Desessualizzare lo Stato
di Pino Tripodi
In tema di libertà sessuali una piccola rivoluzione – una di quelle piccole rivoluzioni dal passo lento ma dal cammino duraturo – s’avanza nel cuore della vecchio, malato Occidente.
Il primo articolo (Le mariage est contracté par deux personnes de sexe différent ou de même sexe; Il matrimonio è un contratto tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso) della legge appena approvata dall’Assemblea nazionale francese pone una serie di problemi che è banale ridurre, come si usa fare nella canea mediatica e nell’agone politico, a quello dell’introduzione dei matrimoni omosessuali. Anzitutto perché la legge neanche cita i termini che scaldano il sangue delle folle (omosessuale, bisessuale, transessuale, eterosessuale) e poi perché sul piano strettamente giuridico meglio sarebbe considerarla, come non molti purtroppo hanno fatto, una legge che permette il matrimonio per tutti (le marriage pour tous) al di là della relazione sessuale che soggetti di identico o di differente sesso intrattengono, dunque, eventualmente, anche in assenza di tali rapporti.
Ma al di là della canea e dell’agone, ciò che interessa analizzare è il dispositivo linguistico della legge, causa decisiva sia della sua fortuna per gli elementi innovativi che contiene, sia degli epocali contrasti che ha provocato. Si può ragionevolmente pensare, infatti, che se gli aspetti linguistici della legge fossero stati ancor più radicali e innovativi molti conflitti non avrebbero avuto neanche appiglio per generarsi.
La legge evita saggiamente di utilizzare i termini eterosessuale, omosessuale ecc.; sostituisce i termini di padre e madre (père et mère) con quello di genitori (parents), soppianta anche marito e moglie (mari et femme) con la parola consorti (époux); non rinuncia tuttavia a nominare né il numero dei soggetti che si possono unire in matrimonio, né a mettere il dito, inutilmente, nella piaga quando pleonasticamente enuncia che le due persone contraenti il matrimonio possono essere di sesso uguale o differente. Meglio sarebbe stato evitare il pleonasma e ascrivere il diritto matrimoniale a due persone, punto. Fare riferimento al sesso delle persone è inutile (due persone o sono di ugual sesso – maschi, femmine, trans, bisessuali – o sono di sesso differente, una terza possibilità non può essere data a meno che non si voglia far riferimento agli asessuati), è sbagliato – il diritto all’unione deve prescindere dalla relazione sessuale tra i soggetti – ed è anche dannoso perché il riferimento al sesso in una legge del genere solleva molteplici crociate.
Il testo linguisticamente ottimale dovrebbe prevedere semplicemente il matrimonio tra persone ( senza indicare il numero dei contraenti, l’unione potrebbe essere estesa anche a più amici o a comuni di conviventi indipendentemente dalle loro relazioni sessuali).
Teorizzata dagli studi e dalle proposte di alcune filosofe (Elizabeth Brake, Minimizing Marriage, Oxford press University, 2012; Vera Tripodi, Filosofia della sessualità, Carocci 2011), l’aria nuova in tema genere e di sessualità è già legge in Francia dall’istituzione dei Pacs (Pacte civil de solidarité) nel 1999.
In Minimizing Marriage l’idea di matrimonio – con i diritti e i doveri relativi – viene ascritta non solo alle coppie aventi relazioni sessuali ma a qualsiasi unione a prescindere dal carattere sessuale e dalla presenza della relazione sessuale tra le persone.
In Filosofia della sessualità viene mostrato, sul piano biologico e a maggior ragione sul piano culturale, come l’idea che la specie umana possa essere divisa tra due soli generi, quello maschile e quello femminile, sia fuori dall’ordine della realtà effettiva delle cose. I generi sono plurimi e magari cangianti.
I Pacs francesi avevano già messo una pietra miliare in materia. Nel primo articolo della legge si enuncia che Un pacte civil de solidarité est un contrat conclu par deux personnes physiques majeures, de sexe différent ou de même sexe, pour organiser leur vie commune. (Un patto civile di solidarietà è un contratto concluso da due persone maggiorenni, di sesso differente o di ugual sesso, al fine organizzare la loro vita in comune.)
Si consideri che dalla loro introduzione, il numero dei Pacs è continuato a crescere mentre quello dei matrimoni a diminuire. La legge appena approvata, che di fatto estende al matrimonio le norme dei Pacs, sembra essere anche un tentativo di dare ossigeno all’istituzione matrimoniale ormai agonizzante in Francia.
Con tutte le critiche che si possono fare – meglio anche in questo caso omettere dalla legge il pleonastico di sesso differente o di egual sesso e comprendere non solo due, ma anche più persone – i Pacs già si inscrivevano in quella tendenza che conduce alla desessualizzazione della legge e dello Stato.
La portata del cambiamento è tale che anche le proposte dei movimenti più radicali in materia faranno presto parte dell’archivio della storia.
Ciò che va avvenendo nella sfera sessuale è già avvenuto nella sfera religiosa non solo per grado di importanza ma anche per grado di similarità.
