A sangue freddo: le Schegge Taglienti di Alessandra Daniele
Alessandra Daniele, Schegge Taglienti, satire al vetriolo da Carmilla on line, Agenzia X, Milano 2014, pag 192 € 13
di Mauro Baldrati
In Italia c’è bisogno di una satira politica come quella di Alessandra Daniele. Ce n’è un bisogno vitale. Ciò che resta della satira, infatti, nella frattaglia mediatica-populistica che ormai si è impadronita dell’immaginario italico, devastato da quella sindrome “del pecorame” di cui parlava Gramsci negli anni Venti, si concentra soprattutto sugli aspetti folkloristici dei personaggi, qualche tic, miserie umane, talvolta con l’interessato in studio che ridacchia mentre lo si sbertuccia (come sovente accade da Crozza-Floris, che nella triste Waste Land attuale resta comunque uno dei migliori). Invece la satira deve essere cattiva, scorretta, perfida. E’ la sua natura. Deve ferire, non avere pietà, perché si rivolge a chi non ha alcuna pietà per gli altri, chi ruba, calunnia, inganna. La satira può essere una valida arma di difesa/offesa. Quella di Alessandra Daniele lo è.
Questo libro raccoglie i testi brevi – i corsivi – che appaiono il lunedì su Carmilla nell’omonima rubrica Schegge Taglienti. Alcuni sono sotto forma di racconti, altri di commenti, o di invettiva, con lo stile della “rasoiata”: fendenti secchi, micidiali. La Daniele fa scattare il rasoio contro la folla di bugiardi, politici da strapazzo, macellai sociali, buffoni di corte, imboscati, corrotti, mentitori di professione, insomma l’affollata cricca parassitaria che – come Alessandra Alez ripete spesso nei suoi testi – forma i governi di paglia, uomini e donne prestanome che fingono di governare ma lo fanno per conto terzi, in cambio di laute prebende, per conto di chi sta fuori dall’Italia e decide del nostro destino (la Troika, la BCE, le multinazionali finanziarie ecc.).
Le Schegge vibrano di un odio freddo, con buona pace di chi stigmatizza il politicamente scorretto del vituperato I hate. Invece l’odio va lavorato, filtrato, ripulito, perché l’odio sociale può essere la base di una nuova resistenza, di un conflitto di classe, di una battaglia politica. Lo è stato per il punk, I hate Pink Floyd. E Alez in fondo è un po’ punk. C’è come un nichilismo nei suoi pezzi brevi, una rabbia iconoclasta che tuttavia non è mai fine a se stessa. Anche perché è “lavorata”, riscattata dalla scrittura letteraria. La sintesi così estrema è un requisito difficile da raggiungere. Non una parola sprecata, non un ragionamento di troppo. Non una concessione all’entertainment o all’affabulazione. Come scrive Valerio Evangelisti nella prefazione, arrivano gli echi del mitico Fortebraccio, il polemista-moralista che dalle antiche pagine de L’Unità sferzava i politicanti democristiani; c’è lo stile del Male, del Journal bête et méchant Hara Kiri, ma anche dell’ultimo Giorgio Bocca, che nella rubrica l’Antitaliano su l’Espresso faceva a brandelli il malcostume italiano. Ma c’era più disperazione, in un certo senso. Era un pessimismo disperato. Invece le Schegge non si avvitano sul negativo e la rassegnazione. Sono intrise di vendetta, di indignazione, ma anche di dolore. Sì, negli spazi bianchi c’è il dolore di chi è costretto ad assistere – e a subire – alla deriva italiana verso il servilismo senza ritorno ai potenti, al malaffare, al populismo, all’agire omertoso e mafioso, mentre tutto crolla tra le orge di una cricca politica di mantenuti, di famigli e di cazzari.
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non si trovano immagini abbastanza grandi da farne un poster di questa eroina solitaria(mi sto spingendo nel futuro. Persino una tosta come Ellekappa non potrà resistere troppo a lungo in un’incubatrice ad aria condizionata qual’e’ diventata ormai repubblica)dei nostri tempi. Non è che potreste commissionarle un pezzo di satira leggera su Grillo, così risolviamo il problema?