La versione di Alessio

di Stefano Zangrando

 

C’è una forma del male che nasce nel linguaggio, ed è quando quest’ultimo abdica alla sua funzione più necessaria e labile: la condivisione della verità. Dell’uso distorto del concetto di fake news si parla già abbastanza nel dibattito pubblico, ma è nel privato che il “tutto è relativo” si presta all’edificazione dell’incubo.
 

Alessio, laureato quarantenne, separato e con un figlio, conosce Gaia, di poco più giovane, nubile e senza figli, in una chat per incontri, dove l’esposizione di sé come merce-immagine è al tempo stesso superficie di proiezione dei bisogni e desideri di ciascuno. Dopo il “match” è lei a farsi viva per prima. Chattano quanto basta a ritenere, l’uno riguardo all’altra, di non essere due infoiati alla mera ricerca di un coito. Si scambiano i numeri di telefono e proseguono fuori da lì. Emerge presto qualche problema di comunicazione, di comprensione reciproca, ma lo attribuiscono entrambi allo strumento: finché il linguaggio è solo scritto, i margini di fraintendimento restano troppo ampi. Occorre vedersi, muoversi, respirarsi. Concordano un primo incontro, lei propone casa propria. Alessio trova una ragazza sorridente ed estroversa, non avverte quanto sia agitata, ma nota fin da subito brevi, improvvisi, inspiegabili accessi di rabbia o di gelo. Ci passa sopra, trova che Gaia sia bella, glielo dice, le fa un’avance, lei dice: “Sì”. Finiscono a letto, dove subito lei, in lacrime, gli fa confidenze su di sé e sul suo passato – abusi, obesità, una laurea mancata, non può avere figli – che a lui paiono eccessive per un primo incontro. O Alessio è già così speciale ai suoi occhi da meritarsele? Per non parlare dei complimenti che lei gli rivolge dopo il sesso in un tono incantato. Alessio ne è lusingato.
 
La frequentazione prosegue, soprattutto in chat, e i problemi di comunicazione aumentano. Alessio e Gaia sembrano spesso non capirsi, o interpretarsi in modo diverso dall’intenzione di ognuno. Quando accade, lei diventa aggressiva e lo attira in scambi verbali via via più volgari e rabbiosi. Una volta, dopo un climax di attacchi reciproci, lo blocca in chat e sul telefono per una notte. Quando si risentono, Alessio cerca di mantenere la calma, prova a suggerirle che non è colpa di nessuno, ma non è facile. Tanto più che a lei quei momenti passano quasi subito – salvo poi ripetersi di lì a poco, con Alessio che, nello sforzo di trovare un linguaggio comune, torna a chiederle di affrontare insieme questa difficoltà. Meglio incontrarsi di persona, concordano. Si vedono una seconda volta, finiscono di nuovo a letto, ma stavolta ai complimenti subentra uno strano registro: Gaia suona sincera, schietta, ma pare non poter fare a meno di criticare Alessio, trovando insufficiente o ridicolo molto di quel che lui dice o fa. Lui ne è spiazzato, non sa come prenderla, anche perché lei alterna questa sorta di disprezzo a pur sporadici momenti di passione travolgente. Così Alessio soprassiede, dopotutto nessuno è perfetto, potrebbe essere un’occasione per cambiare, migliorarsi, e poi l’intensità in amore è impagabile – perché è amore quello che sta nascendo tra di loro, no? Solo quell’aggressività così frequente, e il modo che ha Gaia di scagionarsi e rispedire ogni colpa al mittente quando Alessio si dichiara ferito, lo inducono a una certa cautela. Che sia solo una questione d’incompatibilità?
 
