Palmira. Tra verità e menzogne
di Alberto Savioli*
Nel dicembre del 2010 mi congedavo da un caro amico residente nell’oasi di Palmira, affidandogli parte dei miei bagagli e anche una sella da dromedario e un tappeto beduino in feltro, chiamato ceben o lubbad, ricordi personali della mia vita tra le tende e tra i beduini che ho frequentato per quattordici anni.
Doveva essere un breve distacco di soli tre mesi, ma purtroppo è diventata un’assenza di più di quattro anni. Ogni volta che chiamavo il mio amico a Palmira mi diceva: “La tua sella, il tuo feltro e la valigia sono sempre qui da me, non ti preoccupare quando tornerai saranno sempre qui”.
Dopo la recente conquista dello Stato Islamico (Is) dell’antica oasi carovaniera di Palmira, il cui nome arabo è Tadmor, so che non vedrò più i miei bagagli, il mio tappeto e la mia sella da dromedario, il mio amico è scappato e di lui non ho più notizie, alla vigilia dell’attacco dell’Is le comunicazioni telefoniche sono state interrotte.
Se quest’amico è scappato alla conquista dello Stato Islamico, un secondo si trovava detenuto da tre mesi nel famigerato carcere di Palmira, dove negli anni sono stati rinchiusi anche dissidenti politici e oppositori al regime.
L’hashtag #SavePalmira viene rilanciato come un mantra all’avanzata delle bandiere nere del califfato e vengono snocciolati numeri e dati senza verifica di fonti e fatti, per questo motivo va fatto a riguardo un po’ di ordine, per vedere cosa realmente succede alla città, agli abitanti e al sito archeologico.
Lo Stato islamico distruggerà Palmira?
Anche io, come archeologo, sono allarmato per la conquista dell’Is della città, ma Palmira è realmente in pericolo? Perché è in pericolo? I miliziani dello Stato Islamico la distruggeranno come hanno fatto i siti iracheni di Nimrud e Hatra?
Secondo la stampa nazionale Palmira è già stata distrutta, ma naturalmente ciò non è avvenuto, e a mio avviso questo allarmismo preventivo mette ulteriormente a rischio le rovine della città.
Palmira non è il primo sito archeologico di rilievo che si trova nei territori conquistati dallo Stato islamico, sia in Siria che in Iraq, e solamente alcuni siti archeologici sono stati danneggiati, la distruzione non è stata sistematica.
Per fare degli esempi concreti voglio citare dei siti di rilievo presenti in Siria e non distrutti dall’Is. Dura Europos situata sul corso dell’Eufrate a sud di Deir ez-Zor presso il villaggio di Salhiyeh, fondata da Seleuco I Nicatore attorno al 300 a.C. e posta ai confini orientali dell’Impero romano, a contatto con il mondo Partico e Sasanide è attualmente conservata.
L’importante sito archeologico di Mari (Tell Hariri) nei pressi di Abu Kamal, posto sempre lungo l’Eufrate, raggiunse il suo massimo splendore nel II millennio a.C. e venne distrutta da Hammurabi di Babilonia nel 1759 a.C.
La città di Halabiyah, un tempo nota come Zenobia, posta sulla riva dell’Eufrate a nord di Deir ez-Zor, fortificata da Zenobia la regina di Palmira nel III secolo d.C., è un sito di 12 ettari protetto da mura massicce e con una cittadella nel punto più alto.
Ma potrei citare altri siti come Qasr el-Heir al-Sharqi, a nord di Sukhne, costruito dal califfo omayyade Hisham ibn Abd al-Malik nel 728-29 come castello di caccia nella steppa siriana; o gli stessi monumenti che si trovano all’interno della “capitale” siriana dello Stato islamico, Raqqa, risalenti al periodo abbaside, quando per tredici anni (dal 796 all’809) la città divenne di fatto capitale dell’Impero e sede del califfo Harun al-Rashid.
Purtroppo la maggior parte dei siti siriani sottoposti all’influenza del califfato sono stati depredati e scavati illegalmente in modo sistematico, questo almeno dicono le immagini satellitari che mostrano un incremento degli scavi clandestini a Dura Europos e Mari dalla conquista dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) nel 2013.
Tuttavia i monumenti e i siti non sono stati distrutti in quanto tali. Perché ciò è successo ad alcuni siti iracheni?
Perché lo Stato islamico distrugge le immagini delle divinità.
Alcuni video tristemente noti hanno mostrato la distruzione di alcune statue (oltre che di alcuni calchi in gesso) dal sito partico di Hatra e un toro androcefalo assiro (lamassu) conservati al Museo di Mosul, di un secondo toro androcefalo che si trovava sul sito di Ninive nella porta di Nergal, il Palazzo Nord-Ovest a Nimrud che conservava una serie di rilievi assiri, e alcune sculture sul sito di Hatra.
