La nonnina dei cimeli (solo una favoletta)
di Davide Orecchio (illustrazioni di Paolo D’Altan)
Oggi la storia è questa, ascolta. C’era una casa piena di cimeli e l’abitava la sua padrona, che chiameremo se ti va la nonnina dei cimeli. Dico «nonnina» perché avrebbe l’età di tua nonna o di mia nonna quando avevo la tua età. Lo sai cos’è un cimelio? È un oggetto che porta con sé un ricordo. Conta qualcosa perché ci rammenta qualcosa. Una valigia piena degli adesivi raccolti dove abbiamo viaggiato. Un pacco di lettere ingiallite, ma lettere d’amore, che i nostri genitori s’erano scambiate da giovani, prima di diventare i nostri genitori e prima che noi diventassimo noi. Oppure lo zaino imbrattato dalle firme dei tuoi amici: diventerà un cimelio, fattene una ragione; il giorno che non ti servirà più non avrai il cuore di buttarlo, perché ti ricorderà gli amici e gli anni trascorsi con loro.
Ora, è certo che più passa il tempo più i cimeli aumentano. E alla nonnina, nella sua casa, le reliquie (che significa più o meno lo stesso) non mancavano. Le pareti non avevano più spazio, piene di fotografie com’erano. C’erano più foto su quelle mura che peli sul muso di un gatto. Foto dei figli, foto dei nipoti, foto di parenti lontani e vicini. Poi c’erano i mobili. Le poltrone e i divani polverosi custodivano le impronte dei nonni della nonnina, e dei nonni dei nonni dei nonni. Tra le pieghe dei letti, in mezzo a lenzuola di cotone pesante per l’inverno e di lino per l’estate, riposavano antichi capelli. Piatti, posate e bicchieri che avevano sfamato e dissetato tre generazioni, dormivano al riparo di teche offuscate. Era tutto memorabile e un po’ inutile e tutto faceva tossire. I cimeli e i ricordi appesi o poggiati alle pareti della casa accendevano memorie nella nonnina come una luce rischiara una stanza buia. La casa era la nonnina e la nonnina era la casa. Si potrebbe dire che vestissero allo stesso modo: la casa coi suoi colori grigi e stinti, e le sue carte da parati lise; la nonnina coi suoi abiti scoloriti dai troppi lavaggi e ormai privi di forma. Alla signora piaceva tanto ricordare che, quando figli e nipoti la venivano a trovare, riempiva loro la testa di ricordi e li annoiava terribilmente. E se poi non rammentava, li angustiava con domande scoccianti: «Quanto costa la bistecca? Cosa ne sarà di me? Mi ammalerò e morirò? Ho soldi a sufficienza?». Insomma uno strazio e tu hai una gran fortuna: tua nonna non si comporta così, non ti chiede quanto costa la bistecca.
Ma le cose cambiano; questo, nonostante i suoi sforzi, la nonnina non poteva evitarlo. Così un giorno, anzi una notte, successe un fatto imprevisto. Mentre la nonnina dormiva, il signore dei nomi decise di uscire da lei e l’abbandonò. Devi sapere che tutti noi ospitiamo un gran numero di signori che ci aiutano a ricordare, ad apprendere, a fare le somme e le divisioni. E che senza questi signori (che alcuni chiamano «gli altri») non ce la caveremmo. Ora però, tragedia!, il signore dei nomi aveva deciso che era stufo della nonnina. Uscì da lei col suo sacco azzurro pieno di nomi e cognomi, scese cauto dal letto, camminò in punta di piedi sul pavimento, aprì la porta e filò via. Al mattino la nonna s’alzò, aprì gli occhi sulle fotografie che già la circondavano e non ricordò più nulla. Come si chiama quella ragazza ritratta in bianco e nero? So che è mia figlia, ma non trovo il suo nome, si disse. E quei bambini che mi abbracciano laggiù, direi che sono i miei nipoti, ma non so più se si chiamino Tommi o Luca, Eva o Marilù! Vagò per la casa il giorno intero tra le immagini appese e non riuscì a cavare un solo nome dalla propria memoria, e si avvilì a tal punto che se ne andò a letto senza cena.
