I poeti appartati: Massimiliano Damaggio

belgrado8_800

da “Edifici pericolanti”

 

 #

1) Sell in, sell out

#

 

 

 

Poesia della forza vendita

 

Esiste il tempo degli uomini in affitto

ripiegati in due dentro il contratto

nell’atto di spalancare la bocca

per ingoiare la moneta: Complimenti

mi dice il manager, Lei è in progressione

tuttavia non sa gestire le persone

ci vuole la carota, e ci vuole il bastone

 

Esiste il tempo dei ruminanti

che sanno l’intimo piacere del bastone

il Suo obbiettivo è essere una molla

caricare il significato dei corpi: Lei

deve scavalcare la catasta dei giorni

sopra cui sta un obbiettivo, che ci segna

 

 

La responsabilità del fatturato

 

Di notte invio i dati di vendita del giorno

nel silenzio dei condomini appesi nel sonno

lo stormo di cifre che trapassa il corpo

in ginocchio sulla statistica, e la paura

che chiamino, a quest’ora, per avere spiegazioni

 

Dino sta sotto budget da almeno tre mesi

ti dicono di dirgli che è un coglione

non è un insulto, ti dicono

 

è questo il risveglio

 

 

La cessazione del rapporto di collaborazione

 

Gianluca, hai il sorriso ferito

dalla forbice fra obbiettivo e fatturato

sulla sedia blindata della riunione

carichi in canna il resoconto ultimo

e ti si sente

attorno un largo silenzio, e nel rumore

del tuo dissesto interiore ognuno sta

nella posizione da contratto

 

Dietro questi piccoli quadri

si muovono gli uomini abbaiati

dal cane del credo quotidiano

 

 

Lei ora appartiene, ti dicono

all’archivio dei nomi in disuso

 

 

Maurizio il caposettore e il Rackjobber

 

Tutto il giorno ho allineato

i prodotti sullo scaffale

come fossero versi

 

e ora sto con l’ordine in mano

fra i carrelli abbandonati

dove dormono i bambini

consumati, nel silenzio

 

e in questa devastazione, Maurizio

stiamo, fra i carrelli abbandonati

 

 

È questa la semina del bulbo

per le voglie del margine

il campo defunto, e il feto coltivato

che sboccia sul ripiano e si apre in sconto

 

Questa la trincea per il significato

l’obbiettivo, e poi il punto

che l’orario ci mette al nome

 

 

2) Iperghetto

#

 

 

Parla Sankara

 

Certo, si scrive per la purezza

per questa cosa bianca fra le due virgole

per questo toccare le grandi questioni

dell’origine e della morte: si deve

tentare di essere uomini e

rivestire di parole il fatto

di esseri bipedi

 

Decliniamo in segni cose e avvenimenti

ma quello che interessa è la sintassi

per l’esatta definizione del mondo

il mondo altrimenti domani scompare

Ma è anche una parentesi di carne

in questo defluire di cognomi

digressione di ossa in movimento

non altro: sono i molti

dove le grandi questioni coincidono

con la data della nascita

e con la data della morte

 

Il bambino di quindici mesi

si è guardato in giro e ha visto

la sua propria immediata estinzione:

è passato di qui, come un caso

poi è subito morto in diretta

perché non c’era molto da mangiare

 

Si scrive non per salvarlo, poiché è morto

ma per farlo vivere, nella sua morte

 

 

Allo svincolo per l’autostrada

 

Ti trovo la sera seduto sulle parole

inefficaci dell’uomo evacuato

 

fra gli scarti della giornata

ti porto del pane

 

Ma sono gli allarmi a rispondere

questo vento che scende nel tuo silenzio

dove attendi nel fondo della notte

un suono riemergere dal fondo della carne

 

Faccio una battuta e sopravvivo

ma prendo per amore l’elemosina

e sosto, senza amore, perché è semplice

condividere del prossimo

il meno e non il più a me prossimo

 

 

Dissonetto novenario del simposio

 

Ritornando a piedi da Fàliro

perché s’era scassata l’auto

nel traffico di Kifissoù

che una volta era stato un fiume

mica facevo Apollodòro

o parlavo di ragazzini

o pederasti innamorati

 

