutogiudaici, e, soprattutto, è dimostrabilmente (arguably) falsa: se Fould, Rothschild, Cahen d’Anvers erano ebrei, Mallet, Hottinguer, Mirabaud erano protestanti, Davillier, Laffitte, Perier, Pillet-Will, Seillière erano cattolici.

    Per quanto riguarda il punto 2, lo si potrebbe mettere a confronto con un passo corrispondente preso da Wikipedia: “Proust era imparentato per parte di madre con la borghesia finanziaria ebrea.” e “Sa mère, née Jeanne Clémence Weil, [était] fille d’un agent de change d’origine juive alsacienne”. Così simili eppur così diversi…

    P.S. Però gli anglicismi («Non divido mai uno scritto…») e gli italianismi negli anglicismi («Confidenze woman»), quelli sì, mi hanno fatto ridere…

    • Confidence e condivido. Grazie. Con questi sono tre gli errori che mi ha corretto finora, o forse quattro, non ricordo.

    • @Pensieri Oziosi

      grandissimo commento!
      E soprattutto, grazie per aver fatto saltar fuori queste cialtronate colossali.
      Comunque, stia attento/a: adesso Sartori si risente e replica “piccato”.

      (sa, Gian Balsamo, siccome ha pubblicato quelle cose, va “ascoltato con attenzione”. per carità.)

  7. Non prendersi (mai) troppo sul serio e amare gli altri come ami te stesso.
    Non allontanarsi (mai) dall’ironia.
    Non credere al compare.
    Non one-none-one.

  8. Non prendersi (mai) troppo sul serio.
    Non allontanarsi (mai) dall’ironia.
    Non credere (mai) al tuo compare.
    Non one-none-one.
    Frank Spada

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