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cinéDIMANCHE #04 FRANK PERRY “Un uomo a nudo”


 

Cinevisioni

di

Francesco Pecoraro

Dell’uomo nudo di Cheever/Perry/Pollack la cosa che ci crea continuo disagio fino alla fine del film e oltre (non ho letto il racconto da cui è tratto) è esattamente il suo essere nudo e bagnato tra gente estranea e implacabilmente vestita, se si eccettua una ragazzina che lui cerca di coinvolgere, senza riuscirci, nella sua impresa dichiaratamente esplicitamente eccessivamente metaforica. Il film (è del 1968, ma in gran parte girato nel ‘66), in sé difficilissimo da fare, non è invecchiato bene, eppure conserva una forza misteriosa, un’aderenza al presente che fa male. Programmaticamente implausibile, manca di fluidità, ha evidenti difetti tecnici, salti di montaggio, recitazione quasi sempre talmente pessima (ho visto l’edizione doppiata, il che certamente non aiuta) che ti viene il dubbio sia intenzionalmente straniata. Insomma in certi momenti ti dici che forse è soltanto un film ambizioso e non riuscito. Ma quell’uomo che esce dal crollo totale della propria vita e si aggira per la contea, nudo per tutto il tempo, nell’indifferenza dei vicini (che sanno di lui più cose di quante ne verremo a sapere noi), quell’uomo sgusciato e umido, arreso e fuori di testa, che non ostante la prestanza fisica si torce nella polvere come un mollusco, sempre più umiliato, è figura potente e crudele, che ti stana come un incubo ricorrente. La violenza sorda della società americana dell’epoca, per niente dissimile dalla nostra contemporanea, si vede nel disprezzo progressivamente crescente che l’uomo nudo cumula attorno a sé, mentre il freddo e la solitudine si fanno più forti e comincia a piovere.

 

La chute

di

Francesco Forlani

« Ce qu’il y a de plus profond en l’homme,
c’est la peau. En tant qu’il se connaît ».

Paul Valery

Ha ragione lo scrittore francese a dire che nulla v’è di più profondo nell’uomo della sua superficie, della pelle. C’è una contiguità formale tra le due espressioni francesi, à fleur de peau, a fior di pelle e  à fleur d’eau ovvero qualcosa che affiora in superficie, e tale appartenenza permette di legare concettualmente i tre diversi titoli dati allo stesso film di questa odierna puntata di cinéDIMANCHE: l’originale americano The swimmer, il francese Le plongeon (il tuffo) e l’italiano Un uomo a nudo; la superficie, la profondità e la pelle. Il film Un uomo a nudo (1968), diretto da Frank Perry, è tratto da un racconto di John Cheever, The swimmer pubblicato nel 1964 (The New Yorker ) dove si racconta di Ned Merrill, (interpretato da uno strepitoso Burt Lancaster) impresario teatrale, che dopo un incontro  in casa di amici decide di tornare a piedi e in costume da bagno alla sua villa, bagnandosi in tutte le piscine che incontrerà per strada.

Gli sembrava di vedere, con un occhio da cartografo, quella catena di piscine, quel corso d’acqua quasi sotterraneo che si snodava attraverso la contea. Aveva fatto una scoperta, aveva dato un contributo alla geografia moderna, e quel corso d’acqua l’avrebbe chiamato Lucinda, col nome di sua moglie. (…) Per primi venivano i Graham, gli Hammer, i Lear, gli Howland e i Crosscup. Poi avrebbe attraversato Ditmar Street fino alla casa dei Bunker, e da lì, dopo un breve trasbordo, sarebbe arrivato alle piscine dei Levy e dei Welcher, e alla piscina pubblica dei Lancaster. Seguivano poi le piscine degli Halloran, dei Sachs, dei Biswanger, e quelle di Shirley Adams, dei Gilmertin e dei Clyde. 
( The swimmer in The Stories of John Cheever. Traduzione di Marco Papi, Roma, Fandango, 2000 )

Non volendo anticipare la trama del film e così rivelare il suo dispositivo narrativo, mi limiterò a stilare una sorta di Abécédaire molto personale con la speranza che possa indurre a una qualche riflessione quanti già conoscono il film e  alla visione coloro che invece  avranno la fortuna di vederlo per la prima volta. Perchè si ama questo film? Probabilmente la risposta è nelle parole che la produzione  utilizzò nel trailer per il lancio dello stesso:

The famed John Cheever short story appeared in the New Yorker and people talked. Now there will be talk again. When you sense this man’s vibrations and share his colossal hang-up . . . will you see someone you know, or love? When you feel the body-blow power of his broken dreams, will it reach you deep inside, where it hurts? When you talk about “The Swimmer” will you talk about yourself?”.

Quando si parla di the swimmer in realtà si parla di noi stessi. I brani in italiano e in corsivo  fanno parte del racconto di Cheever citato in apertura.
 

