Lo psica

[Ringrazio l’autore che mi ha permesso di pubblicare dei brani del suo romanzo inedito Memorie di un rivoluzionario timido. Precede il primo di questi brani una nota su vicende e temi del  progetto narrativo. A. I.]

di Carlo Bordini

°°° Questo romanzo totalmente legato all’autobiografia è una sorta di bilancio di circa vent’anni della mia vita. Poiché sono stati anni pieni di traumi, la stesura di questo libro è stata una lotta con me stesso. Per questo ci ho messo un tempo lunghissimo a finirlo. Un bilancio, un esame di coscienza su due temi fondamentali: il rapporto con la politica (sono stato a lungo militante di un gruppo trotskista) e i grovigli affettivi che hanno caratterizzato i miei rapporto col mondo femminile. Il tutto preceduto da un’adolescenza vissuta tra depressioni, cambi di facoltà, fughe in autostop e sedute dallo psicanalista. Una normale figura di disadattato, quindi, alla ricerca di un equilibrio. Scritto in periodi diversi e con stili diversi, abbandonato e ripreso, questo libro non poteva che assumere una struttura disordinata e barocca, che accettava, come inevitabile, un fluire profondamente disomogeneo. Terminato da poco, è inedito.°°°

 *    *    *    *    *

Quello che cercò di fare per me lo psicanalista non fu eliminare il sogno, ma almeno abbassare la soglia del sogno. Era un bravo meccanico. Eh! Era diplomato con un perfetto diploma di artigiano di manipolazione delle coscienze. A proposito di manipolazioni, debbo dire che le manipolava con molta grazia. Era delicato come un chirurgo, e ne aveva anche la coscienza professionale. Non squartava, non violentava, non ti sostituiva il fegato con un cervello o con un grumo di sangue, ma lavorava con leggerezza, lasciandoti la possibilità dell’ultima scelta. Lui sapeva che la gente non va violentata. Sapeva che la gente deve scegliere in libertà, e che se la si violenta finisce con l’essere molto meno recuperabile. Di qui in definitiva la superiorità della Democrazia sul Comunismo, il fatto che nessuno scappa dalla democrazia per andarsene al comunismo e che invece quasi tutti vorrebbero scappare dal Comunismo per andare alla Democrazia. I Comunisti mi violentarono invece in modo molto più ortodosso, col tubo di gomma, con facce feroci e manette digrignanti davanti agli occhi e pericoli di Dannazione Eterna. Pur essendo cattolico, il mio psica era molto più laico di loro, e naturalmente finì per l’averla vinta, perché dai comunisti a un certo punto non potei fare altro naturalmente che scappare, mentre lui mi lasciò una porta aperta dalla quale potevo entrare e uscire, porta sempre aperta, giorno e notte, come le Chiese di una volta. La vera civiltà che si regge sulla funzionalità delle sue strutture. Mi parlava del resistere alle pulsioni sessuali e della monogamia e un giorno si trasferì in una casa molto più grande gli chiesi perché era cosi grande mi disse con un sorriso grosso come un cocomero bellissimo: “per contenere più gente”. Si sposa? Sì. Era asciutto, segaligno, con l’aria guardinga, ma doveva amare molto sua moglie perché quando disse che si sposava E io non immaginavo che si sposasse perché era già abbastanza vecchio e forse sembrava più vecchio perché andava sempre vestito bene, e aveva quella faccia seria che si prende invecchiando precocemente, Ma quando seppi che si sposava quasi lo amai, quasi mi congiunsi carnalmente con lui, perché era veramente bello vedere quest’uomo che sorrideva come un bambino

 