Il solo simposio concesso

contrattare col pakistano

per l’acquisto di tre accendini

sotto il ponte dell’autostrada

fra i bambini vuoti e avariati

un tossico quasi cariato

un morto che ingoiava asfalto

 

3) Essere e benessere

#

 

 

Jeff Buckley

 

Siamo qui per la bellezza, ma

come rifugiati fra due porte

in attesa di un fuoco qualunque

che commuova il calendario

 

In questo venire e andare di corpi

non hai nemmeno il tempo di dargli un nome

lanciano sul tavolo poche parole, si alzano

 

Siamo qui per la bellezza, ma

come pieni di linee scure

che potevano essere albero, nuvola: attendiamo?

nell’apnea delle disattese

 

sul fiume galleggia un ragazzo

la sua acqua nella voce

modula una fiamma

per chi, liquido, sta

 

 

Coito interrotto

 

Affacciato sopra un foglio o

alla campana del vetro

dove giacciono i frammenti io

sto

 

nella scarsa alternativa

fra maneggiare segni

e segnarmi le mani

 

Per questo la pagina

è un brandello, per questo

io sono interrotto, come il coito

di un amore incompleto

 

 

Reparto gastroenterologia

 

Questo uomo sul fondo del letto

che a fatica riemerge, a fatica

ruba un pugno d’aria

è il tuo ritratto, nei ritratti infiniti

di ogni uomo sul fondo di ogni letto

 

È un dolore cordiale, una mezza allegria

regalare due gocce d’acqua

alle labbra spaccate, che sono state tue

che sono state d’altri

sepolte da luci diplomatiche

che non separano le ombre dalle ombre

nello scambio di respiri dell’ultimo minuto

 

 

Adesso è molto tempo che tutto questo vuoto è tuo

questo luogo

disabitato da un morto, abbandonato da un vivo

 

 

4) Epiloghi e simulazioni

#

 

 

Il sig. Lieto Neri Pellegrini

 

Nessuno sa dove sia, pare

non dorma più, roso

dai rimorsi, il ponočnik, il pomočnik

il luogotenente nottambulo, forse

 

nelle gole del Montenegro, in Grecia

murato in un monastero, rifugiato

in grembo alla Russia, banalmente

nascosto nel bunker di Pale, in Bosnia

si aspettano di trovarlo morto: era

dicono di lui, si chiedono: chi era?

 

*

 

Kara significa nero

Hadzi pellegrino

Radovan esser lieti

Sig. Radovan Karadzić

Lieto Neri Pellegrini:

 

settantacinquemila vittime civili

quattrocentodiciassette massacri

trecentosettantotto lager

novantatré fosse comuni

 

*

 

Pellegrini ragazzino rumina

la sua povertà, pascola capre

nei lunghi inverni, suona

la guzla, Lieto, immigrato sedicenne

scende dai monti, entra smarrito

a Sarajevo, apprendista poeta, ma

 

ha una pancetta borghese

la salute cagionevole

ama la vita comoda

è un codardo, ha paura

anche della moglie, soffre

di crisi umorali, ipocondria

la gente ricorda di lui

la vanagloria, il barare al poker, insomma

 

un piccolo innocuo cacciaballe, tipico

prodotto di un’allegra baracca

che si chiama Jugoslavia

 

*

 

Nel mille novecento ottanta quattro, non per le poesie ma per i soldi, è arrestato

per aver messo le mani sui fondi di edilizia allo scopo di costruirsi una villa

si fa undici mesi di carcere, viene assolto, è il segno

è già legato mani e piedi al sottobosco jugoslavo

 

*

Torna

completamente cambiato, si dà

al gioco d’azzardo, tira l’alba

nelle bische, in carcere

ha imparato a bluffare

ha sposato Liljana, così tetra

da noleggiare ai funerali

Lieto la decanta a gran voce

millanta di sapere l’inglese

ma entra in un negozio londinese

per acquistare dolci, ne esce

con scatole di carne per cani

 

*

 

Quando Belgrado lo mette a capo del partito democratico serbo

i bosniaci, serbi compresi dicono: questo chi è?

dopo, qualcuno dirà che fu una scelta mirata, che si cercava uno psichiatra

per costruire la guerra prima di tutto nei cervelli

ma

 

