Un brusio di fondo – Giorgio da Genova e lo sterminio dei rom a Radio 24

davide-racca        di Mariasole Ariot

La vita oscilla/tra il sublime e l’immondo/
con qualche propensione/per il secondo.
E. Montale

 Della parola come mangime

E’ sera. La rotellina della radio cerca una stazione, la montagna riduce i segnali, non la trova, ricerca. Poi d’improvviso le parole fuoriescono dalle casse come un rigurgito. Schizzano ovunque, non si piegano, restano nella direzione della lama. E’ una lama che ride, che dice il peggio con un ghigno. Mi fermo, raggelo.

– Qualcuno c’ha detto, qualcuno ha scritto, l’avete cassato, l’avete tolto, l’avete buttato via dalla trasmissione. Noi non lo facciamo questo, e ce lo abbiamo qui in carne e ossa, caro Parenzo: Giorgio da Genova. Io voglio capire da Giorgio da Genova se veramente vuol fare dei rom mangime per gli animali?

– Un campo di concentramento, un autocompattatore, da una parte entrano zingari, dall’altra esce mangime per maiali .
Il Mein Kampf se non sbaglio, dice: un animale se lo addestri cambia, uno zingaro non cambia.

Ho un conato, lo trattengo. La voce che domanda è di Giuseppe Cruciani. E’ radio24, La Zanzara: “l’attualità senza tabù, senza censura”.
I minuti passano. Cruciani e il compagno della radio cotinuano la scenetta con una gag che non ha nulla di ridicolo – piuttosto di pietoso e osceno, che appunto esonda, esce dalla scena inondandola: Parenzo l’indignato-che-resta indignato-ma-resta, Cruciani l’uomo delle spallucce, il “suvvia, tutti possono dire quello che vogliono”. E quella scena inondata diventa presto una sostanza vischiosa, umor acqueo in cui tutto si confonde.

Passano altri secondi. I conati non si arrestano, spengo la radio.

Uno può dire quello che vuole – ribadisce Cruciani.
La parola è libera, i filtri scemano, i no non sono ammessi : è la nuova formula del godere ad ogni costo. L’ascoltatore deve eccitarsi, deve accendersi in un focolaio, deve ascoltare per poi dire, deve dire per poter ascoltare, deve urlare. E ad urlo corrisponde urlo. Perché non è la direzione a contare, non la posizione, non il detto ma la forma di quel detto. I toni devono essere pieni, la violenza deve essere stereotipica, a tratti caricaturale, purché d’effetto e richiami altri effetti:

chivawa • 7 giorni fa (da Il Fatto Quotidiano)
la zanzara è uno specie di cloaca dove anche chi non è provvisto di cervello può parlare . da genova suggerirei un bel crematorio e mi raccomando infilatecelo da vivo. per gli altri soggetti della zanzara iniezione letale o sperimentazione di farmaci.

Un autocompattatore : da una parte entrano parole, dall’altra esce un rigolo di sangue, una bava, il resto di uno sputo. Le voci effettate di una presunta libertà di parola. Del resto c’è già stata un’altra Casa che della libertà faceva motto e bandiera, un uomo/casa che ci aveva rubato significanti buoni per restituirceli pervertiti e snaturati. Ci siamo abituati allo scempio, al tutto è concesso.
E’ possibile prendere ad esempio il Mein Kampf, è possibile dire il mangime dei maiali, è possibile dire quanto due culi vendano molto più che la parola di una donna, è possibile incitare la violenza degli stati di alterazione di Borghezio, è possibile parlare di

“sterminio completo di zingari, donne uomini e bambini”. (di nuovo, Giorgio da Genova)

La parola perde peso, si scarnifica, diventa pretesto di pretesto, un semplice passaggio di saliva che di bocca in bocca finisce col suggerire che sì : è possibile. Che il dire non ha a che fare con l’etica, che la libertà si confonde con il vuoto troppo pieno dell’urlo. Si chiedono megafoni, amplificatori del pensiero : perché non è mai abbastanza, non è ancora abbastanza.

***

Dire la parola/dare la parola

Nei giorni seguenti ho cercato in rete.
Scopro che questo dialoghetto è in realtà un secondo round : Giorgio da Genova era già intervenuto qualche giorno prima con le sue tesi sul genocidio.
Quelli de La Zanzara hanno (ovviamente) deciso di ricontattarlo.

Diventa così l’oltre della spettacolarizzazione : una manovra che coglie un fiammifero per appiccare l’incendio. Ma l’incendio non si muove, resta un dire che passa, un discorso da cinque minuti, due chiacchiere da bar, un tweet veloce. Parenzo l’indignato chiede il numero dell’ascoltatore per denunciarlo, Cruciani lo blocca, Giorgio chiede non tradirmi, un po’ si ride, un po’ no, un po’ si stride. L’importante è che tutto punti all’estremo, che l’estremo non resti una vetta ma un punto di partenza, un luogo dal quale muoversi per il gusto di muoversi. Nessuna concessione al limite, il limite non esiste, un velo non esiste. Anzi : va strappato. Non per moto di rabbia e indignazione, non per mettere a nudo l’invisibile ma per rendere visibile l’osceno che attrae. Lo sguardo e l’udito concentrati nel verso del piacere.

Dunque c’è un dire la parola e un dare la parola.
E in quel dare Cruciani è salvo, tutti sono assolti. Non è lui ad aver detto, anzi, ha solo concesso il dispiegarsi di “un’opinione”. Si può passare ad altro. Ai culi che vendono di più, alla Boldrini, uno stacchetto musicale, una nuova alzata di toni.

Se il discorso razzista talvolta smette di essere discorso per diventare azione, anche dare la parola è un’azione. E’ passare il testimone, agire la scelta. Di quanto spazio dare, se darlo, quanto tempo, se c’è un tempo, se è necessario, se etico è darlo, se e quando – per sottrazione – mettere l’altro, su cui il discorso razzista agisce, nella posizione del silenzio : è il silencing.

Ma l’etica – che venga après coup o che stia a monte – ora vacilla. Se quando denuncia riceve l’accusa di moralismo, là dove tace, incassa il colpo e tace.
Quello che continua a parlare è un brusio di fondo, una zanzara, il fumo passivo di un discorso (mal)mediato che produce mostri e riproducendoli si ripara nella frase, ancor più debole e perversa della prima [uno può dire quello che vuole] e che sottovoce afferma : “suvvia, in fondo il mostro sta dentro ognuno di noi”.

 

* immagine : Ein Wort ohne Sinn di Davide Racca

Qualche link utile:

Trascrizione completa della seconda conversazione da Il Fatto Quotidiano

Il video completo, l’audio completo [ dal minuto 1:23 in poi ]

Sulle dichiarazioni di Cristiano Zuliani

Giorgio Pino – Discorso razzista e libertà di manifestazione del pensiero

2 COMMENTS

  1. E temo, diamonds, che quello con cui faremo i conti nell’immediato futuro, vada tutto (o in gran parte) in quella direzione di abbruttimento e brutalizzazione. Non è un caso che anche di questo fatto si sia parlato poco, perlopiù vociferando. Un brusio di fondo a cui sarebbe di gran lunga preferibile un buon 4’33” di Cage : silenzio.
    Al contrario, l’urlo si propaga in forma di zanzara, un urlo brutale, continuo ma a decibel udibili solo ad orecchio teso. E il silenzio resta a chi ne fa le spese.

    P.s grazie per il link!

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Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.