Continuano a scriversi. Non si vedono molto, un po’ perché lei a volte gli propone un incontro, poi però disdice all’ultimo momento senza scuse né motivazioni che ad Alessio non appaiano poco plausibili; un po’ perché lui è spesso fuori regione, a volte con il figlio, e questo a lei non piace. Se ne lamenta, lo vorrebbe più presente, ma anche più disposto a comprendere la sua volubilità: lei è in un periodo difficile, ha problemi di lavoro, soffre d’ansia e mal di stomaco. Un giorno sembra proprio sull’orlo di un baratro interiore, e il modo in cui glielo spiega in un messaggio, stavolta vocale, fa sentire Alessio importante, proprio come lui vuol far sentire lei manifestando vicinanza, offrendole il supporto che può, proponendole una vacanza con lui e suo figlio. La voce non mente, si dice. Ma dura poco, un giorno o due e di nuovo la versione cambia: Gaia sta meglio, riappare l’aggressività, quel che lui dice o fa per lei non le basta mai o è sbagliato, e adesso pare preferisca respingerlo che accoglierlo. Poi gli dice: “Io tuo figlio non lo vorrò mai vedere”. Alessio ci rimane male, non capisce, tuttavia ci passa sopra e si mette seriamente in discussione: che abbia ragione lei? Sono davvero, come lei dice, così poco empatico, così incapace di capirla?
 
Poi si accorge di una cosa: a ogni critica o attacco di Gaia gli sembra di reagire in modo sempre più aggressivo, assumendo lo stesso registro di lei, diventando altrettanto instabile. Il suo linguaggio sta cambiando e lui con esso, gli sembra. Si sente attratto in una mutazione, in balia di un universo indecifrabile in cui non sa come muoversi. Diventa ansioso, si scopre geloso, perde autostima, dorme male. Una volta anche lui blocca lei, non ne può più delle sue stilettate. Poi però la sblocca quasi subito, gli pare un gesto autoritario, inutilmente violento e puerile. Ma allora perché l’ha fatto? Che stia diventando paranoico? Gaia sfugge implacabilmente alla sua fame di chiarezza come al suo bisogno di amare ed essere amato. L’inafferrabilità delle esternazioni di Gaia, pronte a rovesciarsi in breve tempo nel loro contrario, e dei suoi comportamenti, per i quali lei trova giustificazioni sempre diverse ma in sé coerenti, generano in lui un’insicurezza e una paura mai provate. Dov’è la verità? C’è qualcosa di autentico in quello che sta vivendo, o cos’è questa sensazione crescente e inquietante che sia tutto un sistema di segni adulterati? Matrix in confronto è un idillio, si dice.
 
Sempre più immerso in una costante vertigine interpretativa, Alessio percepisce in Gaia un grumo di dolore irredimibile, ne è attratto e spaventato al tempo stesso, teme le sue reazioni, la respinge e la cerca. Lo stesso sembra fare lei, incapace tanto di riavvicinarlo quanto di distaccarsene. Pare lei stessa vittima dell’instabilità che mina la sua comunicazione rendendola artificiosa, sempre pronta a rideclinarsi a seconda del suo stato emotivo, sempre sul punto di svelare un’assenza di fondamento. In che modo, inizia a chiedersi Alessio, la sofferenza può influire sul linguaggio, o sul modo di relazionarsi con gli altri? E che cos’è, se non è empatia, il processo che lo sta attirando nel diabolico ordigno semantico che è il linguaggio di Gaia? Non sospettava poi di poter diventare lui stesso tanto duro con una persona che credeva di amare: quanto c’entra Gaia e quanto invece c’è di suo, di remoto e rimosso, in questa degenerazione? Che si fa ancora più estrema quando Gaia pare finalmente allontanarsi, seguendo le preghiere di Alessio: dovrebbe esserne sollevato, invece piomba in qualcosa che somiglia molto ad una crisi d’astinenza – da una droga capace di portarti in paradiso per qualche minuto, ma che per il resto ti abbandona a una pena sempre più distruttiva.
 
Così le scrive ancora. Che il legame perduri come conflitto, purché non si spezzi del tutto: ogni messaggio di Gaia, per quanto incongruo, è una dose di calmante. Ma nel giro di poco la violenza è di nuovo troppa. Perché, si chiede allora Alessio in notti insonni e cupe, non riesco a lasciarla perdere? Non è solo l’astinenza, né solo la brama che ha lui di capire, di penetrare il segreto di Gaia. Il fatto è che neanche lei si distacca del tutto. Quando si risentono ha un tono pacificato, persino sereno, ad Alessio non par vero, sembrano finalmente riuscire a parlarsi e concordare una fine conciliante. Ma non dura. Quanto più lui esprime il desiderio di rivederla, tanto più il registro di lei si rifà sprezzante, sottilmente denigratorio. Così ora ad Alessio, quando è da solo, viene spesso da piangere, di un dolore che non hai mai conosciuto prima, mentre l’astinenza lo induce a cercarla di nuovo. Un giorno finalmente, dopo che Alessio ha manifestato non richiesto il suo malessere, Gaia gli lascia un messaggio vocale in cui, con voce alterata che a lui fa venire in mente Linda Blair posseduta ne L’esorcista, lo invita a “mettere in standby i suoi cazzo di sentimenti” e lasciarla in pace. Alessio sulle prime non si accorge che quello è il colpo di grazia, ma coglie finalmente un messaggio univoco, chiaro, e lo asseconda quasi senza fatica. Poco dopo cade in una prostrazione in cui si mescolano lutto e terrore. La sua vita quotidiana è compromessa.
 