Ma era solo l’inizio. La seconda notte, mentre la nonnina dormiva, venne il turno del signore dei volti: anche lui quatto quatto uscì dalla vecchia col suo sacco rosso pieno di facce ed espressioni, e sparì oltre la porta. Il risveglio fu subito un disastro. La nonnina dei cimeli osservò stupita le foto che le stavano attorno e si chiese: chi è quella ragazza ritratta in bianco e nero? Non l’ho mai vista prima in vita mia. E i bambini che abbracciano quella donna anziana laggiù, che ci fanno con lei? E chi è la donna? Confusa, più che addolorata, passò il resto del giorno a porsi domande e dimenticò il pranzo e la cena.
La terza, fu la notte del signore dei numeri, anche lui in fuga dalla povera vecchia, col suo sacco verde zeppo di cifre, divisioni, sottrazioni, somme e moltiplicazioni. Al risveglio, la nonnina non sapeva più fare di conto. Aprì il portafogli e prese dieci euro, e per lei non significarono nulla. Così non poté uscire per la spesa e saltò i pasti. La quarta notte, invece, se ne andò il signore dei luoghi (quanta fatica, povera nonnina, davanti a cartoline che non le ricordavano alcunché) e la quinta notte le disse addio il signore dei fatti: dal mattino la nonna non ebbe più memoria di quanto era accaduto agli altri e soprattutto a lei; la sua testa si trasformò in una pentola nuova e vuota, dove nessuno ha mai bollito l’acqua per la pasta, una pentola che nessuno ha mai sporcato né ripulito.
A questo punto, come immaginerai, la nonnina dei cimeli era stordita e preoccupata. Aveva perso l’appetito, il desiderio e il buonumore. Le veniva da piangere e non sapeva nemmeno il perché. Non potendo fare altro, se ne andò a dormire. E, la sesta notte, l’abbandonò l’ultimo dei signori, il signore delle fantasie. Piccolino, brutto, anche un po’ zoppo, vestito male, col suo sacco di tela rammendato ricolmo d’immaginazione il signore uscì dalla nonnina, ma era tanto distratto e sgraziato che non s’accorse di aver lasciato tracce di panna sul pavimento (spesso il signore delle fantasie faceva il pediluvio nei dolciumi). Al risveglio, la nonnina s’accorse delle orme bianche, s’incuriosì e decise di seguirle. Vide che conducevano alle scale e, da lì, sotto fino alla cantina. E la nonnina scese appresso alle tracce. Ma, chissà perché, le scale erano diventate circolari come le spire di un serpente e non finivano più, scendevano senza fermarsi. E la nonnina le percorreva come un secchio calato in un pozzo profondo, senz’arrivare mai all’acqua.
Solo dopo molto e faticoso scendere, giunse finalmente alla porta della cantina, ed entrò. L’interrato era buio, polveroso e sudicio. Ragnatele e muffe riempivano ogni angolo. La stanza però era vuota, perché reliquie e cimeli la nonna li teneva ai piani alti. Non era una cantina come tutte, piene zeppe di oggetti dimenticati e inservibili. C’era giusto un baule, sotto lo spioncino opaco di una minuscola grata. E sul baule – notò la nonnina – sedevano assorti, silenziosi e indifferenti i signori che l’avevano abbandonata. Il signore dei nomi, il signore dei volti, dei numeri, dei luoghi, dei fatti e, naturalmente, il signore delle fantasie con le scarpe sporche di panna.