Ad ogni modo, cercò di riaggiustarmi. Stava seduto dietro di me, perché usava ancora il lettino (era uno psica classico) e mi faceva dire tutto quello che mi veniva in mente. Sussurrava, dolcemente, Lei non è più un bambino. Lei non è più un bambino. Mi analizzava i sogni, e quella, a dir la verità, era la parte più interessante della terapia. La prima cosa che mi impose, come condizione irrinunciabile perché accettasse di iniziare la terapia, e in realtà fu l’unica cosa che mi impose, fu che mi iscrivessi a Lettere. E che facessi esami. Si capiva dove andava a parare. Naturalmente io non mi iscrissi veramente a Lettere, mi iscrissi a lingue e poi cambiai, tanto per non smentirmi. Il mio libretto universitario era talmente costellato di annotazioni che sembrava un passaporto. Io in realtà non studiavo molto, andavo sempre in giro con la barba lunga, trasandato, ed ero estremamente silenzioso. Nella mia passività di torturato, cominciavo a diventare traslucido, come d’alabastro. In quel periodo era come se nel cielo ci fossero nuvole basse, grigie, che mi davano una sensazione di tranquillità: era un cielo di bromuro. Il mio amore era una stella che stava al di là delle nuvole, e il fatto di non vederlo, questa protezione di nuvole, mi impediva di soffrire. Comunque, per la vulgata, io ero guarito o comunque, stavo guarendo. Piano piano dimenticai che avevo deciso di ammazzarmi se lo psicanalista non funzionava, e  cominciai a vivere alla giornata; e questo era già un buon risultato. Mi ricordo che uscivo con una mia amica che si doveva sposare di lì a poco, e mi diceva “Guarda da quando tu vai dallo psicanalista sei cambiato, riesci a parlare non fai altro che parlare”. E me ne ricordo di trasalimenti di gente che mi aveva conosciuto e che mi rincontrava dopo qualche anno, come sei cambiato! Ma sei sempre la stessa persona??!!, e lui operò su di me un salvataggio in extremis: io ero, in realtà, come un TOPO MORTO. E lui mi trasformò, come si vedrà poi, in un enorme panino con le ruote.

 

Prima non avevo avuto le ruote, adesso ce l’avevo. Ora con le ruote potevo andare a vomitare negli angoli, in caso di necessità, e SPosTarmi, ero come un paralitico cui fossero stati applicati degli arti meccanici, e agitando i moncherini mi accorgevo che potevo camminare. Certo non potevo fare Guglielmo Tell, ma bè. Potevo tranquillamente filarmela come un insetto che non vuole essere schiacciato. In quel periodo pensavo molto ad Irmgard, era il mio collo di pelliccia, e la portavo specialmente in inverno, perché teneva caldo, la mia Stella Polare. Giravo con questa stella polare in tasca, e ogni tanto lo tiravo fuori e lo lucidavo e lo guardavo. Non ho più sentito niente di lei, e lo psica tra noi avevamo creato una specie di gergo, io vivevo in un palloncino, e lui mi diceva: Perché lei vuole stare nel palloncino. Perché là sta tranquillo. Perché là non può essere raggiunto da sua madre. Perché non esce dal palloncino. Voleva trasformarmi in un terrestre.

 

Qualcosa era cambiato in me, ma non sapevo bene cosa. Io ero molto diverso da quello che ero stato due anni prima: ma non mi ero visto crescere, non avevo assistito ai mutamenti che avvenivano in me. Fu un periodo misterioso; non successe niente. Mi ritrovai, d’improvviso, in un altro universo. era un universo giallo, estivo; diciamo: estati passate in città. Ero circondato di gente. Io mi annoiavo: ma non tanto. Mordevo ancora. la mia anima e la mia ombra non erano più opache, ma penetravano nelle cose, ci si incastravano, e poi scivolavano via. c’era questo rapporto leggero col reale, conoscere gente, vedere gente. Ero diventato anche relativamente curioso, per una persona che fino allora non si era interessata a niente, e aveva coltivato solo il più rigido e dolente egotismo. Parlavo con gli altri, anche se magari in modo un po’ strano, sarcastico; o con un’aria sorniona, da figlio. Ogni tanto mi isolavo, riuscivo a scappare. Se andavo con della gente in un posto, dicevo: “resto”; e mi mettevo a leggere un libro. Si stavano sviluppando in me quelli che poi sarebbero stati miei caratteristici entusiasmi, folate d’entusiasmo; quell’entusiasmo che non ha ragione di essere e che è basato solo sulla speranza; e nello stesso tempo mantenevo un lato di me, uno dei miei profili, riserbo e chiuso. scappare era un sogno, o, forse, un vecchio gioco. meglio sarebbe stato vivere negli interstizi, come una ciste; a volte si formava in me una quieta determinazione. l’angoscia mi accompagnava sempre, pungente, come una leggera nebbiolina.

 

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.