da “mimetiche”
l’amica di kafka / dal castello
Un saluto da Brescia
Tu non sai cosa dico, ti avvicini
in maniera sbagliata: hai corso troppo,
avanzi troppo il passo, la fatica
che fai l’ha resa vana
il passare del tempo, che surclassa
generazioni pestandone i cadaveri,
e pure le mie lacrime di gioia
quel giorno a Brescia, quando stavo insieme
ad una folla in ghingheri col naso
tutti quanti all’insù, e pure insieme
a Puccini e a D’Annunzio, due impossibili
fonti di meraviglia anche per me,
venuto in treno a vedere gli aeroplani.
Figùrati
che puoi capire tu, da un altro secolo.
*
Amicizia
Se vuoi, faccio amicizia
con te, se non ti sposti
senza preavviso, se
giuri che te ne vai.
Ora che siamo amici
possiamo salutarci
come si deve, e parte
una furtiva lacrima.
Ricordare un’amica
può riscaldare il cuore.
Cuore che si raffredda
se tu non te ne vai.
*
La vera vita
Veri morti che palpitano, arrivano
Frank e Milena dal prato del racconto
di Greta Buber Neumann che s’intitola
all’amica di Kafka. Te li trovi,
fiori netti di cardo, vanitosi
nel mezzo delle viole e dei papaveri,
nell’erba sconfinata e nel ricovero
del secolo sicuro, affezionato
alle misure di cura e di confino
che tutelano i vivi dalle mine
dell’esistenza fuori ed insicura.
Frank si stupisce, Milena si dispera.
Stimmate le figure, tra il coagulo
ed il flusso di sangue l’incertezza
è l’inceppo reologico, è l’ampolla,
stemma di vita vera.
*
Milena
Ragazza alta, ma capace di
toccare il prato come fosse siero
di polpaccio scuoiato, esposizione
che non si accinge ai vanti del fiorire.
Giovane il giusto, per potere dire
il proprio amore, come fosse vero,
a chi si intana, prima di morire,
dove non c’è ricovero e finzione.
Ma l’asilo di lui svolge all’aperto,
senz’ausilio di muri, o di lenzuoli,
o di bambù fioriti a paravento,
la pia ostensione di fronte allo spavento.
Così ti pieghi e non arrivi al prato,
il tuo bacio si sporge sul malato
che non arriva all’abito che indossa,
nudo come non vuoi, seme di fossa.
*
Sorpresa
Staremo nella casa, se ti piace.
Quando ti va, passeggeremo in villa.
Senza occupare spazio, abiteremo
stanze incommensurate ed inestese
(vedi? ogni posto d’amore è una sorpresa… )
*
La passeggiata
Si arrampicano ai muri le parole,
Samsa è fuori a passeggio,
luce al posto del buio invece,
non si capisce più niente.
Gocciola una vocale dal soffitto,
Gregor torna è tardi,
fa buio nel magnifico giorno,
soltanto amore intende.
*
Scoperta
Ciabattava nel bosco
con la coda all’insù.
Disse: non ti conosco.
Non lasciarmi mai più.
*
Art
Se pure guarda intrepido
(non c’è paura, definitivamente
ha vinto la vittoria inapparente)
l’occhio non vede i necessari perni,
le commessure salde del meccano.
L’occhio si chiude piano, si riapre
di scatto sull’articolo
da ravvivare con olio minerale.
Non c’è scatto più umano:
nei cieli e negli spazi nebulosi
c’è un eccesso di soffi ingovernati,
un molle piegamento di animosi
corpi all’indisciplina delle nascite,
delle lotte e dei lasciti.
Più di uno sguardo! Perfetto monitore,
moltiplica faccette, dona al netto
dividendi per dare
ossatura al reale.
Vede così, sublime naturale,
alto nel cielo il reticolo perfetto,
tramatura all’ingrosso, colossale,
di gomiti d’insetto.
*
Frieda
Dove la tieni,
se non se ne parte.
Perché fa tanto freddo,
nella bruma.
Ai piedi della fiamma
s’inginocchia.
Sotto al muro le tocca
trascorrere l’inverno.
Gesto breve s’imbozzola,
riposa nella neve.
*
Serata a casa
La cena è altrove,
la notte è confortevole,
non ti mangio per gioco,
mi addormento
tra benevoli spilli.
Tu pungi e sei soave,
sogni come la spiga
che non si tiene il sole, e lo lascia
nel giro sterminato. Nuvole
vanno e vengono, i punti
non stanno fermi in alto.
Nel buio della stanza ritorna
il mulinello della vertigine,
i polsi presi in una stretta antica.
Tu non mi mangi affatto,
rosicchi la cavezza, mi dai
colpetti su colpetti, picchettando.
Innocente e benevola ― dice
chi legge la sentenza.
Se vuoi ci ritiriamo, andiamo a ridere
della cena squisita, se ti piace.
*
OOOMISSIS VISTO SISSIMOOO
a Marzio Pieri
Si fa avanti per primo il Landvermesser,
l’ordinatore di vita della terra,
colui ch’entro confini la conduce,
K, l’agrimensore del Castello
che sbaglia la misura. Proprio lui!
A capo del capitolo secondo
si fanno avanti Artur e Jeremias,
i due aiutanti che K aveva atteso
nella locanda. Perché non li conosce
neppure quando loro si presentano?
Eppure sono i suoi VECCHI aiutanti!
In questo punto nevoso del romanzo
Kafka omette l’agnizione, il punto
di congiungimento che dovrebbe
innescare la trama. Invece no.
Vistosissimomissis che non toglie,
aggiunge anzi l’irreale al reale.
(E’ più capace di soffrire il sogno.
E tanto più il reale ― l’irreale)
«Va bene» dice K. Come: bene?
Non riconosci i tuoi e dici: bene?
E il déjà vu? La recita a soggetto ?
Ma forse, K, non ti senti bene?
Vistostosissimomissis di novant’anni fa,
a luna già caduta in mezzo al prato
…
(omissis)
*
Strada nel bosco
La strada nel bosco non può finire,
il lichene la infiora.
Così l’inoltro non si smarrisce,
trova mani più ruvide.
Abitatatore dell’inabitabile, porti
il tuo lino bianco allo sconfino.
Formiche e aghi di pino
intorno al fresco sonno, ti raggiunge
lo scopritore, prende posto, distingue
appena tra il giaciglio e chi giace.
Non so da quanto, la strada si fa rivo
rallentato di resina cui piace
la direzione immobile, amberizzando
l’altruismo delle ginocchia
quando appena si toccano.
*
[da mimetiche, Oèdipus edizioni, Salerno Milano 2013]
Grazie Andrea di proponere queste poesie.
Milena è una donna che fa parte delle mie stelle nel cielo letterario.
Se avessi una figlia l’avrei chiamata Milena.