Tutte queste distruzioni hanno in comune le immagini di divinità o che vengono interpretate come divinità dai miliziani dell’Is. Secondo la visione dello Stato islamico tutte le immagini di divinità all’infuori di Allah, interpretate come falsi dei, vanno distrutte. Allo stesso modo vengono distrutti santuari di santi locali (spesso si tratta di santuari sciiti o sufi) considerati da loro connessi alla pratica del shirk, il politeismo, perché compromettono l’assoluta devozione a Dio.
L’Is nel fare ciò utilizza un hadith in cui il profeta Muhammad ordina ai suoi compagni di “non lasciare alcun idolo senza cancellarlo e qualsiasi tomba senza livellarla”, tuttavia innumerevoli esempi dei primi conquistatori della storia dell’Islam, mostrano come l’Islam inducesse a distruggere i “falsi dei”, dunque le immagini ancora adorate di altre divinità.
I siti distrutti fino ad ora hanno seguito questa linea dettata dall’Is, quindi Palmira non dovrebbe venire distrutta in quanto città antica, eventualmente a rischio sono le immagini di divinità, o immagini interpretate come tali dai miliziani dello Stato islamico.
Naturalmente questo non significa che vi è la certezza che la distruzione non avverrà, tuttavia a mio avviso questo allarmismo preventivo potrebbe fornire una motivazione all’Is per distruggere le antiche rovine. Uno dei motivi che inducono l’Is a mostrare i video delle distruzioni, realizzati con le tecniche più moderne e sofisticate, utilizzando droni e la tecnica dello slow-motion, è l’intento di colpire e impressionare, e cosa c’è di meglio che distruggere un sito su cui sono puntati gli occhi del mondo.
Fa bene l’Unesco a preoccuparsi per Palmira, tuttavia questa attenzione spasmodica che porta la stampa a scrivere che l’Is avrebbe già distrutto le rovine, non solo è cattiva informazione ma mette anche ulteriormente a rischio il sito archeologico, senza poi potere fare nulla di concreto per salvarlo.
Il pericolo reale per le rovine può venire da uno scontro tra lo Stato islamico e l’esercito siriano come è appena accaduto (1, 2, 3).
I danni a Palmira prima dell’avvento del califfato.
Se veramente la stampa nazionale è preoccupata per Palmira, mi chiedo perché in questi ultimi due anni non abbia posto l’attenzione ai danni causati al sito archeologico e messo a rischio dal regime siriano che ha militarizzato l’area archeologica e il castello di Fakhreddine ibn Maan che sovrasta le rovine.
Il sito Apsa2011 fornisce documentazioni video e fotografiche relative a Palmira dal 2013, queste mostrano lo scavo di trincee nell’area archeologica, il posizionamento di lanciarazzi, l’installazione di armamenti pesanti, carri armati posizionati nell’area archeologica, il danneggiamento del colonnato nell’agosto 2013 a causa degli scontri tra l’esercito governativo e i ribelli.
Inoltre è dal 2014 che la Direzione generale delle antichità e dei musei di Siria (DGAM) intercetta busti e statue in calcare trafugate dalle necropoli romane di Palmira, mentre la città era saldamente nelle mani dell’esercito siriano (1, 2, 3).
Il 15 maggio un attivista ha accusato il generale Wafiq Nasser a capo dell’intelligence militare di Sweida di avere saccheggiato i busti di una tomba di Palmira.
E non va dimenticato infine che tutte queste opere d’arte trafugate, indipendentemente di chi sia la responsabilità, vengono vendute dalla case d’aste occidentali e finiscono nelle collezioni private europee, americane, giapponesi e cinesi.
Recentemente è stata sequestrata alla dogana americana una testa di toro androcefalo di epoca assira proveniente dall’Iraq, il suo valore è di un milione e duecento mila dollari, il trasportatore sosteneva che venisse dalla Turchia e che il valore fosse di 6.500 dollari.
Nella primavera scorsa la casa d’asta Bonham’s di Londra fu costretta a ritirare dalla vendita la parte inferiore di una stele assira raffigurante il sovrano assiro Adad-ninari III, la cui base d’asta era di un milione di euro, il proprietario risultava un anonimo collezionista svizzero.
La statua proveniva da scavi clandestini sul sito siriano di Tell Sheikh Hamad, l’identificazione è stata possibile poiché la parte superiore della stele era stata scoperta nel 1879 in questo sito e ora è conservata al British Museum.
Lo Stato islamico sta trucidando i civili?
Il 24 maggio la Reuters, quindi una fonte informativa seria e attendibile, ha scritto di 400 civili uccisi dallo Stato islamico a Palmira, “in maggioranza donne e bambini”, tuttavia la fonte originaria è la tv di stato siriana, una fonte che non si è dimostrata attendibile fino ad ora in quanto di parte.
Questo non significa che queste uccisioni non siano possibili o non siano avvenute, ma non vi sono fonti attendibili che al momento lo confermano.
