Sette sestine a due voci – Daniele Ventre [D.] & Cetta Petrollo [C.]

di Daniele Ventre & Maria Concetta Petrollo


a Carla Pinto/Pintorettina

I

D. Ci sono istanti che si manca d’aria
tanto si ha sete per bramosa voglia
che non si cede al dono dell’attesa
e ci si rode di rabbiosa fame
e l’ansia chiude nel respiro corto
ogni consueta amenità di sogno
C. E si nasce e si muore. Intreccia il sogno
che un equilibrio cerca in mente d’aria
passo in affanno corre via più corto
d’accumulare disarmata voglia
e pattuita bramosia di fame
e così resa più dolente attesa
D. E la vita si rode nell’attesa
e delusa si perde in vano sogno
come per furia di esecrata fame
che manco di possesso è fame d’aria
e non si riempie inappagata voglia
che d’ogni vita ha reso il tempo corto
C. Il tempo più si stende e più è corto
e galoppa e galoppa nell ‘attesa
brucia e bruciando ingravida la voglia
strada smarrisce giù chiusa nel sogno
e arde il tempo avidità dell’aria
che sazietà di sé non compie fame
D. Così il mondo non sazia questa fame
poiché eterno possesso sembra corto
e solido oro tramutato in aria
e un istante di sosta eterna attesa
e saldo abbraccio di realtà fa sogno
sete infinita d’inesausta voglia
C. Avidità che mangia la sua voglia
e non si ferma ma sferza la sua fame
insegue il pieno dell’ardente sogno
battendo il cuore nel suo fiato corto
e stringe le parole nell’attesa
che la vela battente scuota l’aria
D. Così nell’aria si perde la voglia
per vana attesa di contratta fame
e il fiato corto ci fa nero il sogno

II

D. In questo giorno non mi prendo cura
di me del mondo e del mio tempo stanco
e d’altre cose non mi do più pena
e per angosce mi abbandono pigro
a quel poco che resta del mio sonno
mentre intorno il cammino scorre lento
C. Torpore che ti culla in sonno lento
ti abbraccia come me nelle tua cura
vagando per peccato mente in sonno
ed in malitia io ti trascino stanco
che nel mio corpo non sarai più pigro
che intorpidita avvolgo in me la pena
D. E certo che ogni giorno si dà pena
della sua pena mentre il tempo lento
e ruota lento ancora il mondo pigro
lasciato andare a vuoto alla sua cura
e sono stanco di sentirmi stanco
così che m’è tesoro il primo sonno
C. Sibilla crea rancore nel suo sonno
che a Marradi si ferma la sua pena
pusillanime fugge chi è già stanco
nel sacro bosco via Lamone lento
lei ricordando marca la sua cura
e di follia di sé si nutre pigro
D. Intanto in mia follia ricado pigro
di notte veglio e il giorno ho offerto al sonno
e gli anni li consumo in furia e cura
se per virtù di comminata pena
ruggine e sbarre serro al segno lento
che marca in vetro il cerchio al tempo stanco
C. Ma la discesa lenta abbraccia stanco
chi passione nasconde mentre è pigro
che follia di natura è ritmo lento
e divagando s’offre corpo in sonno
accidia ama con la chioma in pena
accidia porge la sua furia in cura.
D. Così per troppa cura al peso stanco
d’antica pena m’abbandono pigro
nel vuoto sonno a cui mi rendo lento

III

D. Grinta che vibra all’apice di furia
in breve incendio estingue ogni sua fiamma
per fiore che in un lampo cede al freddo
se non a volte per compressa forza
quando si vince nell’impulso fiero
e la sua rabbia si contorce al freno
C. Passione che ti scuote non ha freno
in rossa pelle che ti avvampa in furia
e vai cercando chi cavalca fiero
per sfidarlo alla lotta con la fiamma
dei tuoi passi sospinti nella forza
che mente non risparmia e scalda il freddo.
D. Gelo che vampa ha tramutato in freddo
per guizzi di follia trattiene il freno
senso d’istinto che reprime a forza
fuoco che ispiri o verità di furia
se vibri nel respiro antica fiamma
ma la comprima al vento un tempo fiero
C. Da donna che conosce il corpo fiero
iraconda riscaldo membra al freddo
bruciando chi ripara la sua fiamma
e per ira sostengo e poi raffreno
che la mente è potere della furia
che cambia il mondo e abbatte la sua forza.
D. Così nella ragione della forza
ti serra alla memoria il tempo fiero
che giusto sdegno muta in vana furia
finché l’età non lo comprime al freddo
del calcolo opportuno e lascia al freno
i segni incerti dell’antica fiamma
C. Nel movimento rapido di fiamma
si accendono le linee della forza
dignità della donna tiene il freno
di passione che brucia il corpo fiero
in odio che divampa in ira freddo
e distrugge e rovina forma in furia.
D. Così follia sprigiona in furia e fiamma
sogni che la ragione a freddo forza
per serrami e catene in fiero freno

