Da “Avremo cura”
di Gianni Montieri
(Sud) in caso di morte
I Gli spararono in faccia che tutti sapessero, che tutti ricordassero la sera stessa in piazza commenti da stupidi ventenni stabilivamo con una birra in mano il grado di importanza di una morte (chi lo conosceva, quanti colpi se c’era tanto sangue, quanta polizia) qualcuno stava zitto, qualcuno parlava pochi minuti per tornare all’ordinario: la biondina in jeans tagliati a chi la dava il centravanti squalificato, il motorino truccato. ° II La mattina di un primo gennaio: una vecchia 500 sventrata da una cipolla o bomba Maradona qualcuno torna a casa ubriaco si dirada una nebbia artificiale la conta dei feriti su “Il Mattino” una conoscente morta a mezzanotte -una pallottola vagante- mi appunto mentalmente il funerale “buon anno” a un passante che non risponde. ° VI Del mare ricordo una finestra vernice scrostata sulle imposte stranieri fermi ai rondò in attesa di carico per lavori da mezza giornata dietro il mare la statale lunga fino al Lazio macchine con brava gente in coda per le ragazzine, per scopare il lungomare una sterpaglia baracche, case mai finite cartelli divelti e zanzare prima di un lido: un morto ammazzato ricordo questo del mio mare e altro ancora io e mia sorella ridevamo sempre come fanno i bambini al mare per noi contava soltanto l’ora in cui entrare in acqua qualunque fosse il suo colore non ho mai visto gabbiani sul mio mare qualche volta aquiloni colorati. ° VII Le vecchie sedute fuori dai cortili sulle spalle scialli fatti a mano il pettegolezzo mischiato alla preghiera assolvere o benedire ogni passante tessevano ricami delicati, uncinetti uccidevano una donna in tre parole. ° IX C'erano ampi margini, confini, scatti da fare sul fondo, e l'erba tagliata male. Crossare al centro. Uno a saltare di testa, potevamo crescere, raddoppiare in difesa al calar del sole: grida di madri tre, quattro speranze in coda al giorno, fare ordine e buonanotte. Poi cosa è successo? Uno ha preso un treno, uno è saltato di testa o per aria. Alcuni sono rimasti all'intervallo e non si rivestono un altro ha ancora su la maglia aspetta il lancio in verticale, la svolta, ma non ci sono piedi buoni, né arbitro, guardalinee, non c'è pubblico, non c'è tribuna solo il replay di un fuorigioco fischiato da nessuno. ° XVI La morte a noi ci è sempre stata intorno sepolta a tradimento sotto casa aggiunta lentamente al nostro cibo sui nostri pochi alberi, le panchine le vecchie linee dei tram interrotte binari arrugginiti, treni troppo lenti. ° XX Francesco alle medie era il più smilzo poco ne capiva di materie letterarie sono certo l’algebra lo confondesse però toccava il culo alle ragazze ghignava con la sigaretta in bocca che sarebbe diventato il padrone del suo rione popolare era già morto, dieci anni prima che gli sparassero gli passavamo i compiti non lo sapevamo. ° XXI Ricordo d’aver visto in cucine piccole e male illuminate preparare e poi servire cene sempre uguali la zuppa di fagioli come in guerra e guerra era quel rumore di due donne a masticare quel silenzio da bombardamento. ° XXIV Guardo mio padre: in una mano la borsa con la carta nell’altra quella con la plastica a piedi verso il punto di raccolta, lui che non guida, con quanta dignità e così poca convinzione, differenzia è uomo d’altri tempi. Mia sorella carica tutto in macchina e ogni due o tre giorni, senza alcuna certezza, ricicla tutto ciò che può, che deve. Passo davanti alla biblioteca comunale mi appunto la data: otto aprile 2011 e un fotogramma, duecento metri di spazzatura accatastata. In tutto questo mio nipote canta la sua canzone preferita. ° XXV Mi chiedo cosa accadesse a Giugliano cosa accadesse di diverso, s’intende, soffiava il vento di notte nei rioni parlavamo ad alta voce, ma di che? Certi giorni pioveva fortissimo, e noi (rallentati da pozzanghere infinite da fossi d’acqua, fiumi di lava sporca) sognavamo i sogni dei ventenni gli stessi a ogni latitudine, parallelo sognavamo in dialetto, senza dirceli per debolezza o per conservazione ma perdevamo ogni cosa per strada a ogni giro in motorino senza casco. ° XXVI Ripensare un attimo al ragazzo figlio del commercialista ricco mentre sfila la domenica mattina con la polo firmata Johnny Lambs le scarpe no, quelle le compravamo nello stesso negozio, tutte uguali l’inverno delle Sax, quello reiterato delle Timberland, l’estate solitaria (poi chissà perché) delle Docksteps ricordarsi di sé, quei pomeriggi passati a mettere dischi su dischi mille parole su un assolo di chitarra era meglio Dave Gilmour o Clapton? Così le morti ci passavano accanto senza disturbarci più di tanto giovanile noncuranza la nostra a un certo punto il miglior bassista divenne, senza merito, quello dei Primus. ° XXIX Non pensare che fosse indifferenza la nostra piuttosto un modo di vivere le cose così come si vivono: tutte insieme, una per volta. La sparatoria dietro l’angolo, la partita di calcetto i compiti da fare, poi uscire la sera il bar, la storia di tutti, tutti tornavamo a casa per cena.
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Gianni Montieri, Avremo cura, Zona, Arezzo, 2014.
“Avremo cura” è un gran bel libro; soprattutto vi trovo, oltre alla capacità tecnica che Montieri possiede, una necessità di scrivere e raccontare che gli danno valore e dignità.
Francesco t.
Grazie, un libro che devo assolutamente leggere.
Grazie ad Andrea Inglese per l’ospitalità, e a Francesco Tomada e Christian Tito per aver lasciato un pensiero.
Sono poesie necessarie. E molto ben scritte. La XXI è davvero emozionante.
Un libro magnifico. Bravo Gianni.
un libro che merita. grazie Gianni.