I muri di K. (2/2)
di Giacomo Sartori
Qui a K.
si contano più di cento sintagmi
per onorare le pietre
esili o massicce
ialine o grigie di sole
bislunghe o cubiche
o aguzze
o forate
cuneiformi
(gli etnologi gioirebbero)
I nomi sopravvivono
al cosiddetto progresso
(ma come chiamare
ciò che non si è mai visto?
come dribblare
le lingue degradanti
delle religioni?)
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Cari muri di K.
laccati dal sole
leccati da piogge convulse
carezzati dai serpenti
(sempre meglio che niente)
sotto la scorza di pietrisco
e erbe inaridite
nascondete terra sfarzosa
antica e scarlatta
distillata nei millenni
dal gruviera carsico
e poi ricomposta
da palmi ruvidi e premurosi
non molta
solo qualche spanna
(quando va bene):
una misera faraona
con alti boccoli in fiamme
pronta a darsi da fare
e donare cose buone
se tutti non l’ignorassero
(priva com’è
di dignità mercantile)
come quei soldati
aggrappati a un fronte dimenticato
a guerra strafinita
Voi però lo sapete:
torneranno le carestie
(i telefoni intelligenti
e i titoli della borsa
sono indigesti:
solo qualche capra affamata
potrà addentarli)
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Saggi muri di K.
pensate davvero
che gli dei siano estinti
che nulla ecceda
i gangli nervosi e la saliva?
Credete anche voi ai geni
e agli ormoni?
Davvero siete sordi
al bussare lieve
sulla superficie dei polmoni
e sulle scapole?
Come spiegate
le quotidiane epifanie
dell’inesplicabile?
Come decifrate
il cosiddetto ritorno religioso
il trionfo dei culti low cost
(irruento marketing spirituale)
i sincretismi personali
più estrosi e disparati
le liturgie fai da te
i riassemblaggi empirici
di prassi magiche
gli sciamanismi metropolitani?
Non vi sembra inevitabile
e anzi coerente?
Vedete un altro sbocco
per l’era dell’individuo sovrano?
(anzi imperatore)
Pensate che qualche uomo
possa vivere
senza uno straccio di senso
condiviso
senza un qualche accesso
alle caverne profonde
aperte sul cielo?
Pensate ancora
che le credenze cosiddette laiche
possano puntellare
le atomizzate nevrosi
e depressioni
(prozac dialettico)
possano arginare
la bestialità umana?
(si può arginare il male?)
Dai vostri spalti
di pietra stratificata
assisterete a altri olocausti
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Nessuno sa dirmi
chi e quando
vi ha fatto
sasso dopo sasso
con perizia millenaria
e dissennata ostinazione
(non è questa la quintessenza
dell’Homo sapiens?
la cosiddetta razionalità
non è figlia ovvia
dell’accanimento?)
ma anche talento estetico
(preziosismi
e civetterie litiche)
e doti scenografiche
sotto una trapunta inquieta
o nel sole freddo di febbraio
(non certo in questo
ossesso frinire
nel quale ritaglio e scatto)
Nessuno se lo chiede
siamo troppo occupati
a distruggere
e depredare
sollazzati e scagionati
dal pantheon cangiante
di scapigliati calciatori
dai glutei alati
ieratiche ninfe anoressiche
pugnaci tenniste
dionisiaci musicanti
miliardari condottieri
di industrie immateriali
sapienziali conduttori
del teleschermo
(Stavrogin si è impiccato
a una corda di seta
e le rivoluzioni materialiste
non hanno dato buon esito)
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Ostinati muri di K.
vi prendete
per muraglie eterne
ma basta
che vi erodano l’appoggio
che incidano a valle
e vomitate fuori
i vostri intestini pallidi
misti a grumi
di sangue minerale
(l’inizio della fatale emorragia)
E intanto le radici
(lo stesso tenue legno
che avete sempre
sprezzato)
vi lavorano ai fianchi:
finiranno un po’ alla volta
per divellervi
Non siete invincibili
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Incongrui gradini
verso il cielo vuoto di agosto
(dove hanno traslocato
i vostri abitanti?
non hanno lasciato
davvero niente?
un manualetto
una ricetta
un nuovo indirizzo?)
scrigni di terra
rossa e cassintegrata
ostili al progresso
insomma anacronistici
(nemmeno balneari!)
per certi versi risibili
come tutte le prove
dell’ostinazione umana
nel passato
(quella presente
seduce e ammalia)
Anche voi
siete sempre più sconnessi
uno dall’altro
sempre più barricati
in voi stessi?