*

 

tutto è più banale, è una nullità

ambiziosa, ubbidiente, talmente

poco serio, nessuno

potrà credere che con lui

i serbi si preparino alla guerra

 

tanto più che in quel momento

nulla annuncia il mattatoio

Lieto non sente l’odore del sangue

Lieto sente il profumo dei soldi

coglie l’occasione per ambizione

o forse è costretto a coglierla

non sembra un manipolatore

ma un manipolato

 

*

 

Si arricchisce, e lo ostenta

gira in auto blindata

ascolta Bach, smette

di fumare, di vedere

film porno, di bere

whisky, si sottopone

a un corso intensivo

d’inglese, va in chiesa

per la prima volta

in vita sua, si dice

discendente di Vuk

Karadzić, padre

della lingua serba

falso, ovviamente

 

La moglie colleziona

centinaia di scarpe

usa l’elicottero

per portare il cane

dal veterinario

 

La figlia, direttrice

del centro stampa

accoglie i giornalisti

dipingendosi le unghie

 

*

 

Le radici, sempre negate

diventano un vanto

Sono un figlio del monte Durmitor

la galera per malversazione

diventa persecuzione

ingrassa, mente

sistematicamente:

 

facile con i contadini, tra cui diffonde un elenco di donne serbe

destinate agli harem dei musulmani

 

meno facile con i giornalisti, che convoca anche di notte

nella sua stanza all’Holiday Inn

 

*

 

Lo incontro, gli dico

attorno a Sarajevo

ci sono posizioni di mortai serbi

lui ride, ribatte non è vero

allora gliele elenco, una per una

farò controllare

gli parlo di serbi, mobilitati

con la forza da altri serbi armati

gli indico nomi e indirizzi

scuote la chioma

farò controllare

 

*

 

Ma appena comincia la guerra

scopre che il mondo se le beve

tutte

 

 

Altro materiale

 

I cadaveri sono molti

impossibile conversare

con un uomo e la sua tasca

dove si nasconde

 

quando incontra un altro uomo

che lo spia dal portafogli

 

 

Esiste il tempo degli uomini nascosti

nel fondo del corpo stanno

gonfie di istinti le cose incerte

 

Esiste il tempo in cui bisogna stare

complementari come accessori

oggetti che non sanno la sommossa

 

come un abbonamento

 

*

 

Molta la decomposizione, l’estinzione

in corso d’opera

in fondo all’acqua acida

perdiamo la sintassi

 

Insistiamo a camminare

come sintomo di esistenza

non vivere, ma qualcosa

 

 

È superflua la sintassi

al monosillabo di corpi in forma di dolore

confusi nell’urlo gutturale delle cose

 

frutti preoccupati del verme anticipato

che ancora tentano una rima

da accoppiare al corpo e alla sua durata

 

 

 

Alcune note

 

(Maurizio il caporeparto e il Rackjobber) Per un certo periodo, ho lavorato come venditore in una multinazionale che opera nella grande distribuzione organizzata. Durante un meeting (e non riunione) scoprii di essere diventato un rackjobber (e cioè lavoratore dello scaffale o meglio scaffalista). Questa figura è l’involuzione del venditore e del rappresentante. Il suo scopo è di presidiare lo spazio espositivo al fine di ottimizzare la vendita del prodotto.

 

 

(Dissonetto novenario del Simposio) Fàliro è esattamente la stessa Faléro citata da Platone nel Simposio. Durante il tragitto da Fàliro ad Atene, Apollodòro narra a un amico di quanto avvenuto al Simposio e dei ragionamenti sull’amore di Socrate e Diotima. Kifissoù, detta anche Potàmi (fiume), è chiamata l’autostrada che congiunge Atene con Lamìa e che, nel tratto urbano ateniese, scorre sopra il fiume Kifissòs (ital. Cefiso), che sfocia presso Fàliro.