Qualche tempo dopo, entrato in psicoterapia, Alessio si sentirà dire di essersi imbattuto in una donna con un disturbo della personalità. Di esserne stato, per le proprie caratteristiche, una preda ideale. Di aver accolto in sé, nel momento in cui Gaia si è presentata come vittima della propria storia, il ruolo di salvatore, secondo un triangolo interpretativo ben noto agli specialisti, salvo poi suscitare in lei con il proprio slancio, non meno disfunzionale di quello con cui Gaia si è nutrita di lui all’inizio, una reazione da carnefice che lo ha trasformato in vittima. Questo tipo di persone, si sentirà dire, boicottano presto ogni relazione, soprattutto d’amore, e lo fanno guidate dalle parti scisse del Sé che si avvicendano dentro di loro – e che prendono la parola separatamente l’una dall’altra. Alessio capirà così di essersi abbandonato, per via di carenze pregresse su cui quella persona ha fatto intuitivamente leva, a una costruzione fittizia: la costruzione cangiante e provvisoria che Gaia fa e rifà in continuazione della propria esistenza per colmare una voragine affettiva che ha origini traumatiche e lontane. Sono persone “in credito col mondo”, gli spiegherà la psicologa, e il loro linguaggio è interamente al servizio di questa loro impalcatura fragilissima. Non al servizio della verità né di una menzogna in malafede, ma di una manipolazione ininterrotta di sé e dell’altro per non precipitare nel vuoto. Lo stesso vuoto in cui attirano i loro partner.
 
Alessio se ne sta tirando fuori un po’ alla volta, ripensa ormai a Gaia con affetto rappezzato, e sa che d’ora in poi dovrà cercare altrove la soddisfazione dei propri desideri. E trovare anzitutto in se stesso la soluzione ai propri bisogni irrisolti. Ma la sua fiducia nel linguaggio non è più quella di prima. Per quel poco che ormai ne capisce, lui e la sua psicologa potrebbero anche sbagliarsi.

@fotografia di Mariasole Ariot

2 COMMENTS

  1. Alessio ha il cervello in pappa anche perché bisogna avere parecchie connessioni sinaptiche per poter venirne fuori, in quanto sapete dirmi come fa ha trovare in se stesso la soluzione ai propi bisogni irrisolti, se la sua fiducia nel linguaggio, ergo anche nel ragionamento, che è alla base del linguaggio verbale e analogico, non è più quella di prima?
    Come farà a rendersi conto di essere in matrix o a vedere il sistema binario che ne è al di fuori?
    Ci vanno anni e anni di duro allenamento e rendersi conto che la consapevolezza non finisce mai di arrestare il suo cammino.
    Io vengo fuori da un matrimonio allucinante dove leggendo l’articolo ho trovato alcuni punti in comune con queste due persone. Carlo ’73

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mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot (Vicenza, 1981) ha pubblicato Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), La bella e la bestia (Di là dal Bosco, Le voci della Luna 2013), Dove accade il mondo (Mountain Stories 2014-2015), Eppure restava un corpo (Yellow cab, Artecom Trieste, 2015), Nel bosco degli Apus Apus ( I muscoli del capitano. Nove modi di gridare terra,Scuola del libro, 2016), Il fantasma dell'altro – Dall'Olandese volante a The Rime of the Ancient Mariner di Coleridge (Sorgenti che sanno, La Biblioteca dei libri perduti 2016). Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato ad esposizioni collettive. Ha collaborato alla rivista scientifica lo Squaderno, e da settembre 2014 è redattrice di Nazione Indiana. Aree di interesse: esistenza.