Anche voi la notte
fate rimbalzare frasette
di cartapesta
per via elettronica?
Anche voi fingete
che le vostre torri fortificate
abbiano ariose feritoie?
Anche voi giocate
con la nostalgia di una fusione
anche voi
chiamate amici
i remoti conoscenti?
Siete anche voi dediti
al sesso virtuale?
O forse fate ancora
gioco di squadra?
Sapete ancora usare
la forza mentale?
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Cari muri di K.
ubriachi di luce
e forsennate cicale
(pure loro cocaina?)
sono anch’io un relitto litico
sensibile alla bellezza
e quasi arreso
Non so cosa cercare
né dove:
il coraggio austero delle ginestre
si è rivelato una forma acuta
e non auspicabile
anzi imbarazzante
di disagio psichico
(hybris cerebrale
foriera di deliri
e tumori)
Dovrei forse voltarmi anch’io
verso oriente
(senza più permettere ai giorni
di vivermi)
Non so cosa avverrà in autunno
o meglio lo so anche troppo bene
ma non conosco i dettagli
(che beninteso non sono dettagli
e mi atterriscono
più di ogni altra cosa)
Io non so
se potrò farcela
davvero non lo so
(e questo quesito egotistico
mi ripugna)
Verrà l’istante
del sogno premonitore
verrà il silenzio minerale
lo strappo nei polmoni
Cari muri di K.
anche sotto la mia pelle smagliata
c’è sangue fresco
anche la mia pancia
vomiterà budella
di terra rossa
K., 1-11 agosto 2013
(la prima puntata si trova qui)
toccante, forse un po’ sconfortante, ma visti i tempi,,,
Molto bello. Aspettavo di leggere. Siamo il corpo della natura, siamo fatto di terra, di silenzio e di abbandono.
Siamo anche il mare. Non ci sono muri in mare.
Mi consola l’ idea che la vita sabbia si ritira per fare intrare il mare.
impressionanti le foto, martellante il testo, sconcertanti i muri, se ne esce un po’ suonati da tale lettura…
Sembra che la lezione di certi autori, defunti di recente, si stia già consolidando bene nel terreno del contemporaneo (e mi viene in mente un nome in particolare).
Notevoli certi versi: vengono espressi nitidamente (schiettamente anche) alcuni dei maggiori estremi del nostro presente, mentre lo stacco delle varie foto mostra il volto di coloro a cui vengono posti i vari quesiti (tutti non-retorici direi: paiono domande tese e serie, di quella serietà costante dei bambini quando chiedono i perché ai grandi).
O meglio: le foto, più che il volto, mostrano l’aspetto, la forma dei muri di K., e il luogo in cui questi stanno.
Giuro che conosco gente che leggendo questi versi parlerebbe di ‘’mitopoiesi del limite’’, vedendo nel muro una caterva di legami con l’idea del limite: studiosi di scienze cognitive che invocano il ruolo profetico della poesia affinché indichi alle società massificate un germe di etica rinnovata; a cominciare dall’idea del limite, divenuto tabù ora: non bisogna averne, dicono quelli del marketing (la libertà ci ha fottuti, dicono).
Sono belle poesie, e pure belle domande (detto da uno che se le sente addosso ed è pure più giovane dell’autore di questi versi).
Poi diventa pure un confessionale, un lirico inginocchiato davanti a un muro a secco (benedetto Mediterraneo).
È piaciuta questa poesia e credo risulti gradita a molti: fa quasi tirare un sospiro di sollievo ad alcuni leggere versi così, con quegli interrogativi e con la forma con cui vengono detti.
uno sguardo schietto dalla pietra al cuore.
letta anche la seconda parte con grande piacere.
tnx