cinéDIMANCHE #08 FOROUGH FARROKHZAD “La casa è nera” [1963]
Forough Farrokhzad [5 Gennaio 1935 — 13 Febbraio 1967] può essere considerata la più rilevante voce poetica femminile persiana del secolo scorso. Morì molto giovane in un incidente stradale. Nell’autunno del 1962 si recò a Tabriz per girare un documentario sulla vita all’interno del lebbrosario di ⇨ Behkadeh Raji. Durante i dodici giorni delle riprese riuscì a entrare in completa sintonia con il luogo e con le persone: si affezionò molto a ⇨ Hossein Mansouri, un bimbo figlio di due lebbrosi, e lo adottò e lo porto con se a Teheran. Aveva 27 anni e non aveva mai girato un film. Ancora oggi commuove e sorprende la sua abilissima contrapposizione di immagini attraverso il montaggio di piccole sequenze, l’uso di luce, ombra, inquadrature, ritmo, suono e poesie recitate dall’autrice. Gli intensi lirici 20 minuti di La casa è nera precorsero e ispirarono la successiva New Wave del cinema iraniano, che ha prodotto alcuni dei più acclamati registi del XX secolo, come Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf, Majid Majidi e Bahram Beyzaie.
[ sottotitoli tradotti dall’inglese da Orsola Puecher]
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Orsola Puecher
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Forough Farrokhzad
Saluterò di nuovo il sole
Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le secche stagioni.
Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in offerta
l’odore dei campi notturni.
Saluterò mia madre, che viveva in uno specchio
e aveva il volto della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
si, la saluterò
la saluterò di nuovo.
Arrivo, arrivo, arrivo,
con i miei capelli, l’odore che è sotto la terra,
e i miei occhi, l’esperienza densa del buio.
Con gli arbusti che ho strappato ai boschi dietro il muro.
Arrivo, arrivo, arrivo,
e la soglia trabocca d’amore
ed io ad attendere quelli che amano
e la ragazza che è ancora lì,
nella soglia traboccante d’amore, io
la saluterò di nuovo.
[da: Un’altra nascita – in italiano nell’antologia La strage dei fiori, a cura di Domenico Ingenito, 2008 OXP editore]
Conquista del giardino
Il corvo che volò
al di sopra della nostra testa
e scese nel torbido pensiero di una nube vagabonda
e la cui voce come una lancia
percorse la vastità dell’orizzonte
porterà in città nostre notizie
Tutti sanno
tutti sanno
che io e te da quella fessura fredda e cupa
vedemmo il giardino
e da quel ramo alto e giocoso
cogliemmo la mela
Tutti temono
tutti temono ma io e te
giunti all’acqua, allo specchio, alla luce
non tememmo
Non si tratta
dell’effimero legame di due nomi
e di due corpi
nelle vecchie pagine di un registro
si tratta della mia chioma felice
e gli arsi papaveri dei tuoi baci
dei piccoli furti ingenui dei nostri corpi
nel luccichio della nostra nudità
come le squame dei pesci nell’acqua
si tratta di vita argentea del canto
di una piccola fontana all’alba
In quella fluida selva verde
noi, una notte, chiedemmo alle lepri
e in quel mare tempestoso e incurante
alle conchiglie colem di perle
e in quel nome strano e dominante
agli aquilotti
cosa dover fare
Tutti sanno
tutti sanno che noi
siamo giunti al sonno freddo e quieto di Simorgh
e abbiamo trovato la verità
nel timido sguardo del fiore ignoto
in una piccola aiuola,
e l’eternità in un istante interminabile
quando si guardano incantati due soli
Non si trattasi pavido mormorio nell’oscurità
si tratta del giorno e di finestre aperte
d’aria fresca
di un focolare dove ardono le cose futili
di terra fecondata da un’altra semina
di nascita, pienezza, orgoglio
si tratta delle nostre mani innamorate
che hanno gettato un ponte
di profumo e luce e brezza nella notte
Vieni sui prati,
su distesi prati
e chiamami oltre gli aliti dei fiori serici
come il cervo chiama la compagna
Le tende sono pregne di un rancore celato
e le candide colombe
dall’alto della torre bianca
guardano la terra
Dono
Io parlo dall’estremità della notte
Dall’estremità della tenebra
dall’estremità della notte
io parlo
Se verrai a casa mia, oh mio caro
portami una luce
e una piccola finestra
per guardare
la stradina affollata e felice
[Da Un’altra nascita in italiano nell’antologia E’ solo la voce che resta a cura di Faezeh Mardani, 2009 Aliberti editore]
Nella pausa delle domeniche, in pomeriggi verso il buio sempre più vicino, fra equinozi e solstizi, mentre avanza Autunno e verrà Inverno, poi “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera“, riscoprire film rari, amati e importanti. Scelti di volta in volta da alcuni di noi, con criteri sempre diversi, trasversali e atemporali.
Un post bellissimo. Un video che non conoscevo. Grazie a Orsola e Nadia. Domani voglio riguardarlo alla luce.
Grazie Nadia, di questo intenso momento di bellezza e meditazione.