Anche questa piccola rivoluzione è – ma si direbbe è anzitutto – una rivoluzione linguistica. I filosofi hanno il magnifico vizio di nominare le cose, ma alcune volte l’eccesso di nominazione solleva dei muri insormontabili. In quei casi, sottraendo il nome dato alle cose, i medesimi muri diventano perfettamente valicabili. La nominazione di Dio è costata cara a Bruno e a Spinoza. È costata fuoco e fiamme fino a quando la filosofia e gli stati si sono incarogniti a discriminare chi tra gli abitanti (per favore, evitiamo di chiamarli cittadini) di un paese fosse titolare dei diritti religiosi – gli ebrei?, i cristiani?, i cattolici?, i musulmani? Solo quando gli stati si sono laicizzati, ovvero quando hanno negato a se stessi il diritto di nominare la religione della propria popolazione, l’orrore della religione unica è stato abolito. Da quel momento la credenza, la miscredenza e l’ateismo sono diventati titolarità della persona, non dello stato. Anziché imporre una religione, lo stato si è trovare a riconoscere e a tutelare il diritto di ciascuno a credere o a non credere.
Parimenti, nella sfera dei rapporti sessuali, fino a quando i movimenti per i diritti civili si sono incarogniti nell’obbiettivo di riconoscere alle parti (eterosessuali, omosessuali, transessuali, bisessuali) un sistema dignitoso di diritti, il cammino è stato incerto e faticoso.
Nella sfera sessuale forse ancor di più che nella sfera religiosa, nominare le cose solleva molteplici barriere. Per esempio, che in un collegio di educande si faccia più sesso che in un bordello non è un problema pensarlo o saperlo, ma è un problema dirlo. Il nome della cosa che si dice travalica l’effetto di verità relativa alla cosa stessa e lo diffonde in tutto quell’universo di saperi – culturali, religiosi – a cui la cosa rimanda.
Il fatto, per esempio, di riconoscere alle coppie omosessuali i medesimi diritti spettanti alle coppie eterosessuali solleva barriere non soltanto tra i cattolici e i reazionari. Tutti quelli che rifiutano l’idea stessa di matrimonio non possono certo concepirla per i gay e le lesbiche.
Per un cattolico l’idea stessa di nominare il problema è fonte di peccato, problema ineccepibile dal punto di vista delle Scritture.
Una legge – e direi anche un pensiero desideroso di non discriminare nessuno – deve tener conto di ciò. Nella lingua in qualche caso si può sciogliere il grumo di sangue e di sofferenza che la storia delle religioni e della sessualità ha rappreso.
Così come è avvenuto nella sfera religiosa, anche in quella sessuale occorre che lo Stato si astenga dal determinare i diritti in base al genere. Le scelte sessuali e le identità di genere appartengono esclusivamente alle persone. Lo Stato, anche in questo caso, deve riconoscere e tutelare il diritto di ciascuno a esprimersi secondo le proprie preferenze al di là e oltre la sessualità che esprime. Solo così potranno essere riconosciute condizioni paritarie di esistenza ad amori e amicizie di singoli, comuni, comunità, etero, omo, trans, bisessuali e asessuati. Ciò che bisogna inventarsi non è una Repubblica delle parti, ma una Repubblica degli affetti in cui ciascuno è titolare del diritto di amare chi e come meglio crede senza che lo Stato abbia il benché minimo prurito di metterci becco.
Libero sesso in libero Stato, si sarebbe enunciato un tempo, ma desessualizzare le leggi e lo Stato implica un cammino di maggiori autonomie per i soggetti e per le istituzioni.
In Francia la strada è segnata. In Italia, quando?
Milano, 10 febbraio 2013
Nell’articolo si legge “In Filosofia della sessualità [è un libro agile di Vera Tripodi che ripercorre tutti i punti salienti del dibattito filosofico sulle categorie sessuali] viene mostrato, sul piano biologico e a maggior ragione sul piano culturale, come l’idea che la specie umana possa essere divisa tra due soli generi, quello maschile e quello femminile, sia fuori dall’ordine della realtà effettiva delle cose. I generi sono plurimi e magari cangianti.”
Forse è meglio spiegare che dividere la specie umana in due classi sessuali binarie è sbagliato perché un numero non irrilevante di persone (circa il 2%) nasce con caratteristiche intersex. Dunque una rappresentazione corretta del dimorfismo sessuale va collocata su uno spettro di possibilità che vanno dal polo femminile a quello maschile.
In Italia le persone intersex sono ancora invisibilizzate a livello giuridico, medico e sociale in ossequio alla fobia genderista che vuole appunto l’essere umano o maschio o femmina. Va ricordata tuttavia una recentissima proposta di legge chiesta dal M5S e preparata da Rete Lenford che vieta finalmente la pratica della chirurgia cosmetica sugli organi genitali dei baby intersex.
Si potrebbe leggere, in questo interessante articolo, più che una proposta di desessualizzazione dello Stato, una proposta di risessualizzazione positiva (non discriminatoria) della società in senso lato?
Leggo:
“Per un cattolico l’idea stessa di nominare il problema è fonte di peccato, problema ineccepibile dal punto di vista delle Scritture”.
Sono cattolico. Non mi risulta. Si può nominare la fonte di questa informazione?
Contesto complessivo:
“Il fatto, per esempio, di riconoscere alle coppie omosessuali i medesimi diritti spettanti alle coppie eterosessuali solleva barriere non soltanto tra i cattolici e i reazionari. Tutti quelli che rifiutano l’idea stessa di matrimonio non possono certo concepirla per i gay e le lesbiche.
Per un cattolico l’idea stessa di nominare il problema è fonte di peccato, problema ineccepibile dal punto di vista delle Scritture.”
Articolo molto interessante. Faccio un unico appunto per un refuso: nel testo c’è scritto “asessuati”, ma la parola corretta dovrebbe essere “asessuali”. ;)