Emmanuela Carbè,
Mio salmone domestico
di Andrea Cortellessa
Stringi stringi, la vita è tutta una questione di fuori e dentro. Lì fuori c’è un mondo grande e terribile, il mondo vero. Ma non meno vero è il dentro, quello al di qua del vetro, che il mondo fuori non conosce e mai conoscerà, forse. Se succede qualcosa di davvero importante, per esempio se ti innamori, è perché qualcosa, fuori, si avvicina e sbircia dentro; e tu ricambi lo sguardo. Allora ci sono due possibilità: o esci fuori tu, a tuo rischio e pericolo; oppure riesci a trascinare dentro, da te, quello che ti piace.
Così sintetizza la faccenda Emmanuela Carbè, trentenne veronese filologa a Pavia, nelle poeticissime trenta pagine in forma di fumetto che concludono il suo primo libro, appena uscito nella collana «Contromano» di Laterza. C’è un pesce rosso, anzi una pesce rosso, al sicuro dentro una palla di vetro in fondo al mare. Contempla l’avvicendarsi delle creature, strane e talora minacciose, di là dal vetro. Un bel giorno s’innamora d’un elegante pesce barbuto di nome Palomar. Dopo tanto occhieggiarsi, Palomar si assopisce; Pesce-Rosso allora si fa coraggio, si procura una scala, si arrampica sulle pareti dell’acquario sino a fuoriuscirne. Il tempo di prendere Palomar, sottrarlo all’«inferno dei viventi» e portarlo nel suo mondo, lì dove ciò che «non è inferno» può «durare» e avere il suo «spazio».
Con queste citazioni calviniane si conclude Mio salmone domestico, il libro più singolare e coraggioso della stagione. Ma non è il Calvino strutturalista, algido e combinatorio, del suo primo e da tempo disperso discepolato. L’ultimissima parola del Salmone è «struggente», presa da un altro venerato maestro di artifici come David Foster Wallace: che quell’elettricità di pensiero univa al più disarmato abbandono emotivo. E proprio un continuo, lampeggiante pantografo emotivo è la cifra di questa scrittura fatta di «acido acitilemotivico», che per anni – dal 2005 in avanti – avevamo seguito sul blog Lumicino (ma frammenti ne erano stati ripresi qui su Nazione indiana e su Sud). Entusiasmante per poche righe al giorno quanto ardua da assecondare, una volta sottratta all’acquario digitale. Il rischio è calcolato: «io per me funziono a brevi tratti, a segmenti, a pezzi». E, anticipando il fumetto conclusivo: «è vero che sono un pesce rosso […] e quello che mi si dice lo metto nell’acquario, che vaga insieme al resto. Ricordo cose molto precise e piccole piccole, ma le cose giganti sono distratta, le perdo». Sa bene, la giovane filologa, come proprio Pesci rossi s’intitolassero le prose «d’arte» di Emilio Cecchi (non per caso amate da Calvino, proprio) da noi esecrate a emblema di scrittura liquida, iper-concentrata e iper-espressiva, priva però delle emozioni di quello che si chiama – con metafora infatti, a ben vedere, perfettamente anti-acquatica – intreccio. Così si rivolge la narratrice al sardonico avatar che chissà perché a un certo punto è entrato nella sua vita, Salmone domestico appunto: «il popolo si lamenta che non abbiamo mai storie […]. Il popolo vuole intrecci e colpi di scena». Ma se Salmone è arrivato fin lì, è proprio per non farle scrivere un romanzo siffatto. Come l’Anguilla montaliana a un certo punto evocata, il Salmone vive in mare ma il richiamo d’amore lo attira in acque dolci e alvei circoscritti. «Iride breve», bellezza cangiante, sa tingere il mondo delle sue screziature. È come la (pure citata) «felicità mentale» di un memorabile titolo di Maria Corti, voluptas intellectualis che contempla il mondo e lo reinventa a suo piacimento.
Un po’ come in un film d’una decina d’anni fa scritto dal grande Charlie Kaufman, Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind), senza posa con la forza del pensiero ogni cosa viene costruita e decostruita: così nel mondo mentale di Lumicino – «regno» minimo ma perfettamente organizzato – ogni presenza, magari in forma di «sagoma» attaccata alla parete, assurge a panteistico emblema per sparire, poi, così com’era apparsa: con uno strizzare d’occhio o un impercettibile tic linguistico. Certo, pensando alla parabola di Foster Wallace e all’apologo che ha lasciato come un testamento proprio nell’anno in cui nasceva Lumicino, Questa è l’acqua, chiuse le pagine di Mio salmone domestico ci si chiede cosa mai combinerà, Pesce-Rosso, ora che ha preso il mare fuori dall’acquario. Ma per il momento si resta convinti che sì, «guardare il mondo da dietro un vetro era tutto sommato un modo buffo di esistere e di fare esistere gli altri». O, persino, «un modo struggente di stare al mondo».
Emmanuela Carbè, Mio salmone domestico. Manuale per la costruzione di un mondo, completo di tavole per esercitazioni a casa, «Contromano» Laterza, pp. 149, € 12.00
Una versione più breve di questo articolo è uscita su «Tuttolibri» il 27 luglio.
come quasi tutto il resto,come una robusta speculazione filosofica potrebbe argomentare,prendere il largo è più facile da farsi che da dirsi
http://www.youtube.com/watch?v=uAk93YZgTts
libro “struggente” e libero
effeffe