Note Movie : Lo sconosciuto del lago
di Sophie Brunodet
Tutto ciò che conta è ciò che c’è
e tutto ciò che c’è lo si mostra.
Di loro sappiamo i nomi: Franck (Pierre de Ladonchamps), Michel (Christophe Paou), Henri (Patrick D’Assumcao), e conosciamo il posto che prendono sulla spiaggia accanto agli altri abitué , ma ignoriamo ogni altra informazione sul loro conto. Sappiamo solamente di una routine quotidiana sulle sponde di un lago isolato, incorniciato in un bosco, raggiungibile in automobile. Le macchine sono più o meno sempre le stesse e sempre parcheggiate con la stessa geometria al pari degli asciugamani stesi sul lido. Dal caldo del pieno giorno estivo all’imbrunire del tramonto, giorno dopo giorno, assistiamo all’andirivieni attraverso la boscaglia della popolazione single e gay di una non meglio precisata località francese. Sappiamo che ognuno arriva alla spiaggia da solo e che viene accolto dal muto, attento ed esplicito occhieggiare di chi lo ha preceduto. Sappiamo il rumore che fanno i passi sui sentieri e quello dei rami spezzati quando qualcuno si apparta per imboscarsi; il suono dello scivolare dell’acqua sui corpi che nuotano; il sibilo del vento tra le foglie; i gemiti di godimento degli uomini. Scopriamo corpi maschili senza veli né segreti né giudizi. Corpi nudi e amplessi omosessuali si susseguono talvolta di sfuggita tra le fronde, talaltra esplicitamente e in primo piano.
Non che non si fossero mai filmati erezioni, masturbazioni, penetrazioni anali, sesso orale ed eiaculazioni, ma è davvero raro trovarne così tante, così sincere e smaliziate in un film da festival. Non ci sono gusto della trasgressione, accuse o moralismi nel film di Alain Guiraudie Lo sconosciuto del lago, presentato questa primavera alla 66ª edizione del Festival di Cannes e vincitore del premio alla regia Un Certain Regard e della Queer Palm (premio inaugurato nel 2010 dedicato alle pellicole più artisticamente meritevoli e impegnate sulle questioni di genere). Per quanto sia a Cannes durante la proiezione del film sia in Italia nelle varie recensioni scritte si sia messo in moto il tormentone dello scandalo, con pubblico indignato che abbandona la sala o commenti che riducono il film a lungo-porno-metraggio-gay, in realtà Lo sconosciuto del lago è molto di più: è un genuino e coraggioso sguardo su un mondo relazionale e una dimensione del desiderio e della corporeità tutt’altro che marginali.
Va in scena il desiderio
La pellicola di Alain Guiraudie non è un hard, non è un film gay per gay, non mira allo scandalo. Certo, racconta del crusing all’aperto (incontri tra persone in cerca di avventure sessuali occasionali non a pagamento), i personaggi coinvolti negli incontri sessuali sono tutti omosessuali e il sesso è abbondante e tutto a scena aperta, ma la pellicola non si riduce a una grande abbuffata di sesso. Il film ruota piuttosto attorno al tema del desiderio incarnato. Il desiderio che anima, scuote e vive nella carne e nelle vene di chiunque è il vero protagonista.
Franck è un ragazzo semplice, timido e anche romantico, non per questo primo di voglie da sfogare. È un abitudinario del lago e del bosco e non ci mette molto tempo a notare e a perdere la testa per il bello nuovo arrivato, Michel, ovviamente già accompagnato, ma per niente avaro di sguardi languidi verso gli altri della spiaggia, in particolare proprio verso Franck. Franck è gentile e sensibile, volentieri saluta e scambia quattro chiacchiere quotidianamente con Henri, corpulento etero separato, che ha anche avuto una estemporanea esperienza omo in passato, ma che al momento è niente affatto interessato al sesso. Allo stesso tempo, Franck non perde d’occhio il bel Michel e, seppure scopre segreti violenti e terribili sul suo conto, in ogni caso non resiste all’attrazione per lui e alla possibilità di consumarla alacremente. In effetti, non sono né la paura né la morale a farlo dubitare, a un certo punto, del suo rapporto con quell’uomo, piuttosto è la mancanza del passaggio a un livello successivo della relazione, quello in cui si cena e ci si addormenta assieme, che lo porterà a nutrire dei dubbi sulla prosecuzione dell’avventura con Michel.
