Un rapporto a metà

[Un passo tratto dal romanzo inedito Memorie di un rivoluzionario timido. Anche qui. E qui.]

di Carlo Bordini

mi ricordo quando andai al funerale della madre di Seb, era morta due giorni prima. Era estate. Ci andai con B. arrivammo in questo estremo quartiere di periferia, in mezzo al verde, dove c’erano le case che gli operai si erano costruiti con le loro stesse mani e che erano state sostituite da grandi palazzi medio-borghesi (o forse mi sbaglio, forse semplicemente la famiglia di seb si era trasferita da una casa costruita con le proprie mani in una casa medio borghese) il padre di seb faceva l’operaio del gas, ma non era neanche medio borghese, c’erano case che sembravano medio borghesi, e arrivammo e c’era una marea di gente che saliva e scendeva per quelle strette scale, sembrava qualcosa come un pic nic, tutti che salivano, e c’era quella confusione, il caldo, il padre di seb ripeteva che disgrazia che disgrazia. E non facemmo quasi del tutto in tempo ad arrivare su, o forse non volemmo entrare, c’era tanta gente, e subito vedemmo gli operai arrivati per chiudere la cassa, e credo che la chiusero. Erano una squadra di tipi dall’aria patibolare. Poi li vedemmo o io li vidi – li vedemmo che scendevano con la cassa, erano in quattro, la portavano sulla spalla, e vicino a loro c’era un tipo che comandava. La cosa che mi colpì più era il fatto che loro andavano al passo, la cassa era pesante, se non fossero andati al passo la cassa sarebbe caduta, e loro avevano una loro certa aria di fierezza e di dignità, misero la cassa dentro il carro e noi lo seguimmo per qualche centinaio di metri attraverso vie anonime, finché arrivammo in una strana piazza patibolare, una piazza che sembrava immensa e lontanissima, piena di corsie semicircolari, e stranamente vuota. Là il corteo si arrestò e la macchina prese una corsa pazzesca verso il cimitero di prima porta, seguita solo dalle macchine dei parenti più intimi, si allontanò pazzamente come in una comica, e qualche ora dopo ci ritrovammo o meglio ritornammo sui nostri passi B. e io in casa del padre di seb con seb e silvia e non c’erano pochi altri parenti che se ne andarono via subito; stavamo seduti in una specie di angolo salotto che era il salotto della casa e bevevamo e il padre di seb continuava a ripetere che disgrazia che disgrazia e noi parlavamo d’altro. Cercavamo tutti di parlare di qualsiasi cosa che non sfiorasse l’argomento, del lavoro, del tempo, della scuola; era morta da due giorni ma non c’era più traccia di lei; non ne era rimasto per così dire neanche l’odore

 

 

*

 

 