A

Alcol
 
“Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: “Ho bevuto troppo ieri sera.” Così cominciano il racconto e il film. Ad ogni nuova tappa la frase più ricorrente è “Su, vieni a bere qualcosa.” Quando per chiare ragioni non scatta l’invito è lo stesso Ned a prendere l’iniziativa. L’altra battuta del protagonista è “come with me” rivolta a ciascuna delle donne incontrate nel proprio assurdo viaggio e le sole in grado di dare una svolta alla storia.
 
“Dopo aver percorso a nuoto la vasca, prese un bicchiere e si versò da bere. Era il quarto o il quinto bicchiere che beveva, e aveva già percorso a nuoto quasi la metà del fiume Lucinda.”

 

C

Crawl
 
“Non era uno stile adatto alle lunghe distanze, ma la pratica domestica del nuoto aveva imposto a questo sport alcune consuetudini, e in quella parte del mondo era convenzionale quel tipo di crawl.”
 
Si ha notizia del crawl, da noi conosciuto come stile libero, dal 1844 a Londra, dov’era praticato dai nativi americani, più particolarmente dalla tribù indiana degli Anishinaabe. Burt Lancaster ha cinquantadue anni quando viene girato il film e pur avendo una grande esperienza sportiva non sapeva nuotare al momento della scrittura; fu costretto a prendere lezioni all’UCLA da Bob Horn, notissimo allenatore di nuoto.
 
To Crawl – in francese ramper [ʀɑ̃pe]
 
1. [animal, personne] strisciare . Ramper devant qqn (figuré) strisciare davanti a qn
 
2. [plante] arrampicarsi.
 
In italiano viene da pensare a rampante agg. e s. m. [part. pres. di rampare]. – In senso fig., riferito a persona ambiziosa, decisa ad affermarsi e a fare carriera: un giovane dirigente, un politico r.; usato assol., come sost.: è un r. (o una r.) capace ma senza scrupoli.

 

R

Rampa o scala
 
Ned Merrill: On a scale of one to ten, how good is he in bed?
 
Chiede Ned non senza curiosità alla ex amante.
 
“Si issò sul bordo opposto della piscina, lui che non usava mai la scaletta, e s’incamminò attraverso il prato.” La reiterazione dei due gesti, tuffo e uscita dalla vasca facendo leva sulle proprie braccia stabilisce un nesso profondo con il ruolo del personaggio nell’economia della scalata sociale e nell’ascesa al successo.
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“Si tuffò nella piscina e l’attraversò a nuoto, ma quando tentò di issarsi sul bordo, si accorse che non aveva più forza nelle braccia e nelle spalle, e pian piano raggiunse la scaletta e la salì.”

 

O

Ombelico
 
Durante una sua incursione in una delle piscine di una coppia di amici scopre dalla moglie dell’operazione grave subita dal marito.
 
“Il suo sguardo si spostò dal volto di Eric al suo addome, dove vide tre pallide cicatrici suturate, due delle quali lunghe almeno una trentina di centimetri. L’ombelico era scomparso, e Neddy si domandò che sensazione avrebbe provato una mano nel toccare i propri attributi nel letto, alle tre del mattino, e nel sentire una pancia senza ombelico, senza legami con la nascita, un’interruzione nella successione della specie?”

 

M

Musica
 
Marvin Hamlisch che iniziò la sua carriera di compositore proprio con “The Swimmer” racconta di come avesse scelto il “tema” subito dopo aver letto il racconto.
 
The score was taking on a big, rather symphonic sound. So I wanted a massive tone. I wanted the audience to feel yearning and anguish, as each pool stop peels back part of the hero’s life, revealing him as a fraud and a failure. I called on the size and power of a symphony orchestra to convey this man’s pain.

 
La musica che sembra contenere all’inizio il punto di vista di Ned e quello del mondo, della natura che lo circonda, man mano che ci si addentra nel racconto è come se si distaccasse dalla soggettiva per relegare il protagonista in un mondo che dimora al di fuori della realtà.

 

N

Natura
 
Per tutta la durata del film la natura, verrebbe da dire il vero fiume rispetto a quello immaginato da Ned, fa da controcanto al flusso vitale del protagonista. I paesaggi, i rumori di fondo, determinano un vero e proprio piano sequenza parallelo e in competizione con quello interpretato e vissuto da Burt Lancaster.
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Il fotogramma che più rappresenta questa contrapposizione è la corsa, sfida tentata e inevitabilmente persa con un cavallo lungo la staccionata.

 

S

Swimmer
 
Considerato da Burt Lancaster come il suo migliore film, The Swimmer è rimasto inedito in Francia per più di trent’anni. La prima uscita in sala è stata nel novembre del 2010. Il racconto di John Cheever, di circa una dozzina di pagine faceva parte di un manoscritto che ne conteneva all’origine ben 150. The swimmer, accolto assai tiepidamente dal pubblico e dalla critica al momento della sua uscita è oggi da molti considerato come un cult-movie. Celebre la battuta del protagonista: i’m swimming home

 

L

Lucinda
 
Ned Merrill: I’ll call it the Lucinda River, after my wife.
Peggy Forsburgh: That’s quite a tribute.

