Francis Ponge – Da “Cognizione del periodo che annuncia la primavera”
(Le righe che seguono sono tratte dalla prima traduzione integrale di questo testo in Italia, a cura di Michele Zaffarano e di prossima pubblicazione per la neonata casa editrice Benway, di cui è redattore insieme a Marco Giovenale, Mariangela Guàtteri e Giulio Marzaioli. L’ambizione progettuale alla base di questa casa editrice è di portare alla conoscenza del pubblico italiano autori, come Francis Ponge appunto, ben conosciuti e apprezzati in madrepatria ma del tutto trascurati in Italia.
Una prima presentazione del volume, coordinata da Luigi Magno e con interventi critici di Jacqueline Risset, si terrà domani alle 17.00 presso la sala Capizucchi del Centro di Studi italo-francesi, a Roma in via Campitelli 3.)
INIZIO DELLA POESIA DEL PERIODO CHE ANNUNCIA LA PRIMAVERA.
Qui, dove l’uomo, riportato alle sue giuste proporzioni, …
Come un paiolo abbandonato, in un angolo del paesaggio, una città, una grande capitale non fa più rumore d’un paiolo in mezzo ai rifiuti.
Di fortezze volanti, ne possono passare a nugoli. Di loro resterà solo uno sbuffo d’aria. La natura, con gli uomini, è impassibile, e voi, a lamentarvi, siete solo ridicoli (Lamartine, Vigny, Hugo).
Per portarsi a casa soldi e fama, adesso, questa cosa, la stanno ancora dicendo tutti (i «Giusti», i… questo e quello).
Fortuna, però, che lei è impassibile! Meglio così!
Anche certi uomini diventano impassibili, perché ce l’hanno dentro al cuore.
D’altronde, in Francia, siete ancora voi la natura: industrializzata, commercializzata; giardini, patii, campi coltivati, fabbriche di legname. Eppure la libertà e il vento e gli uccelli ci sgambettano in mezzo, ci ballano dentro comodi;
Salta fuori da tutti i pori (da tutti i rubinetti), la libertà.
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Les Fleurys, 8 aprile 1950.
Ad averci attirato nel P.C. erano state per prima cosa la rivolta contro le condizioni riservate alla vita degli uomini, la preferenza per la virtù e la smania del dedicarsi a una causa sufficientemente grandiosa. E poi c’era il disgusto per i sordidi riguardi dei socialisti (S.F.I.O.),1 per i loro belati umanitari, per la loro verbosità, per i loro compromessi,
La sensazione che alle prevaricazioni del capitalismo si dovessero opporre metodi energici e insieme flessibili, realisti, senza illusioni. Cose che trovavamo, o credevamo di trovare nei bolscevichi. Gente emancipata e seria, ecco come ci sembrava (emancipata e con la barba corta) (quella di Lenin).
I mezzi dell’arte… (in vista della perfezione).
Abbiamo pensato che la critica marxista potesse fornire la chiave per spiegare la storia passata e presente.
Nelle sezioni e nei singoli iscritti al partito, abbiamo trovato esempi meravigliosi di virtù, di dedizione, di entusiasmo e di capacità di lavorare, di efficienza, di disinteresse, di emancipazione. Anche la freddezza e la critica impietosa ci attiravano. E anche i sacrifici richiesti al gusto e ai sentimenti, perfino all’intelligenza di ciascuno. Trovavamo parecchio seducente il fatto di criticare a posteriori le conclusioni a cui l’intelligenza e i nostri propri «testi» arrivavano. Ci sembrava che fosse un po’ come la critica dei testi che faceva il Temps. Era solo una delle prospettive dell’artista che siamo (L’artista non rifiuta nessuna prospettiva critica).
Poi però ci siamo accorti di parecchie cose: che questa critica ad hominem (critica economistica) non era meglio della critica psicologica, che generava una presunzione grottesca e criminale, che allontanava l’istinto e l’intelligenza dal cuore.
1° Uccideva, il desiderio, lo slancio.
2° Creava una presunzione che inaridiva, un rigorismo ridicolo e mortale.
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Les Fleurys, 8 aprile 1950.
Non cercheremo niente di «significativo» (da dire) sulla nostra epoca (verrà comunque da sé; come potrebbe essere altrimenti, ne siamo fin troppo impregnati).
Cercheremo (al contrario) quello che non sembra significativo, quello che non rientra nei suoi simboli (nella sua simbolica): quello che appartiene al tempo seriale (o all’eternità).
Dobbiamo ridire la «muta natura che ci attornia in schiere profonde»2, che ci riprende alle spalle, che ci ammantella, che ci copre la testa e ci incravatta, dobbiamo ridire aprile (oppure ottobre).
Ed eccomi tornato ai sentimenti che mi hanno fatto scrivere Ad litem,
meno la disperazione. Tutto questo, tutte queste forme prese dalla natura muta, è tutto terribile e insieme assurdo, scoraggiante, e però vive, si abbellisce, continua. E allora: tanto meglio (e tanto peggio); il problema non è questo.
È qui, oh solitudine ingombra di muti elementi fissi tutti al proprio posto senza sguardo, paralitici, è qui, dove tutto un paesaggio mi incravatta e mi prolunga le spalle a destra e a sinistra, dove per esprimersi c’è solo la mia voce (dove non mi devo troppo difendere da animali pericolosi), è qui che sento la mia ragion d’essere.
Il Paesaggio ∞3 grandi nodi colorati di bistro, rattrappiti e paralitici (infermi) sotto i rabbrunamenti bluastri, sotto i voluminosi pensieri provenienti da ovest.
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Les Fleurys, 8 aprile 1950.
Le arti e le lettere si concepiscono, nascono e vivono solo grazie all’illusione della comunicazione e della simpatia. Tutto questo (questa illusione (questo giglio)) è solo vegetazione e fioritura, lo si può concepire solamente nella pace (cfr. Lucrezio, quinto canto).
La simpatia e la comunicazione si «trovano» solo nell’amore e nella festa, nel rapimento, nell’illusione stessa che permette alla vita di continuare (il coito).
Non nella critica o nel giudizio (nella guerra, ideologica o materiale, nel terrore)
Quindi, legittimamente, POSSIAMO comunicare soltanto il rapimento, per il resto non facciamo che uccidere. Soltanto il rapimento si comunica. E comunque, comunicare collera e giudizi non appartiene al nostro gusto…
Adesso, supponendo di perdere questa illusione (e di arrivare al suicidio), l’unica forma legittima di suicidio che rimane è la devozione (gioiosa), l’amore, la conquista della parola, la lode. E questo chiude il cerchio e riporta alla parola, alla sua arte: alle lettere.
[estratto – tit. orig.: Nioque de l’avant-printemps, 1983]
« Nommer la qualité différentielle de la noix, voilà le but, le progrès » [Francis Ponge]