Da Versi Nuovi (2004). Seconda parte
di Biagio Cepollaro
i cieli e la terra sono pieni della tua gloria
suonava così nel tempio e mi trovavo lì
per starmene un po’in pace e per vedere come in altra
lingua si dicesse quel sapore
vivido
di mattina di maggio quando a fondo radendo
la barba un poco ci si rinnova la faccia e si
svuota
come se fosse bastato sapere
del paradiso
perché comune fosse il cammino
(ma non c’è cammino e quel che può essere comune
non riguarda il paradiso né qualcosa
che si possa progettare) e chi
l’avrebbe detto prima
che non c’era
niente da conquistare che il culmine
era tutto nell’inizio
chi l’avrebbe cercata lì
la gloria
dei cieli e della terra
quando cielo e terra erano solo oggetti
di previsione
come quando prima di partire si vuol sapere
del tempo e se il volo
avrà rinvii o per nebbia
dirottamenti
quando anche andando tutto
come previsto il massimo che ci è dato
è soddisfazione di chi
quotidianamente puntella
il suo stress
come se fosse qualcosa
e non invece
un nulla
fosse stato per me
non sarei mai divenuto: è atto quasi violento
il nuovo
che l’amore
impone e quando ci sei dentro
è arretrare continuo
(resterà nella memoria della figlia
la spiaggia
di Palma
la buca scavando
come da piccola
indaffarata e briosa)
fu allora nell’altrui gloria che vidi
la vita in parte
andata:
che vada!
dedicherò gli anni (se lo sono
e non mesi o minuti)
che avanzano ad addestrarmi
ad essere felice ed aperto
a meritare l’inizio di ciò
che continuamente comincia
(e pensare che uno crede che l’importante
viene dopo attenta riflessione che il destino
possibile
sia frutto
di elezione)
cancella cancella le tracce
al tuo passaggio
prima che il cuore si richiuda
prima che normalmente ghiacci
e intanto a quanti
di energia a pacchetti
postali le stelle
senza fretta si parlano in radio
o in luce
si tengono strette
in scambio fitto
fitto di particelle o corde
e dentro questo flusso nella mescolanza
dei tempi infiniti arriva un tempo in cui l’arte
non ci concede più
di nasconderci
e richiede per sé ciò a cui da sempre crescendo
abbiamo temuto di dover rinunciare: non il verso
imperfetto – che la tecnica si fa quasi
presto ad imparare- ma il verso
gratuito quello già nato per essere ascoltato
tra cielo e terra
le diecimila creature
prima che il cuore si richiuda
prima che normalmente ghiacci
tra cielo e terra
parlandosi in radio o in luce
in un continuo di radiazione
cancella le tracce al tuo passaggio
che consapevole sia la passione
prima che il cuore si richiuda
senza intenzione né progetto prima che lentezza sia ritardo
prima che resti solo il guscio
perché l’amore che ci metti
resta
e non si perde
(intonando) i cieli e la terra
l’amore che ci metti qualcuno o qualcosa
(intonando) son pieni
tra cielo e terra qualcuno o qualcosa
(intonando) i cieli e la terra
lo ritroverà
***
DOPO TRE ANNI (2001)
perché le parole non siano ancora
solo parole
perché il tempo destinato ogni giorno
non sia ancora il tempo
in cui sia poco
il realizzato e perché cambino davvero
anche il modo e la motivazione
di dirlo
perché dal risveglio alle prime avvisaglie
del sonno una sola sia
la naturale propensione
lo dicevo a giulia ieri
al cinese
quest’anno è passato leggero
leggero come vorrei
la morte fosse appunto
passaggio
ad altra leggerezza
quest’anno ha qualcosa del cielo
e dunque
al dunque si tratta
ancora della capacità
di amare
(e dimenticare)
e davvero non c’era nulla
da portare
sulla soglia
a dimostrazione che qualcosa c’era stato
o come si dice qualcosa
abbiamo fatto e costruito e non siamo
passati invano
l’inganno è in quell’intendere
il passare
(cosa passa cosa no quando poi
si sa che tutto ma proprio tutto
passa
se mai la domanda è chi
e come
e in mezzo a che
passa)
di più c’è consapevolezza
del male
(ma non ancora
accettazione)
perché gli atti bruciano
come carcasse
di passate intenzioni e cadono
giù
a ferraglia
si compie oggi ciò che un passato
lungo quanto l’occhio con disattenzione
e arroganza ha preparato
e non solo la personale cecità
che ha chiamato proprio
destino
la banale chiusura
del cuore
ma anche l’iscrizione
nel cuore
della cellula
di ciò che la specie e il gruppo
hanno costruito e distrutto nella paura
e nell’allucinazione
**
quest’anno ha qualcosa del cielo
e non perché sia stato volo
e luce
(come ieri che ero uscito
per prendere aria e sono rientrato
subito
per incidente sotto
casa e oggi
mi telefona sorella del motociclista
in coma
chiedendo se ho visto
di chi è la colpa)
si passa la vita a non pensare
che la vita finisce
e quel mancato pensiero
indurisce il cuore
e fa moltiplicare i codici
che separano ridicole
le cose
dalle parole
quest’anno ha qualcosa del cielo
(deve esserci peso
anche nell’aria
o anche terra che fa cielo
e luce dentro la terra)
(lo dicevo stretto stretto
via e-mail a giuliano: non si tratta
di assistere
al naufragio: è che i topi
sul vascello
non possono dare senso
alla storia
ma tenersi stretti
mentre rotolano nel buio
e nel fragore
passarsi un brivido da pelle
a lucida pelle
prima del tonfo
questo si, questo è per ognuno
possibile)
***
(dopo tre anni la voce
è ancora troppo grossa
e il blababla oscura
la mancata estromissione
di orgoglio
e vanagloria)
perché le parole non siano ancora
solo parole
perché vi sia fervore
e nell’ordinario devozione
e qui s’interrompe stesura di poesia
perché anche speranza vuole concretezza e la più alta
aspirazione per noi e per gli altri che conosciamo o che possiamo
solo immaginare in carne
e affanno
deve avere realismo
che non è volare basso ma aver mostrato
senza esibizione che la pace chiesta per gli altri
siano giorni
per sé
e non per esempio come ieri al parco
alla signora che si lamentava dell’ingratitudine
altrui senza gentilezza
dirle che sua disponibilità
ai casi altrui non era autentica
intanto parliamo per rassicurarci come diceva giulia
e si scrive anche una parola che non si è
o non si è ancora
e le si gira
intorno come se da parola venisse
significazione
e non da qualità dell’intenzione
come se da parola venisse
significazione
e non da qualità
dell’intenzione
perché le parole non siano ancora
solo parole
perché vi sia fervore
e nell’ordinario devozione
perché dal risveglio alle prime avvisaglie
del sonno una sola
sia la naturale propensione
perché la voce si assottigli
perché le parole non siano ancora
solo parole
continua la poesia
continuala pure
senza parole
Da Versi Nuovi, Oedipus Ed. 2004
[Annotazioni di lettura di Giuliano Mesa e Giulia Niccolai sono reperibili rispettivamente nel numero 20 e 26 de il Verri.
Si possono leggere anche qui . L’intero libro in formato pdf è scaricabile qui. B.C]