Il ritardo all’asilo

bambi II  di Andrea Inglese

Quando è venuto il momento di portare la bambina all’asilo, è stato un momento solenne, è banale ovviamente portare il proprio bambino all’asilo, dal momento che tutti i bambini vanno all’asilo, salvo quelli che vengono piazzati dalle balie, o negli asili privati, l’asilo comunale, in fondo, è meno banale di quanto si pensi, infatti la madre aveva dei timori, e oltre i timori, probabilmente, delle angosce, non dico enormi, ma era più allertata di me, più pensierosa, quando preparava il biberon della bimba aveva uno sguardo cupo, come se ci fosse il rischio di avvelenarla con una dose sbagliata, come se il latte invece di un normale nutrimento fosse una medicina, di quelle con possibili effetti indesiderati se non viene dosata, così tutto era un po’ più serio, un po’ drammatico, nella fase dell’inserimento all’asilo, con la madre che citava sempre Alice, che era stata la balia della figlia, una balia perfetta, simpatica, corpulenta, con un figlio altrettanto corpulento, forse decisamente obeso, o con una tendenza spiccata verso l’ingrassamento totale, mentre l’altro figlio, incredibile, era magro e scattante, con tratti vivissimi, sguardo acuminato, laddove il figlio grosso era anche più placido, magari non meno intelligente, ma con uno sguardo lievemente appannato, in leggero ritardo su tutto, forse per lo sforzo di attivarsi, di vincere l’attrito, e portare oltre la sua massa corporea, da Alice era tutto buono e bello, pensava Hélène, c’erano altri due o tre bambini, c’era un piccolo cinese, c’era Camille, che era la più grande, con una faccetta determinata e un codino da cavallo sempre ben tirato, e poi qualcun altro, senza contare gli amici del figlio, che abitavano nella stessa palazzina, cosicché l’asilo, invece, con le maestre, e la direttrice, e l’unico maschio, che era l’educatore, che aveva i capelli rasati come un malato, un internato di qualche ospedale, ebbene l’asilo, pur essendo comunale, e ben fatto, diciamolo pure, un asilo comunale di cittadina borghese, con attrezzature moderne e abbondanti che non saprei neppure descrivere, ma ve n’erano in ogni angolo, quell’asilo era comunque più preoccupante per la mamma, anche perché nostra figlia, inutile negarlo, piangeva, faceva in qualche modo la disperata, non durava tanto, ma era fedele all’iter, si atteneva alle grandi linee della sua età e della sua condizione, non voleva staccarsi dalla madre, non voleva finire in braccio alla maestra, che per altro era molto magra, e poi abbiamo scoperto un po’ assillante, senza contare la direttrice, che durante le prime conversazioni tendeva a farmi uscire subito dai gangheri, per il carattere burocratico e procedurale, per i capelli biondi senza volume, per i fisico magrolino e la voce gentile, monotona e piagnucolante. Solo oggi posso dire che questa direttrice, che dopo i primi incontri avevo cominciato risolutamente a detestare, non perdendo occasione per mentire o lanciare frasi lievemente provocatrici, ebbene, dopo due anni di asilo nido posso anche dirlo, non è stata particolarmente nefasta, nonostante le apparenze, anche se ha saputo subito mobilitare le mie difese, il mio disgusto per la vuota macchina burocratica, con il suo rispetto ottuso delle regole, proprio forse perché non l’ho mai presa sul serio, e l’ho considerata al massimo una fonte certa di scocciature, la direttrice, che è senza dubbio una brava persona, non ha potuto nuocere particolarmente a noi, e quel po’ di ostacoli che avrebbe frammisto al nostro cammino, sono stati evitati grazie alla mia linea di condotta fin dall’inizio improntata alla menzogna e all’aggiramento, nelle istituzioni è sempre buona abitudine non suscitare nessuna forma di difficoltà, di anomalia, mentendo il più possibile e senza troppo preoccuparsi della coerenza delle menzogne, la burocrazia tende a concentrarsi sull’attimo presente, è smemorata, il problema sorto oggi, o che potrebbe sorgere oggi, domani, mutata appena la circostanza, non ha assolutamente più peso, salvo casi disgraziati, dove antiche frottole, dati falsificati, possono scatenare procedimenti complessi e soffocanti.