 
Lucinda, il nome del fiume di piscine immaginato dal protagonista.Tale nome venne creato nel 1605 da Miguel de Cervantes per un personaggio del suo Don Chisciotte della Mancia (cap XXIV).

 

N

Ned
 
Il nome Ned viene dal tedesco ed, beni, ricchezze, e ward, guardiano. Il viaggio di Ned è possibile interpretarlo come quello ben più famoso di Edmond Dantès, totalmente rovesciato.
 
If there is anything you want, anything at all. Come to me. I will be your guardian angel.

 

Q

Quotas
 
Kevin Gilmartin Jr.: What’s the – What’s the matter?
Ned Merrill: I thought you were gonna dive!
Kevin Gilmartin Jr.: You thought I was gonna dive? There’s no water in the pool!
Ned Merrill: Well… So long again.

*

Ned Merrill: You see, if you make believe hard enough that something is true, then it *is* true for *you*.

*

Donald Westerhazy: Where have you been keeping yourself?
Ned Merrill: Oh, here and there. Here and there.

*

Ned Merrill: We’re all gonna die, Shirley. That doesn’t make much sense, does it?
Shirley Abbott: Sometimes it does. Sometimes at three o’clock in the morning.

*

Mrs. Hammar: Who gave you permission to use the pool?
Ned Merrill: I’m Ned Merrill.

*

Ned Merrill: What did I do to you, Shirley? I’m sorry for whatever I did.
Shirley Abbott: [Cynically] You did the usual red-blooded married man thing. You took me out to lunch and gave me that lecture about the duties of a father and a husband. Oh, it’s considered a classic by now, isn’t it? Reprinted every year in the Reader’s Digest?
Ned Merrill: I don’t remember.

 

P

Pubblicità [Levi’s citazione]

 

 

cinéDIMANCHE
 

cdNella pausa delle domeniche, in pomeriggi verso il buio sempre più vicino, fra equinozi e solstizi, mentre avanza Autunno e verrà Inverno, poi “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera“, riscoprire film rari, amati e importanti. Scelti di volta in volta da alcuni di noi, con criteri sempre diversi, trasversali e atemporali.

 

5 COMMENTS

  1. A Bigger Splash, 1967

    Nel quadro di David Hockney dipinto nel ’67, gli stessi anni del film, ecco una simile meravigliosa giornata, “mai vista una giornata più splendida“, luminoso mezzogiorno, un piccola ombra perpendicolare sotto la sedia da regista, non una nuvola, tutto perfetto e smeraldino, solo gli spruzzi, una specie di accuratissimo e lavoratissimo ghirigoro (si racconta che il pittore ci mise una settimana a dipingerli con una gamma di piccolissimi pennelli) si muovono nella linearità elementare del quadro, the bigger splash di un tuffo dal trampolino, appena avvenuto, ferma l’attimo di un avvenimento in cui il corpo dello swimmer, non ancora risalito, resta misterioso, una specie di attimo perfetto, in cui l’acqua non è ancora tutta increspata dal movimento ondoso, tranne in quel punto.
    Una specie di Instagram ante litteram con il suo bordo bianco stile Polaroid.
    Nel film che inzia con i simboli e i rumori di una natura selvaggia, bosco, lepre, cervo, gufo, acqua scura con foglie secche, le piscine appaiono come gioielli limpidi incastonati nel paesaggio, addomesticate, trasparenti, pulite rassicuranti status symbol.
    Lo swimmer perfetto Ned, quello che nel quadro non si vede, sembra il suo protagonista ideale per solarità e prestanza fisica.
    Poi via via questa perfezione viene incrinata, prima una storta al piede gareggiando giovanilisticamente con un cavallo, per far colpo sulla baby sitter delle figlie, nell’atletico salto di staccionate, poi le gocce sul corpo non più plastiche che diventano solo freddo e pelle d’oca da stringersi nelle braccia. Anche la piscina perfetta diventa nella scena con il bambino che ha paura dell’acqua, vuota e sporca, sul fondo acqua e foglie marce, immaginaria, per attraversarla e tener fede al suo voto Ned deve far finta di nuotarvi, “se uno fa finta fortissimo che una cosa è vera diventa vera“, fino all’umiliazione finale della piscina pubblica, scena di svelamento, i piedi sporchi e feriti che devono essere lavati e disinfettati, il pietire il mezzo dollaro per entrarvi e poter completare il fiume Lucinda, e in cui tutto il castello di perfezione crolla nelle parole vere e degli altri, questa volta non gli amici ipocriti, che dicono solo dietro le spalle, ma vox populi crudele. L’acqua è torbida e agitata dall’affollamento proletario, carica di cloro. Scivolando verso il finale in cui diventa pioggia fredda e ostile.

    ,\\’

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017