Secondo la pagina facebook “rivoluzionaria” e i tweet di Revo.Palmyra (1, 2), non certo un organo di informazione favorevole al regime siriano, ma nemmeno allo Stato islamico, queste 400 persone non sono state uccise, si parla invece di quasi 300 morti tra membri dell’esercito, della sicurezza e di chi lavorava per il governo siriano. Altri tweet di un profilo favorevole all’Is parlano di un alto numero di uccisi tra i soldati governativi, con l’intento di esaltare l’operazione militare.
Secondo questo profilo i contingenti Is sarebbero di 400 unità, mentre i soldati governativi 4000 con una milizia di 200 unità. Tutti numeri difficili da verificare e probabilmente del tutto propagandistici, tuttavia si evince la nazionalità dei “conquistatori” di Palmira: ceceni, afghani, africani, europei, e arabi.
Del tutto probabile quindi che i 400 giustiziati, se la notizia verrà confermata, siano soldati e collaboratori del regime; non per questo accettabile come fatto, ma che si inserisce in una dinamica di una guerra truce e non di uccisioni gratuite di civili.
I giornali scrivono di “Quattrocento vittime civili dell’Isis, i cadaveri allineati per le strade di Palmira”. Le uniche foto che sono disponibili a riguardo mostrano i corpi di nove combattenti uccisi e decapitati appartenenti al gruppo tribale degli Sheitaat che hanno difeso la città accanto alle truppe governative.
Altre foto mostrano venti soldati dell’esercito siriano catturati dall’Is, si nota chiaramente che sono stati percossi e hanno i volti spaventati, sembrano soldati di leva e nulla hanno a che fare con i corpi speciali che stazionano a Damasco o con le forze speciali iraniane o di Hezbollah che non vengono mandate in queste aree periferiche.
L’unica notizia confermata e quasi taciuta dai media, è il bombardamento della città da parte dell’aviazione conseguentemente alla conquista dell’Is. Nella sola mattina del 25 maggio si sono registrati quindici raid aerei e in un bombardamento aereo sarebbero state colpite le rovine archeologiche a ovest della base della sicurezza militare.
Molti attivisti con i loro tweet hanno diffuso le foto e video delle case bombardate dall’aviazione siriana (1,2). Lo stesso organo di informazione parla didanneggiamenti al Tempio di Baal Shamin e al Tetrapylon di Palmira causati dai bombardamenti dell’aviazione siriana. Certo anche queste sono notizie da confermare che tuttavia parlano di danni a settori precisi della città.
Salvare Palmira senza salvare i siriani.
Molti amici siriani che ho sentito in questi giorni, pur amando Palmira che prima di essere patrimonio dell’Umanità è un loro patrimonio, è un patrimonio dei siriani, hanno espresso indignazione per l’attenzione esclusiva rivolta al sito archeologico.
Come dice Eva Ziedan in un’intervista a Radio Vaticana: “Quando diciamo ‘save Palmira’ a chi ci rivolgiamo? Palmira è una città che è stata consegnata sotto gli occhi di tutti”.
Si può scindere la preoccupazione al patrimonio storico di una nazione dall’attenzione alla vita delle persone?
Perché parlare dei morti non confermati dello Stato islamico, e non di quelli accertati da parte del regime? Dal primo al 20 maggio sono morti 150 civili ad Aleppo a causa dei bombardamenti dell’aviazione siriana, quotidianamente arrivano foto e video di corpi di donne e bambini sepolti sotto alle macerie dei palazzi, con le membra straziate e sporchi di sangue distesi su barelle improvvisate, senza braccia, piedi, o gambe.
Secondo i dati forniti da Amnesty International gli attacchi con barili bomba, riempiti di esplosivo e frammenti di metallo, lanciati dagli elicotteri governativi hanno ucciso 3.124 civili nel solo governatorato di Aleppo tra gennaio 2014 e marzo 2015, e solo 35 ribelli (672 civili sono morti invece a seguito dei colpi di mortaio lanciati dai ribelli).
I civili uccisi in questo modo sono più di 11.000 dal 2012.
Il presidente Bashar al-Asad, in un’intervista del febbraio 2015, ha negato categoricamente che i barili bomba documentati con centinaia di video siano mai stati utilizzati dalle sue forze, e i giornali non ne parlano più (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7).
Scindere il patrimonio dell’umanità dalla vita umana, non solo non è un atto di giustizia ma vuol dire consegnare queste persone stanche e disilluse tra le braccia del califfato, e indurle a distruggere quanto a noi sta più a cuore dal momento che noi non abbiamo attenzione alle loro vite.
Un recente sondaggio indetto da Al Jazeera chiede ai lettori se siano favorevoli alle vittorie ottenute dallo Stato islamico, l’82% (27.015 persone) hanno risposto affermativamente.
Con tutta la passione che ho per il mio lavoro, e la sofferenza che provo nel vedere i monumenti distrutti dalla guerra, mi rifiuto di chiedere alla comunità internazionale di intervenire per Palmira come fanno molti, senza chiedere allo stesso tempo corridoi umanitari per i civili assediati o una no fly zone che li protegga dai barili bomba.
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*questo articolo è uscito su “Sirialibano“