Incontinental jazz: Aldo Romano
Note
di
Aldo Romano me lo ricordo a fianco di Antonello Salis e Gerard Pansanel in un album che si chiamava Calypso del 1983. Nel 1990 nel suo omaggio a Coleman dal bellissimo titolo To Be Ornette To Be con Paolo Fresu alla tromba che poi richiamerà anche per l’album Canzoni del 1993 e per Prosodie del 1995. E ancora nel 2000 nel disco Mèlos di Paolo Fresu con una sua composizione. Poi nel progetto Palatino, sempre con Fresu, Michel Benita e Glenn Ferris: un successo di lunga durata che ancora oggi mantiene la sua costante vivacità timbrica e il gusto per un suono transcontinentale. Sono storie isolane che Aldo Romano richiama più volte nella sua autobiografia uscita di recente in Francia per les Éditions des Équateurs dal titolo emblematico di “Ne joue pas forte, joue loin” . Certo i miei ricordi sono vicende locali, isolane e isolate che sopravvivono nella mia mente solo grazie a quella grave e incurabile patologia che si chiama musica. Patologia che lo stesso Romano denuncia in lungo e in largo nel suo libro di ricordi.
Un volume che mette a nudo la difficile personalità di questo jazzista sempre in preda a una costante crisi di nervi. Una vita piena di dubbi: sulla sua formazione artistica, sul rapporto con i suoi genitori, sulle sue reali capacità artistiche e umane, sulle donne e i luoghi, sull’eterno conflitto con un corpo che talvolta non risponde alle sollecitazioni dell’anima. Per fortuna. E per fortuna c’è il jazz: “Thèrapeutique sans pareille, la musique me sauve”. Per quanto tempo? Se lo chiede Romano e ce lo chiediamo anche noi. Ma la risposta non è importante quanto la domanda. Quanto la curiosità di vivere e di continuare a creare. Aldo Romano incarna alla perfezione l’eterno conflitto tra l’essere e il divenire, tra i desideri e la realtà effettuale. E i rimedi sono sempre gli stessi: un luogo dove ritrovarsi, un incontro che fulmina, una batteria da maltrattare con amore, un amore da curare come una melodia. Questo è Aldo Romano e la sua musica. Un uomo che non sopporta la mediocrità: come il jazz. Che diventa una vera dannazione nel momento in cui si vive “condamné à inventer”.
Così si capiscono anche lo spessore delle sue pene, i ripetuti sbandamenti psichici e la voglia di superare l’angoscia rivolgendosi a Gurdjieff che lo invita a uscire dal proprio essere per confrontarsi con l’altro da sé, con gli altri, con il mondo. Con i tanti musicisti che hanno arricchito la sua vita: un elenco tanto lungo quanto prestigioso che diventa un carnet di piccole terapie quotidiane: rubrica di vita e di illusioni. Incontri che cambiano le cose. Come quello con Paolo Fresu (ancora lui scusate ma è un conflitto di interessi che non riesco a districare) che diventerà un partner di lunga durata e con il quale lo legano tante cose: la comune origine italiana rurale e mediterranea, l’amore per la Francia, lo stesso sentire estetico, la cura del suono, il piacere per la melodia. Un rapporto che troverà sui binari del Palatino la sua migliore espressione e che il pubblico ama e gradisce a lungo (non solo in Francia).
E che dire del tormentato rapporto con le donne? Che appare come la necessità di vivere per la musica in modo esclusivo e che rimanda al costante conflitto irrisolto con i propri fantasmi: A Drum Is A Woman! Ecco la risposta. Non c’è spazio per la poligamia in Aldo Romano anche se non è mai facile scegliere. Sarà la materia viva a farcelo capire, il significante: l’orecchio che non sente, il cuore che non batte a tempo, la testa che viaggia in proprio. Romano combatte contro i propri fantasmi e continua a vincere: la sua musica è viva e piace, il pubblico apprezza, arrivano premi e successi discografici importanti, contratti seri, lunghi viaggi per il mondo. Tutto questo basta? Ai più sì ma non a Romano che continua la sua personale battaglia contro il tempo e i tempi. Una bella storia questa del batterista franco-italiano, che questo libro ci svela e che ci aiuta a capire un universo di suoni e tormenti. Per fortuna alla fine “la musique console de tout”.