Insomma, eccitazione e avventura da un lato, dilemmi sentimentali quotidiani dall’altro, questo film è un bello spaccato sulla sensualità, sull’eros, sulla follia, sul romanticismo, sui dubbi e sulle contraddizioni che, per quanto ambientato in un ambiente specifico – quello degli incontri occasionali tra gay – , in realtà parla di tutti. Sfido chiunque ad affermare di non sapere niente delle fantasiose traiettorie dell’eros. Non c’è bisogno di dirlo ad alta voce: questo ruolo se l’è assunto magistralmente il film per tutti, dando corpo, parola e immagine proprio a ciò che generalmente non si dice né si mostra, ma si vive. E si vive molto più spesso di quanto il senso comune o la politica siano disposti ad ammettere. Che se ne sia consapevoli o meno, che lo si riconosca o no, tutti siamo presi nelle maglie di un desiderio sanguigno, un desiderio che fa vibrare la carne dal profondo, un desiderio sempre vivificato e rilanciato proprio dalla sua proibizione, dalla sua condanna e dai pericoli che lo minacciano.
Si potrebbe dire che Lo sconosciuto del lago è un archetipo che sta per tutte le forme del desiderio condannato e vietato, ma che resiste alla sua soppressione, trovando sempre una via per manifestarsi al di là di ogni repressione, controllo o pericolo. Nel film di Guiraudie sono il sesso occasionale, all’aperto, non sempre protetto, e la passione amorosa, irrazionale, cieca, sorda e travolgente, ciò che, seppur ufficialmente castigato, trova in riva al lago il suo ambiente e nella pellicola cinematografica la sua rappresentazione. Nella vita di tutti i giorni questo circuito erotico di proibizione e di pericolo si presenta nelle più svariate occasioni e forme: come un’invincibile infatuazione per una persona socialmente malvista, per una irraggiungibile, per una già impegnata, dello stesso sesso, di molto più giovane o più vecchia. Oppure la ritroviamo nel brivido di una notte finita a letto con uno sconosciuto della discoteca, di un rapporto sessuale consumato col proprio partner sugli scogli all’alba, nel petting fatto nel bagno del treno regionale a mezzogiorno, nei giochi erotici e fantasiosi vissuti segretamente nell’intimità della propria stanza, nei preservativi che talvolta, malgrado le buone intenzioni, rimangono intonsi nella confezione, nelle chattate spinte sui siti internet per single ecc.
Qualunque via abbia percorso la traiettoria del nostro desiderio, il punto è che nessuno può dirsi, con buona pace di pudici, bigotti e moralisti di tutti i luoghi e di tutti i tempi, estraneo alle dinamiche della carne, del desiderio, del mistero.
Con il suo film, dunque, Guiradie dà rappresentazione a qualcosa che riguarda la vita di chiunque e che troppo spesso viene taciuto e negato: mette in scena la fascinazione, anche romantica, del pericolo e mostra non solo corpi, ma anche pratiche dei corpi da sempre velate perché giudicate scandalose e perverse, o svelate in cotesti dichiaratamente scandalosi, di tratti di hard o di night club.
La naturalità del sesso
Ecco dunque il senso della Queer Palm vinta a Cannes da Lo sconosciuto del lago. Guiraudie ritrae, con una regia fine, pulita e diretta, senza filtri e ricami, la spontaneità del sesso, intrecciandola abilmente con la sensibilità e le fantasticherie romantiche proprie di chiunque sia preso nella spirale dell’innamoramento. Ciò di cui parla il regista francese sono una sessualità e un desiderio universali, niente affatto scandalosi o perversi, anzi: disinibiti perché naturali. E tale naturalità ricorre ampiamente in tutto il film, simbolizzata dalla esclusiva ambientazione bucolica data al film, quasi si trattasse di un eden terrestre situato da qualche parte in Francia; dal susseguirsi fisiologico di mezzogiorni e di tramonti in una quotidiana ciclicità temporale; dalla assenza di una colonna sonora, che rende lo spettatore partecipe alla scena, immergendolo nell’acqua del lago per una nuotata o facendolo rotolare dietro ai cespugli insieme ai protagonisti avvinghiati; dall’accostamento degli orgasmi delle coppie al cielo visto attraverso le foglie stando sdraiati al suolo; dalla schietta e smaliziata nudità dei corpi. In questo senso, proprio per quel che riguarda l’accostamento della natura e del sesso, l’opera di Guiraudie non è certo né una novità né un unicum.