 

Io comunque spingevo per l’inserimento, mentre Hélène titubava, rimpiangeva il bozzolo leggermente caotico, ma rassicurante rappresentato dal bilocale della balia, invaso completamente da merendine, panini, figli, amici dei figli, e piccoli da custodire, è pur vero che quando scendevano in cortile, nel grande spiazzo ghiaioso che era comune alle diverse palazzine, nostra figlia era sistemata sulla sua carrozzina, e spinta dal figlio corpulento, mentre un codazzo di bambini, a volte con tricicli o monopattini, li seguiva rumorosamente, e in genere una bambina di origine africana, con tremila treccine turgide in testa, apriva il corteo brandendo un bastone lungo e sottile, tutti gridavano, e nostra figlia osservava il mondo davanti a sé serena come un’ape regina, che non ha ancora dovuto confrontarsi con le difficoltà e le fatiche della vita. All’asilo, invece, c’erano diverse maestre: Gabrielle era quella magra, con il volto un po’ tirato, estremamente attiva, ma tormentata, che desiderava non si sa bene cosa dai bambini, e anche da mia figlia, una cosa che evidentemente mia figlia non aveva nessuna intenzione di offrirle, a tal punto che Gabrielle, alla sera, tendeva sempre a sottolineare qualche aspetto negativo della giornata di nostra figlia, Lulù aveva avuto per tutto il tempo il naso che colava, o aveva morso due o tre compagni, oppure non aveva mangiato i fagiolini, o non si era troppo implicata nella sessione di pittura, o era arrivata di cattivo umore all’asilo, ma tutto ciò era detto con tono pedagogico, non per un semplice, obsoleto, autoritario, bisogno di rimproverare, e quindi reprimere, come accadeva un tempo, prima delle rivoluzioni pedagogiche del secolo scorso, Gabrielle non voleva recriminare, inibire, umiliare, ma certamente aveva bisogno di controllare maggiormente i piccoli che aveva in affidamento, per orientarli attraverso una fitta e organizzata serie di attività educative, dove il gioco insensato, il ripiegamento musone e asociale, la fantasticheria segreta, non avevano troppo diritto d’esistenza.

 

