Effetto Čičiskov ovvero opinioni di un disadattato

di Giorgio Mascitelli

 

Spesso mi capita di chiedermi, e lo so bene che è una domanda oziosa perché non ha senso chiedersi come mai non sia successa una determinata cosa, ma spesso mi capita di chiedermi come mai la nostra epoca e la nostra società non abbiano prodotto una grande e gagliarda letteratura satirica. Se penso all’assessore che ha deciso di istituzionalizzare i propri rapporti d’alcova con la segretaria con una regolare scrittura privata,  se penso a certe carriere politiche che hanno comportato più cambi di casacca di quelli di certi calciatori che cambiano squadra ogni stagione ( i pedatori di ventura li chiamava Gianni Brera); se penso a certi esperti con domicilio nei paradisi fiscali che vengono a spiegare cosa l’Italia deve o non deve fare; se penso agli economisti e ai loro sicumerosi algoritmi che hanno previsto tutto tranne la crisi; mi dico che la realtà ci presenta già grandi personaggi e grandi situazioni pronte per essere semplicemente trascritti. Infondo Čičiskov, il protagonista delle gogoliane Anime morte, è un dilettante con la sua modesta truffa, che consiste nel ricomprare dai loro signori feudali elenchi di contadini morti, a fronte di un qualsiasi esperto di aiuti umanitari e ricostruzioni post terremoto.

Il fatto è che la letteratura satirica, più di ogni altro genere, abbisogna di un pubblico solidale con le ragioni che muovono la penna o la tastiera dell’autore. E la nostra, dico la nostra di noi lettori, indignazione è sterile, non produce versi. Non è un problema di intensità o di ipocrisia, siamo autenticamente indignati ma ci mancano i parametri culturali in cui incanalare l’indignazione.

La colpa è naturalmente tutta della società: essa si comporta con noi così come Čičiskov con i suoi clienti. Egli, a differenza dei truffatori della tradizione classica italiana, non gigioneggia, non fa il mattatore, ma è rispettoso, quasi silenzioso, quasi timido e come en passant propone la transazione. La nostra società dissimula con pari timidezza le proprie gerarchie e non ci costringe a fare nulla, se non a essere liberi, quindi di fronte a lei siamo disarmati come i proprietari terrieri davanti a Čičiskov. A causa di questo effetto, che si potrebbe chiamare effetto Čičiskov, la nostra indignazione gira a vuoto perché al di là della ripulsa per i singoli colpevoli non sappiamo nemmeno intuitivamente perché le cose vanno male e dunque non può sorgere nessuno scrittore satirico a esplicitarci le ragioni di ciò.

Insomma la nostra indignazione, al pari della nostra vita sociale, è frammentata, precaria e solipsistica; essa è priva di fondamenta solide e senza di queste non può esserci nessuna solidarietà con nessuno scrittore.

Nel mondo romano il poeta satirico stabilisce un patto con il proprio pubblico attraverso l’ethos tradizionalistico del mos maiorum, la legge morale che si basa sui costumi degli antenati, in nome del quale egli castiga i vizi del presente visto come decadenza causata dal distacco dagli aurei usi dei padri. Nel mondo moderno lo scrittore satirico e il pubblico trovano il loro terreno d’intesa nell’idea di emancipazione e cambiamento della società: i comportamenti oggetto di satira sono innanzi tutto dei crimini contro le leggi del progresso sociale. Oggi, invece, il massimo che si può trovare come terreno unificatore è l’auspicio che amministratori corretti e competenti si sostituiscano a quelli corrotti e incompetenti ossia un’ovvietà retorica e vaga, simile per precisione semantica agli auguri per l’anno nuovo.

Nella Critica della ragion cinica scrive Peter Sloterdijk che “la critica filosofica all’ideologia ci appare l’erede di una grande tradizione satirica, della quale sono armi da sempre:  lo smascheramento, il pubblico ludibrio e il denudamento”. Questa considerazione, che fa parte della polemica antilluminista in nome di valori vitalistici dell’autore tedesco,  è fortemente critica nei confronti della critica filosofica all’ideologia, che rappresenterebbe un tentativo di dare una veste filosofica, e perciò imborghesita e poco vitale, a quella critica dei costumi che nella satira più autentica è condotta in nome della vita stessa. Eppure possiamo leggere questa osservazione da un’altra angolatura, partendo dall’evidenza che oggi tanto la critica dell’ideologia quanto la satira latitano e versano in uno stato di crisi.

Questa circostanza ci insegna che lo smascheramento è un’azione che presuppone un sistema di valori comuni nella comunità in cui avviene. Questo è sempre possibile nell’antichità in cui è garantito da un riferimento mitico a un passato, quello degli antenati migliori, se non perfetti; mentre nel mondo moderno esso dipende dalla storia ossia dalla possibilità che la storia offre a una società di una speranza di miglioramento o di emancipazione. Oggi che manca anche un semplice spiraglio di speranza non è possibile o meglio non è condivisibile nessuno smascheramento.

Il mondo di oggi ha sostituito a una modernità che si offriva come un ventaglio di linee e di possibilità, magari in forma conflittuale, sia di emancipazione sia di oppressione un orizzonte unidimensionale di realizzazione completa di una società di mercato. E’ in questo senso che Guy Debord scrive che il celebre verso di Rimbaud “ bisogna essere assolutamente moderni”, emblema dell’arte modernista, è diventato lo slogan del tiranno. Oggi essere assolutamente moderni significa essere assolutamente omologati a questo stato di cose e chi non lo è allora è assolutamente disadattato ( lo dico con rimpianto, senza iattanza da purista, al contrario, finchè è stato possibile, nelle faccende di arte e letteratura la posizione più feconda è sempre stata quella di avere  un piede in due scarpe).

Queste ultime considerazioni, tuttavia, aprono un problema più ampio che non è possibile trattare qui. Per tornare alla questione della satira, infondo, tutto quanto ho scritto può essere riassunto così: per godere del riso satirico sia come lettori sia come scrittori dovremmo essere uomini più liberi di quello che siamo realmente adesso.

4 COMMENTS

  1. La satira non è nelle corde dei baciapile. Noi italiani siamo storicamente e culturalmente dei baciapile. Ironizziamo, assottigliamo, magari sfottiamo, ma non molto di più. Fior di satirici potenziali sono diventati chierici o poetucoli (si pensi a un Benigni e al suo pallosissimo e omologatissimo Dante). Chi ritiene sia primario, per uno scrittore, l’impegno civile (p. es. un Busi, che possiede tutte le armi del caso e la capacità di servirsene) pensa anche che la satira sia una tediosa deviazione dalla retta via. Non è nata una gagliarda letteratura satirica perché non ce ne importa nulla dei denudamenti: riteniamo di sapere dalla nascita che il re è nudo; l’abbiamo appreso suggendo il latte dal disincantato seno materno.

  2. Entrato da poco in Nazione Insiana, nel novembre/dicembre 2005 pubblicavo a raffica Debord, il primo capitolo della società dello spettacolo. Sono contento che torni invariabilmente e periodicamente a “farsi sentire”. E comunque sono del tutto d’accordo sulla questione della “modernità”.

  3. Sono abbastanza d’accordo con la conclusione, anche se un po’ di satira “gira”, soprattutto nel web. Per quella “ufficiale” mi viene in mente la s. preventiva di Serra e, tra i vignettisti (il settore è secondo me politicamente significativo), Altan, ellekappa, Vauro… non la mandano a dire.

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