Cercando un altro Egitto: Giuseppe Acconcia

 

Une parade de l'Armée égyptienne, organisée en 1998 dans le désert de l'Est du pays. © REUTERS.
Une parade de l’Armée égyptienne, organisée en 1998 dans le désert de l’Est du pays. © REUTERS.

Egitto: la «democrazia» dei militari in giacca e cravatta

( in risposta all’articolo di Marco Alloni pubblicato ieri su Nazione Indiana  )

di

Giuseppe Acconcia

Il Cairo – Abdel Fattah el-Sisi (detto Sisi) è il nuovo presidente egiziano. Per la prima volta, il raís del più grande paese del Nord Africa guiderà lo stato con le mani già insanguinate. L’ex generale, esponente del Consiglio supremo delle Forze armate (Scaf), è infatti responsabile dei test della verginità su 17 donne che manifestavano in piazza Tahrir (2011), e corresponsabile delle morti di circa mille egiziani nei 18 giorni di occupazione di piazza Tahrir (2011), delle violenze di Mohammed Mahmud e Maspiro (2011), ideatore del massacro di Rabaa al Adaweya (2013) e coinvolto nelle morti dei mesi precedenti alle elezioni presidenziali del maggio 2014. Nonostante ciò, il colpo di stato del 2013 che ha deposto l’ex presidente Mohammed Morsi lo ha incoronato come personaggio mediatico, diffondendo la mania per il ritorno della «stabilità» tra gli egiziani.

 

I militari in giacca e cravatta

«È l’ultima volta che mi vedrete con questa uniforme», ha detto Sisi dagli schermi della televisione pubblica all’annuncio della sua candidatura nel marzo scorso. Il passaggio dall’uniforme alla giacca e cravatta, come fu per Gamal Abdel Nasser, Anwar al Sadat e Hosni Mubarak, si è così compiuto. Le dimissioni di Sisi da ministro della Difesa sono state poi essenziali per mantenere viva l’ambigua relazione tra élite militare e politica che domina l’Egitto dalla rivoluzione del 1952.

 

Sebbene il movimento sociale di piazza Tahrir del gennaio 2011 si sia trasformato immediatamente in un colpo di stato militare, l’esercito ha agito con molta cautela per riprodurre il consueto rapporto tra élite politica e militare. Ha agito sul potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza. L’incontro in piazza Tahrir tra gli organizzatissimi Fratelli musulmani e i giovani rivoluzionari ha immediatamente disattivato il potenziale del movimento.

In un secondo momento, gli islamisti sono stati usati dall’élite militare per dimostrare al popolo egiziano che l’esercito, e solo l’esercito, è in grado, in altre parole ha il «potenziale rivoluzionario» per guidare il paese. E così le forze armate hanno di nuovo azzerato la distinzione tra politici e militari intervenendo direttamente per annullare la rivoluzione del 25 gennaio 2011 con il colpo di stato del 3 luglio 2013.

Da quel momento i militari hanno imposto la vendetta verso gli islamisti e un controllo scientifico sulla società egiziana: facendo ciò che la Fratellanza si era dimostrata incapace di fare (coprifuoco, controllo della polizia, leggi anti-proteste, leggi anti-terrorismo). Il potenziale rivoluzionario dei movimenti di piazza è stato così completamente azzerato.

 

Non è un caso poi che il primo annuncio ufficiale della candidatura di Sisi sia arrivato dopo tre attentati e 50 vittime nel gennaio 2014. Riportando alla ribalta, per tipo di attacchi e luoghi dove sono avvenuti, le solite oscure connessioni tra Sicurezza di stato e islamismo radicale jihadista. Il sangue è servito ai militari per dimostrare ancora una volta che l’unica soluzione per gli egiziani è il ritorno del Faraone. E così, se il passaggio dall’élite politica a quella militare è stata impercettibile per gli egiziani nelle tre presidenze precedenti, tanto che pochi associano all’esercito Gamal Abdel Nasser, Anwar al Sadat e Hosni Mubarak, questa volta, il passaggio dall’uniforme agli abiti civili da presidente è avvenuto dopo un anno di governo islamista, che per i sostenitori dell’esercito verrà considerato come un «incubo scampato», per arrivare a incoronare Sisi e la sua «lucida follia». Dopo il 25 gennaio 2011, i militari hanno optato quindi prima per l’intervento diretto in politica dello Scaf e poi per un anno di farsa in cui hanno portato allo scoperto il lato oscuro dello stato: la Fratellanza musulmana, con lo scopo di dimostrare a tutti che si tratta solo di «terroristi incompetenti».

 

Il principale strumento di controllo di lungo termine, adoperato dallo stato per disattivare le contestazioni, è la legge anti proteste. Le principali ong indipendenti, il centro Nadeem e l’Iniziativa egiziana per i diritti personali hanno condannato l’aumento senza precedenti del numero di persone sparite e torturate in carcere, con il pretesto delle leggi anti-proteste e anti-terrorismo. Molti detenuti sono stati arrestati senza accuse e senza che venisse notificato ai familiari il luogo della detenzione per mesi. Secondo il sito indipendente Mada Masr, sono 41mila le persone arrestate dal giorno del colpo di stato militare del 3 luglio scorso, tra cui 926 minori, 4.768 studenti e 166 giornalisti. Invece le indagini sulle violenze di Rabaa al Adaweya sono state costantemente inquinate. Secondo organizzazioni dei diritti umani e ong indipendenti, sono oltre 2000 le persone scomparse il 14 agosto scorso, tra i partecipanti ai sit-in al Cairo.