Comunque l’inserimento andò a buon fine. E la giornata tipo dell’asilo funzionava così: noi avremmo dovuto portare Lulù alle 9.00 di mattina, al più tardi alle 9.30, come aveva specificato sia la direttrice, in occasione di un incontro ufficiale, sia Gabrielle, diverse volte, in occasione dei nostri ritardi mattutini. Alle 9.30 infatti cominciavano le attività specifiche, come disegno, ascolto di favole, musica, attività fisiche, ecc., ed era ovviamente importante che Lulù fosse presente all’asilo, primo per poter scegliere l’attività, e secondo per poterla intraprendere assieme a tutti gli altri, noi giurammo e spergiurammo sempre che per le 9.30 nostra figlia sarebbe arrivata all’asilo, e ricordo effettivamente un paio di occasioni in cui riuscimmo ad essere all’asilo alle 9 e 45 in punto, per il resto delle mattine, e con notevole impegno da parte nostra, riuscimmo a limitare i nostri ritardi alle 10 e qualche minuto. (Io ed Hélène cominciavamo tardi a lavorare, e spesso avevamo la possibilità di lavorare a casa.) Generalmente, nei periodi fasti, di organizzazione ben oliata, si riusciva ad arrivare sempre alcuni minuti prima delle 10, questa era veramente il nostro obiettivo, e ci spendevamo una certa energia. Ci sembrava, infatti, un atteggiamento eccessivo e quasi provocatorio il superare la soglia delle 10, ma neppure potevamo essere eccessivamente puntuali con la nostra mezz’ora di ritardo. Bisognava lasciare un che d’indeterminato e imprevedibile nella nostra negligenza sistematica, affinché tutto potesse sembrare contingente e provvisorio, frutto del caso, di circostanze mutevoli e indipendenti dalla nostra volontà, come l’apparizione di un cane schiacciato in mezzo alla strada al momento di salire in macchina, la sparizione di tutti i ciucci al momento di uscire di casa, l’inceppamento dello zip della giacca impermeabile, la gestione maldestra di un pannolino sporco durante la vestitura, in questo modo Lulù, che si era fin dal primo anno di vita mostrata una serena dormigliona, un’amante schietta del sonno, a suo agio nel materasso e sotto le coperte, con nell’artiglio il suo lurido pagliaccetto, e in bocca il ciuccio, Lulù aveva vissuto due anni di risveglio ozioso e blando, facendosi le sue dodici, a volte quattordici ore di sonno, e come unico scotto, unica punizione per aver goduto immoderatamente di tale privilegio, le attività dell’asilo nido non poteva sceglierle, quelle attività che comunque si facevano a turno, e che quindi avrebbe comunque finito col fare, anche se mai dall’inizio, costantemente in ritardo, come accade d’altra parte nella vita, nella vita vera, intendo, non in quella sfalsata dell’asilo, organizzata secondo criteri rassicuranti e pedagogici, che permettono a persone serie e impegnate come Gabrielle di credere che tutto stia filando liscio per il bambino, dal momento che ha scelto tra le formine di pongo e il collage di cartoncino colorato, mentre nella vita non pedagogizzata, quella fuori dall’asilo nido, noi arriviamo con un enorme ritardo, un ritardo rispetto all’umanità già esistente, e mobilitata, attiva sul posto da anni, da decenni, con gente perfettamente affiatata, e abilissima, a fare cose che noi cominciamo appena a intravedere, cosicché il ritardo è totale e definitivo, le scelte sono già state fatte a monte da millenni di civiltà, e questo dovrebbe se non altro legittimare chi ha voglia starsene a letto una mezz’ora, persino un’ora di più degli altri, e ciò gli sia quindi concesso, magari un po’di frodo, aggirando le norme di qualche istituzione non ancora totalitaria, come l’asilo nido comunale, in una cittadina borghese, alla periferia di Parigi.

4 COMMENTS

  1. Avendo bambini in età di asilo questo scritto mi ha irritato profondamente. Descrive un conportamento antisociale rivolto contro gli altri bambini, non certo contro le maestre o la piccola protagonista. Mi parte un embolo, o meglio, collego immediatamente tanti episodi reali di egoismo, disprezzo degli altri e amore del proprio comodo a cui ho assistito e in cui ho discusso tanto.

    L’asilo è il primo stadio di un processo di regole, amicizie, autorità, tensioni, ipocrisia, conformismo e menzogna che coinvolge genitori e figli. Ho visto cose che non avrei mai immaginato. Benvenuti a scuola.

  2. è evidente jan che i genitori qui descritti sono degli scriteriati antisociali:) ma mi hai dato un buono spunto per intrecciare la loro voce con una di orientamento contrario, a difesa della puntualità e degli aspetti più burocratici e pedagogizzanti delle istituzioni educative…

    poi mi racconterai cosa hai visto di così tremendo negli asili italiani…

    • Guarda Andrea, mi ha colpito l’automatismo della mia reazione, segno forse che le regole dell’asilo ho faticato ad interiorizzarle da genitore.

      Per il resto, ho visto mammine perfettine con i figli pieni di lendini, SUV parcheggiati sulle strisce per far scendere il pargolo, nonni alcolizzati, dirigenti machiavelliche, bambini davvero disagiati, maestre bravissime e asili funzionanti, grazie al cielo.

  3. Se metto assieme varie testimonianza, viene fuori che in genere l’asilo è traumatico innanzitutto per i genitori. Almeno da piccoli, come i figli dimostrano, ci si andava fatalisti e spensierati, senza porsi domande. Da adulti, è come essere riconfrontati a tutta la trafila della socializzazione (mai innocua).

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.