Allora la nonnina s’avvicinò al gruppo e supplicò il signore dei nomi che tornasse da lei. Ma quello rifiutò: «impossibile! ». Quindi la nonnina pose la stessa domanda al signore dei volti, e ottenne la stessa risposta: «improponibile!». Il signore dei numeri non l’ascoltò e non le rispose. Mentre i signori dei luoghi e dei fatti le dissero in coro: «impraticabile!». Disperata, la nonnina s’accostò al signore delle fantasie e l’implorò: «almeno tu, torna da me». «Non se ne parla proprio! », esclamò il signore. «Ma cerca di ragionare», argomentò la nonnina, «le tue fantasie non hanno senso senza una persona che le ospiti. Non sono come i fatti, i nomi, i luoghi, i volti e i numeri, che vivono di vita propria. Tu hai bisogno di me come io di te». Il signore si fece pensieroso e quindi riconobbe: «forse hai ragione. Ma quando ero con te, non è che tu mi dessi molto spazio». «Prometto di cambiare. Del resto d’ora in poi ci sarai solo tu e potrai fare quello che vuoi. Allora torni?» «Sì, mi hai convinto. Torno. In fondo questa cantina è fredda, umida e scomoda. Non è adatta a fantasticare ».
Il signore delle fantasie, non senza fatica e un po’ zoppicando, scese dal baule e rientrò nella nonnina col suo sacco di tela zeppo d’immaginazione. E da quel momento cambiò tutto. Gli orologi smisero di camminare in senso orario, i fiumi cessarono di scendere verso il mare e la pioggia non cadde più dall’alto verso il basso. Voglio dire che tutto cambiò per la nonnina, che è quello che conta. All’improvviso le pareti della cantina si colorarono di cielo azzurro e di nuvole, e il soffitto si colmò di cielo stellato, di sole e di luna. Le muffe e le tele dei ragni? Quelle si trasformarono in seta. «Ooooh!», esclamò la nonnina, poi batté le palpebre e subito si ritrovò al pianterreno della casa, dove le finestre si aprirono sul volo di rondini e passeri e margherite altissime e profumate fecero capolino per lasciarsi annusare. Nel frattempo le mura di casa erano diventate gialle e il tetto azzurro, le porte avevano l’aspetto di ruote o di ali e la cucina si era riempita di dolci. Ogni cosa che la nonnina vedeva, era come se la vedesse per la prima volta e le accendeva stupori.
Adesso che questa storia finisce, non posso nasconderti la verità: e dunque certo, la nonnina non ricordò più un solo nome o volto, un fatto, un luogo e non seppe fare di conto. Ma tornò felice come una bambina, incurante del passato e annoiata dal futuro. Anche questo è vero e non te lo nascondo, che senso avrebbe nascondere una cosa bella? Se la nonnina avesse mantenuto memoria dei fatti, avrebbe ringraziato ogni giorno il signore delle fantasie per essere tornato da lei a colorarle la vita. Ma non poteva, perché aveva già dimenticato tutto. Il signore delle fantasie, però, non s’offendeva. Quanto a figli e nipoti, pensa un po’: tornarono a trovare volentieri la nonnina che non custodiva più i cimeli senza pensare ad altro, né aveva paura del domani, e non li angustiava con memorie e domande ma inventava ogni giorno qualcosa di nuovo. E questa è proprio la fine: che tutti, contagiati dalla nonnina, vissero se non proprio felici, almeno contenti. Anzi il contrario: se non proprio contenti, di sicuro felici.
(pubblicata su Style Piccoli, settembre/ottobre 2012)
Bella favola,
peccato che nella realtà queste nonnine finiscano poi rinchiuse in case di cura, lontane dalle famiglie, che non sono messe nelle condizioni di potersene occupare, e da una carezza.
sì, e sono altrettanto reali: solitudini domestiche, abbandoni domestici, famiglie che provano ad accudire come possono, e non tutte le nonnine e i nonnini sono miti come quella della favola: credo che l’indocilità e l’irascibilità siano altri ingredienti del reale e non della fiaba.
ben scritta, ben raccontata, ma con un finale un po’ troppo consolatorio….ci potevano essere tante varianti più interessanti, anche per un pubblico di minori.
Forse hai ragione. Forse ho immaginato che fosse il finale adeguato al contenitore ospite. forse avevo bisogno io di un finale banalmente consolatorio. Insomma, è andata a finire così. Grazie della lettura e del commento
Dalla mia poesia preferita:
O my floating life
Do not save love
for things
Throw things
to the flood
Si, e abbandoni domestici di intere famiglie..
Per fortuna ci sono le favole.