Solo per fare un esempio attualissimo si pensi alle immagini di Gian Paolo Barbieri, prestigioso fotografo milanese attualmente in mostra presso Photology con gli scatti censurati la scorsa primavera in occasione dell’esposizione a Palazzo Broggi di Milano del suo ultimo lavoro: Dark memories. Come già ha fatto Mapplethorpe – che con il suo fotografare gli organi sessuali delle piante, i fiori, naturalizza il sesso – , Barbieri ritrae fiori e corpi nella loro nuda materialità, nella loro naturale sensualità, nella loro spontanea eroticità allo stesso modo del regista francese con il suo sesso al lago. Non c’è traccia di volgarità, di squallore, di vergogna, di scandalo, di convenzione nella fisicità ripresa da questi artisti. Essi colgono e ci restituiscono la semplice, esuberante e disinibita espressività naturale dei corpi e dei sentimenti, mostrando ciò che generalmente si nega o si tiene nascosto come se si trattasse di peccato.
Meno noir e più queer.
Se tale è la portata comunicativa dell’impronta registica di Guiraudie, non altrettanto valida è la sceneggiatura del film. Come a dire che la trama e i suoi sviluppi non sono assolutamente all’altezza dell’atmosfera così abilmente intessuta dal regista con la scelta dei personaggi, delle inquadrature e dei suoni in presa diretta. Lo sconosciuto del lago si tinge di noir in maniera grottesca. La suspence fa sorridere e la surprise nasce e muore col primo assassinio. Quel che segue è banale e il finale ha un che di splatter decisamente deludente. Inoltre, per quanto sia apprezzabile la scelta di non contrapporre manichealmente eterosessualità e omosessualità come realtà opposte e rivali, allo stesso tempo, però, sarebbe stato interessante se se tutta la riflessione sul desiderio e sulla fisicità si fosse maggiormente tinta di queer. In effetti, se per un verso gli unici rappresentanti dell’eterosessualità, ovvero Henri e l’ispettore chiamato a indagare sull’omicidio – non considerando l’uomo che si aggira nel bosco in cerca di donne, senza alcuna speranza di trovarle – , siano personaggi disinvolti in quell’ambiente a loro poco usuale, che si limitano a esprimere un po’ di sconcerto per la promiscuità del lago, senza alcuna accusa, condanna o disagio particolari, riconoscendo così la legittimità del luogo e delle sue dinamiche; per un altro verso, il film non si emancipa pienamente dalla logica identitaria che vuole gruppi di appartenenza, accomunati da determinate caratteristiche, separati e contrapposti ad altri, logica ampiamente messa all’indice dalle queer theory . Mi riferisco alla scelta di rappresentare un ambiente puramente omosessuale, collocato sull’altra sponda del lago rispetto a quella frequentata dalle famiglie etero; al legame tra prestanza fisica e carica sessuale: l’unico sessualmente non attivo è l’unico flaccido della spiaggia, Henri – a dire il vero, anche il voyerista onanista è corpulento, ma il suo ruolo è quello dello sfigato, ovvero di essere colui che desidera gli altri piuttosto che di essere oggetto desiderato, di essere quello che soddisfa gli altri piuttosto che di essere soddisfatto – . Così facendo, Guiraudie riproduce e mantiene dei confini tutt’altro che naturali e necessari in una pellicola che in realtà vuole parlare e mostrare qualcosa di propriamente e universalmente umano, e non di qualcuno solamente.
Un film da vedere dunque – anche se forse non da rivedere – con spirito curioso, libero e sereno. Un film che andava fatto e che si potrebbe rifare anche meglio.
Sarà. Ma io l’ho trovato semplicemente brutto, noioso e senza senso. Uno che si fa scopare da un assassino e poi lo cerca pure è solo un coglione, o la trama di pessimo triller.