 

 

(Il sig. Lieto Neri Pellegrini) Poesia estratta dall’articolo “Karadzić, il prescelto”, di Paolo Rumiz, Il Diario, 1996. Questo è uno dei pochi testi sopravvissuti a un trasloco, e ritrovati per caso. Scritti fra il 1998 e il 2000, formavano un lavoro chiamato “Storie”. Si tratta di poesie composte partendo da un articolo di giornale da cui prelevavo le cose necessarie che potessero combinarsi fra loro secondo un senso ritmico, evocativo, o giocoso, ironico. Non utilizzavo le frasi che più m’interessavano per poi rimontarle a mio piacimento, seguendo un mio senso estetico e dando loro un significato diverso rispetto a quello del testo originale in cui erano contenute, ma l’esatto contrario: mi attenevo all’originale utilizzando quanto ritenuto essenziale e ridisponendolo poi nell’ordine esatto in cui si trovava. La differenza con lavori simili, cioè di poesia estratta dalla cronaca, sta in questo. La mia non era un’interpretazione di ciò che leggevo, ma un’elisione del superfluo per giungere a una poesia popolare, per sottolinearne il carattere narrativo, come le ballate dei cantastorie di un tempo. Ho ultimamente ripreso questo lavoro concentrandomi sulla pubblicità. Mi sembra che la pubblicità, nella sua pseudo poeticità, sia in realtà la forma evocativa che meglio racconta il nostro periodo storico.

21 COMMENTS

  1. un prezioso traduttore di poesia greca contemporanea e poeta “appartato” che rende giustizia al “nostro essere bipedi” e al senso necessario della traduzione dell’esperienza vita in “memoria”.
    grazie.

  2. bravo Max! mi piace il ritmo e la musicalità che dai al già solido tema sociale delle tue poesie…la pasoliniana terzina ti va a pennello: provala con più audacia…

  3. Stupende, Massimiliano. Questa idea dell’elisione del superfluo per giungere a una poesia popolare e’ molto interessante, ma solo un vero poeta potrebbe raggiungere simili risultati…bravissimo.

  4. Probabilmente il più autentico e intenso poeta civile del nostro asfittico panorama italiano. Il suo senso di commozione rispetto alla sofferenza del mondo non è – come fanno in tanti – una posticcia scelta tematica, ma una vera e propria dimostrazione delle proprie cicatrici sulla pelle.

  5. molto bravo Massimiliano, molto densi questi tuoi testi, come sempre.

    un caro saluto

    Antonio Bux

  6. complimenti massimiliano. ho davvero apprezzato soprattutto le prime poesie “contrattualistiche” il loro senso del ritmo che trascende il contenuto apparentemente prosaico per farne vera poesia di intensa forza civile. ben costruito poi il dissonetto. davvero ottime cose. non conoscevo bene la tua poesia ma adesso mi rallegro del fatto che esistano ancora cose pregevoli come queste

  7. Non voglio fare il jerk ché non è più tempo né aria, ma mi spiegate dove sta la poesia in queste disamine di agra realtà quotidiana? La pars destruens è alla portata di tutti, sulla propria pelle, come *risveglio* dal torpore dei diritti acquisiti su duemila miliardi di debito pubblico. Qui non c’è alcuna forma poetica propria, a parte che in “tutto il giorno ho allineato”. Saluti.

    • A me sembra che la poesia sia lì ,esattamente dove lei non la vede. Mi scusi cos’è la pars destruens? Perdoni la mia ignoranza…
      Saluti

  8. Le prime poesie sono la migliore risposta alla sfilza di numeri che dettano il mio agire quotidiano. Grazie

  9. Ciao effeeffe, mi sono permesso perché “tutto il giorno ho allineato” è davvero una bella poesia (diciamola montaliana), che ben calza la voce e lascia margine al pensato. Il resto è didascalico, urlato o mimetico, adatto a reading orali che devono far presa immediata ma che -a mio modesto parere- non si depositano quando la foga è passata. Saluti di nuovo a te e a Damaggio. Giuseppe

    • Bravo GiusCo, o fu. Ma leggamoci la Calandrone. FF ti adoro, lo sai, ma non amo le macine rimacinate e neanche la sfilza di amichetti invitati a cena per festeggiare un compleanno. Certamente ci troviamo davanti ad uno dei 300 migliori poeti italiani e cconsiderando che ce ne sono 1.234.360 secondo le ultime stime, va bene.
      NI deve essere agone e produzione.

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017