Io in effetti avevo un effetto stabilizzante su di lei, un uomo in casa, questi piccoli accorgimenti di cui ho accennato, la regolarità del sesso, i buoni rapporti con i bambini, e questo far parte della famiglia senza far parte della famiglia, in fondo, soluzione ideale, dormire da lei ma non abitare là, e in parte abitarci, la cena, il letto, e se da parte mia era un rapporto a metà, e quindi ancora più stretto, senza oppressione da parte sua, lo era anche per lei, un uomo presente ma non [possessivo, e anche non] ossessivo, e questo letto a una piazza e mezza ne era anche in parte il simbolo e la situazione ideale, occupa poco spazio e non è neanche un letto da routine, non puoi bivaccarci, bisogna sempre dormire vicini, è una riprova continua di fedeltà, non puoi dormire in un letto a una piazza e mezza e fare come se lei non ci fosse, cosa che invece puoi fare nel letto a due piazze, perché lì ognuno ha il suo posto, si può anche essere soli lì, e ora che ci penso abbiamo sempre fatto l’amore, tutte le sere, era impossibile non farlo, faceva parte delle cose, si andava a letto per fare l’amore, era logico, dipendeva anche in definitiva dalla grandezza del letto; Lei, oltre a avere delle belle gambe e una bella pelle, aveva anche l’orgasmo facile, venivamo sempre insieme, perché lei a un certo punto diceva Vieni! [e io mi [scatenavo, o forse mi] liberavo,]  non avevo bisogno di aspettarla come succede con altre [donne]. Io poi durante il giorno lavoravo, all’inizio vendevo libri, Rizzoli, Einaudi, poi quando vinsi la borsa di studio smisi, anche se senza vendere libri guadagnavo meno, ma avevo tempo per fare qualche piccola ricerca e inoltre preparavo l’uscita del libro di poesie, il primo che potesse uscire, [anche] se era un ciclostilato, ma ebbe successo, mi permise di farmi conoscere nel mondo della poesia. Un periodo positivo, quindi, [perciò] tranquillo, stabile, di una certa stabilità anche se basata sulla fragilità, la stabilità sarebbe venuto molto dopo. Un periodo anche con molti amici stabili che ruotavano intorno alla nostra casa (dico nostra non perché fosse nostra, [perché in realtà] era sua, ma io contribuivo con la mia presenza a radunare questi amici intorno a me e quindi anche intorno a noi). Una coppia stabile che raduna intorno a sé la gente. Il clima anni ’70, la provvisorietà, l’irregolarità, la commistione dei generi, non proprio una comune ma quasi, o almeno dietro l’odore di altre comuni e di altre possibili comuni, e con l’idea inoltre che tutto debba essere verificato, che non ci sia nulla assolutamente di definitivo, che la stabilità debba continuamente essere verificata, in un continuo viaggio. E questa provvisorietà aggiungeva valore alla stabilità, perché essa era una continua conquista, sempre verificata, e mantenerla, giorno per giorno, era sempre una piccola vittoria, una verifica, come una delle piccole battaglie campali  di Napoleone. Ogni giorno una piccola vittoria, quindi non quel tono polemico che c’è nelle coppie sposate, che dicono, nonostante noi siamo sposati, c’è questo che non va, e questo che non va, che non si creda che siccome siamo sposati lui abbia tutti i diritti (o lei), questo tono polemico, sempre leggermente esibito, di fronte agli amici, siamo sposati, e quindi tiriamo questa carretta, ma non crediate che non… non crediate che non… lui non creda che… in questa nostra situazione non si poteva; La coppia o funzionava o non funzionava; ma, in compenso, finché funzionava, funzionava. In fondo c’era questo bisogno di esibire continuamente ottimismo, anche di fronte ai figli (non miei, e quindi anche con una situazione più delicata), Non si poteva dire, come fanno le coppie sposate: Ah, perché ti ho sposato! sapendo che comunque ormai la famiglia, i figli, sono i litigi che ci sono sempre in tutte le coppie, poi la situazione si riappacifica, [E] dove va lei? Dove va lui? Dove vanno? Alla fine si rimettono insieme. Non hanno nessun posto dove andare. Noi, come tante persone come noi, non avevamo questa situazione. Io il mio letto lo avevo, dormirvi non era un atto di rottura ma in caso di rottura non c’erano diplomazie. Se ci sono problemi fai finta che non ci siano, perché siamo a due dita dal naufragio, e per molti anni, devo confessarlo, ho avuto il ricordo, anzi l’orfanità di quella casa, era un rapporto invernale, nNulla di solare, la cosa che ricordo di più erano le fredde albe invernali, in genere l’accompagnavo al lavoro, si usciva coi vetri della macchina che si appannavano oppure pioveva, attraversare piazzale ostiense, andare in mezzo alle pozzanghere e attraversare il colosseo, un mio amico, uno dei miei migliori amici, sognava di svolgere tutta la sua vita in una grande cucina, Al caldo, all’ombra. La barba che cresce. Tagliarsi i peli. Poi anche le unghie, però. Evacuare. armadi. Io svolgevo modestamente la mia parte di uomo mettendo della carta nella suoneria, c’era una suoneria del telefono spaventosa e io risolsi il problema mettendo della carta nella suoneria una volta al servizio militare organizzai uno sciopero della fame che riuscì vincente lei mi diceva quando andrò in pensione se ci vorremo ancora bene perché non ce ne andiamo a vivere in campagna, sì, figuriamoci stavamo là, ed eravamo magnificamente indifesi, Le cose che ricordo di più erano le fredde albe invernali, alzarsi la mattina andare al bagno a volte la preparavo io con attenzioni materne per tutti e quattro. In genere l’accompagnavo al lavoro, si usciva con i vetri della macchina che si appannavano, oppure pioveva, attraversare piazzale ostiense, andare in mezzo alle pozzanghere, e col tergicristallo, poi attraversare il colosseo. ricordo ancora il freddo della sera, il letto, il complicato rituale prima di addormentarsi. Ricordo ancora il freddo della sera, il letto, il complicato rituale prima di addormentarsi dormire nudo nel letto io parcheggiavo sotto casa sua e il portiere mi cambiava pezzi da 50 con monetine da 10 lire per prendere l’ascensore noi che eravamo la quintessenza della precarietà facevamo prove generali di matrimonio in fondo fai la guardia alla tua tomba, è come se custodissi gelosamente la tua tomba qualche volta facevamo l’amore a casa sua poi io andavo via una notte mi fa resta e da allora io dormii quasi sempre da lei va bene, ricominciai a vivere, volevo dire sì, e in effetti dissi sì a tutto, con tanta precipitazione che sarebbe stato pressoché lo stesso dire sempre no, una cosa che l’angosciava era anche la luce in ingresso che entrava in camera sua attraverso la porta a vetri io risolsi il problema attaccando un manifesto in stile liberty che le piaceva molto sul vetro della porta e se ripenso a quel vetro mi sembra in un certo senso che quel vetro sia il mondo una tranquilla porta con un vetro che la copriva per tre quarti che portava in camera sua e dentro la radio-sveglia elettrica, il telefono, la finestra un letto, un armadio, qualche giocarello che le avevo regalato tipo un pinocchio con un naso lunghissimo, fare la guardia alla propria tomba, fare la guardia al proprio non esserci, stare bene attento a che nessuno te lo portasse via, perché è il tuo bene più importante, il tuo diritto a non essere niente. In fondo custodisci gelosamente la tua tomba e di qui la sua piccola follia, entrare nella stanza dei suoi figli e chiedere dov’è la mamma, perdere uno strofinaccio e credere di impazzire quel suo essere irregolare [o alternativa] fidandosi di un medico omeopatico che era ciarlatano senza saperlo e quindi i suoi lunghissimi deliri provocati da una linea di febbre, una follia ordinaria nobilitata da lunghi monologhi, monologhi deliranti rivendicativi questo credere degli altri che fosse un passerotto un non fare il passo più lungo della gamba un credere nella lealtà una qualità un po’ di altri tempi,; una volta ho visto in televisione un serpente che divorava una piccola scimmia e la scimmia mentre veniva inghiottita sbatteva gli occhi

 

il suo rapporto con lei era come un perdono

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.