mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.comMariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016).
Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive.
Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana.
Aree di interesse: esistenza.
La musica è bellissima. Le foto colpiscono molto, lasciano un forte senso di angoscia.
Mi hai fatto pensare alla bellissima regione in cui sono nato, il Molise. Un piccolo paradiso assediato da torri eoliche, impianti a biomasse e discariche.
Ciao
Grazie Michele. Sono felice tu abbia apprezzato. Ho anche visitato il tuo sito e il tuo Molise – complimenti per quel tuo raccontare attraverso le immagini.
Di certo, stiamo riducendo questo tutto ad una discarica. Penso ad alcuni paesaggi del profondo nord, estoni, ad esempio. Oppure l’Islanda. A tutta quella bellezza dirompente, che dice il passato ma evidenzia ancor di più la deriva di altri luoghi, la direzione del cemento, del troppo. Si dovrebbe andare di sottrazione : togliere anziché aggiungere.
Grazie a te Mariasole.
Purtroppo l’assenza di qualsiasi controllo sull’edilizia ha portato ad una distruzione quasi sistematica del paesaggio. Poche zone sono ancora relativamente contaminate e non certo per merito dei piani regolatori e degli amministratori locali.
Guardando il tuo post mi è tornata alla mente una lucida analisi di Guido Crainz sulla speculazione edilizia nell’Italia del boom. Ti consiglio di leggerla. Si tratta del paragrafo “Case e cose” nel suo Il Paese mancato, edito da Donzelli (pp. 69-77).
Ciao!
Un libro che ho portato all’esame di storia contemporanea qualche anno fa, caro Michele. Grazie del consiglio retroattivo!(sorrido)
Crainz è un grandissimo storico. Anzi, consigliamo doppiamente a tutti di leggerlo. Non solo Il Paese mancato ma l’intera trilogia.
Beh, questo però significa anche dimenticare la componente umana del paesaggio, considerarla solo un accessorio, ma soprattutto negare la bellezza e il fascino che possono suscitare rovine industriali, pale eoliche o linee ferroviarie. Impatto ambientale a parte, come può considerarsi morente un paesaggio che si trasforma e ci trasforma?
Sulla bellezza che può suscitare la rovina sono d’accordo con te, Jules. Idem per le pale eoliche – credo sia lo stesso motivo per cui ho scattato queste fotografie (bellezza che si annida ovunque).Eppure : “Paesaggio che muore” è inteso non solo nel senso di un paesaggio cancellato, ma di un paesaggio che si deforma, si sforma lasciando il posto ad altro, o frammentandosi, arrivando alla sua disintegrazione. Un paesaggio che schizza ovunque, che non ha bordo. Tu dici : qualcosa si trasforma, dunque non muore. Ecco, su questo non sono esattamente d’accordo : anche il morente, anche il morto trasforma e ci trasforma. Anche il cosa non c’è più, il cosa si sottrae, ciò che si liquefa.
Capisco quello che intendi e ovviamente sono d’accordo, parafrasando Seneca: quel che è vivente è sempre morente. Solo che mi sembra tu sovrapponga l’antropizzazione del paesaggio alla sua disintegrazione e io non la vedo così, piuttosto che di sottrazione parlerei di addizione e piuttosto che cancellazione la definirei contaminazione, ma forse ho letto troppe volte il Terzo paesaggio di Clément… Ad ogni modo: belle foto!