IV

D. L’abbraccio dell’assenza prende corpo
in un respiro di sognata carne
che per gli occhi si schiude strada e varco
e nel suo tenue soffio infiamma in febbre
forma d’intenti e verità di senso
e si fa per furore esca di sangue
C. Chiasso che batte nelle vene è sangue
che se comprendi stringi nel mio corpo
così ch’io trovi di tua pelle senso
e la pelle governi ogni tua carne
crescendo nell’attesa bianca febbre
di passo in passo verso carne varco.
D. Da prigioni di furia non c’è varco
se non per urto o per follia di sangue
che desiderio muta in cieca febbre
e tremore e timore si fa corpo
e verbo dell’osceno si fa carne
e stringe amplessi in fatuità di senso
C. Non importa che senso trovi senso
per l’insensato scorrere nel varco
se scoperta di me trovi per carne
che verbo si trasforma nel suo sangue
di sangue godo e godi corpo a corpo
soffio di fiamma urgendo nella febbre.
D. In questo vuoto io stringo la mia febbre
compresso in un abbraccio senza senso
un sogno vano che non torna corpo
ma per notte d’assenza si fa varco
per fuoco d’ira o turbinio di sangue
per esca di visioni senza carne
C. Distruggo senza tregua la tua carne
nell’attesa che cresca la tua febbre
per incise ferite sangue e sangue
sulle punte del sesso senso e senso
e lentezza di te varco e poi varco
in lussuria che scuote corpo a corpo.
D. Così per sogni un corpo senza carne
penetra in varco di remota febbre
e al mondo senza senso si fa sangue

V

D. Ora sollevi la remota fronte
e sulle cose scivola il tuo sguardo
che troppo all’orizzonte è volato alto
per accostarsi alla nascosta cima
che credi di vederti nello specchio
prima di inabissarti e andare a fondo
C. Credi d’essere Dio giù nel profondo
che puoi ammazzare uomo alta la fronte
fino al martirio a te ti fai tuo specchio
Lucifero dal cielo offre il suo sguardo
in alto in alto porti squadra in cima
né ti basta morire se non alto
D. Quello delle ali sarà andato in alto
prima di inabissarsi in mare al fondo
e così tu da solitaria cima
rifletti nella fonte la tua fronte
e ti perdi lo sguardo nello sguardo
per morire annegato in questo specchio
C. Non hai veri compagni nello specchio
li perdi nel cammino alto e poi alto
con pacate parole nello sguardo
che taglia umanità in un affondo
sciabola di superbia verso fronte
e distruggi la rete cima a cima
D. Non pensi mai che la presunta cima
è solo un’illusione nel tuo specchio
e il dubbio non corruga la tua fronte
che troppo oltre le nubi levi in alto
pronto in un attimo a toccare il fondo
e nessun’ombra scende sul tuo sguardo
C.Lucifero si maschera lo sguardo
col kalashnikov brucia cima a cima
arde parola per superbia in fondo
e prepotente rispecchia il suo specchio
che burkha meritiamo al suo verbo alto
non difesa se non spada di fronte
D. E gli altri a fronte china e con lo sguardo
che respinto dall’alto non sa cima
se non lo specchio che ci tira al fondo

VI

D. E in fin dei conti uno si sente pieno
che già non c’entra più acino in pancia
tanto ingollare e lucro ha fatto gonfio
il corpo debordante nel suo peso
che a divorare non importa il gusto
purché groppo s’ingolfi in gorda gola
C. D’anoressia si vomita per gola
che dito metti quando sei già pieno
di disgusto di te disgusto e gusto
che di parole usate senza pancia
fai macedonia zuccherosa a peso
che il verbo scarnificato è rigonfio.
D. E purché resti il portafoglio gonfio
e purché sempre sazia sia la gola
nessun’altra ragione ha senso e peso
purché ci resti il serbatoio pieno
e a dismisura si ingolfi la pancia
che non conosce a sé criterio o gusto
C. Anzi che al vegano volge il gusto
che spende e cerca alternativo gonfio
di legnami e legumi a piena pancia
delicatezze nuove per la gola
ricercate stranezze in frigo pieno
che si cresca di gola e non di pieno.
D. E forse si sarà di troppo peso
e forse non avremo troppo gusto
ma certo ognuno si sentirà pieno
con lo stomaco stretto e il cuore gonfio
anche se tutto ci si strozzi in gola
e non più rimarrà che adipe e pancia
C. E riempendo riempiendo a piena pancia
decresce libertà senza alcun peso
è tirannia di sé che in gola sgola
e disgusti per scarti cede al gusto
che essere vuoto si trasformi in gonfio
e deglutire a forza in corpo pieno
D. Di senso pieno in debordata pancia
ci lascia il viso gonfio il sovrappeso
che ormai solo il disgusto ci fa gola

VII

D. Non lo so quale paglia abbia io nell’occhio
che mi sogguardi che mi guardi male
quasi avessi commesso eccidio o furto
o di nascosto oppure in piena vista
così che poi mi meriti il tuo odio
oncia di bene che mi venga in sorte
C. Malocchio che da te mi venne in sorte
rilancio contro te occhio per occhio
in novilunio tengo passo in odio
che maligna ti sia veste per male
mi nasconde nel buio alla tua vista
la luna nuova che di te fa furto.
D. Per danno che tu mediti di furto
per tua malizia o per avversa sorte
non sfuggiresti infine all’altrui vista
così che il trave infitto nel tuo occhio
non ti semini poi frutto di male
per amore che in te si spenga in odio
C. E numero la luna che sia odio
e di notte derubi tutto il furto
che si chiuda sepolcro sul tuo male
che facesti di me per mala sorte
il malocchio ti chiuda occhio per occhio
contro all’invidia rubo a te la vista.
D. Non so che te ne dia l’avversa vista
se incendio d’ira fa di cenere odio
e si muta in malia nel perfido occhio
che nega ogni soccorso e svela in furto
ogni buon gioco che ti dia per sorte
la tua voracità di mettimale
C.Male per male butto a te del male
maleficio ti sia nascosta vista
in novilunio che ti scema in sorte
occhio che perdi per scintille d’odio
che ti rilancio contro al tuo di furto
che malvagio ti sia occhio per occhio
D. Così nell’occhio che ti guarda male
si cova il furto che all’aperta vista
cela il suo odio in velenosa sorte

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).