 

Nonostante ciò, non tocca a noi dire che la «rivoluzione» finisca necessariamente con un colpo di stato. Si registrano costanti divisioni all’interno dell’esercito che vengono messe a tacere, non ultima la possibile candidatura alle presidenziali dell’ex capo dello Staff dell’esercito, Sami Annan, ritirata all’ultimo momento. Non solo, la scarsa affluenza al voto di maggio dimostra una sempre più alta disaffezione degli egiziani ad aderire ai meccanismi di continua riproduzione del sistema autoritario e le autentiche aspirazioni democratiche del paese.

Tuttavia, solo la contestazione del ruolo politico dell’esercito può riportare in vita le aspirazioni rivoluzionarie. Questo potrà avvenire forse con la trasformazione della Fratellanza da pilastro dello stato a movimento rivoluzionario. Sperando che nel frattempo gli egiziani non abbiano dimenticato che il presidente Sisi era un militare.

 

7 COMMENTS

  1. Ottimo articolo. Complimenti, finalmente un giornalista che capisce qualcosa su quello che accade qui.

  2. Francesco sarebbe interessante chiedere all’autore, se ha voglia e tempo, un’analisi più articolata delle componenti del movimento di Tahrir e dei suoi limiti ed errori.

  3. Grazie Giorgio per la tua domanda, mi limito qui ad una prima risposta in attesa del tempo per scriverne più estesamente.

    Dal 25 gennaio 2011, Tahrir è diventata il simbolo dei movimenti giovanili egiziani perché ha unito migliaia di giovani, ultras, venditori ambulanti, donne, migranti, poveri e attivisti, che hanno formato la loro identità anti-regime occupando lo spazio pubblico. La più grande piazza della città è diventata un laboratorio unico al mondo di «politica di strada».
    Il movimento è stato disattivato gradualmente dalla monopolizzazione delle proteste da parte degli organizzatissimi Fratelli musulmani; dalla frammentazione dello spazio pubblico, voluta dai militari, per cui i palazzi del potere apparivano irraggiungibili; da procedure elettorali affrettate (le presidenziali del 2014 sono state le seste elezioni dal 2011); dalla presenza delle telecamere che hanno ingabbiato la protesta in piazza Tahrir; dai limiti dei social network nella trasformazione della mobilitazione in partecipazione politica; dall’accordo di giudici, polizia, uomini del vecchio regime, piccoli criminali, cristiani copti, moschea di Al Azhar e liberali (inizialmente) nell’appoggiare il colpo di stato militare del luglio scorso; dall’uso dei movimenti giovanili, con la campagna di raccolta firme Tamarrod, infiltrata da uomini dei Servizi segreti, per mettere in atto il colpo di stato; infine dall’estrema frammentazione dell’opposizione politica laica e secolare.
    Si consiglia anche: http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/egitto-laica-e-nazionalista-lopposizione-al-neo-eletto-presidente-si-organizza
    http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/egitto-il-massacro-di-port-said-nasconde-lo-scontro-tra-stato-e-societa
    http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-rivincita-delle-opposizioni-laiche-giovanili-nasseriste-e-ancora-frammentate
    http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-sinistra-egiziana-tra-boicottaggio-voto-di-protesta-e-sostegno-sisi-10487

Comments are closed.

articoli correlati

Viaggio in direzione 270°: quando la guerra cambia la vita

Giuseppe Acconcia Abbiamo incontrato nel suo tour italiano lo scrittore iraniano, Ahmad Dehqan, autore del libro “Viaggio in direzione 270°”...

I am the Revolution

di Giuseppe Acconcia Abbiamo assistito al Cinema Rex di Padova alla proiezione di “I am the Revolution”, documentario di Benedetta...

Fespaco: il racconto sociale e politico di un’Africa che cambia

di Giuseppe Acconcia Ouagadougou «È come sempre un festival rivoluzionario», è stato il commento dell'attore Al Assane Sy in occasione della...

Il tempo tormentato nelle celle siriane, “Il luogo stretto” di Faraj Bayrakdar

di Giuseppe Acconcia “Il luogo stretto”, l'ultima raccolta di poesie del siriano Faraj Bayrakdar (Nottetempo, 2016, 98 pag.,...

una rete di storie I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI


STORIE DI EMIGRAZIONE
di Andrea Inglese
Il migrante è senza dubbio una delle grandi e terrificanti figure del nostro tempo, lo è a tal punto grande (e terrificante) da evocare una quantità di immagini estremamente forti, perturbanti e spesso contraddittorie: il migrante è colui che annega, che non può essere salvato, che nessuno vuole sia salvato, ma il migrante è anche quello che viene salvato, agguantato per un soffio, strappato alla morte quasi esausto.

una rete di storie festa di Nazione Indiana 2017

Nella sua storia lunga ormai ben 14 anni Nazione Indiana ha pubblicato più di 10.000 articoli di critica,...
francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017