Tito Maniacco: “Il guardiano del faro” (poeti friulani # 4.3)
Oh quanto a me somigli
nella tua solida inutilità
faro dismesso dalla mutevole catena del moderno
quando radar satelliti locali
satelliti orbitali
segreti satelliti
del cupo poliremo militare
hanno ri-messo nel bric à brac
del magazzino dell’antiquario de La peau de chagrin
questo relitto d’epoca pre fordista
per le perdute navi di un perduto impero
costruito infilando cemento e pietre
fra il ruggito nero della bora
e il belante groviglio dei giorni immoti
chiatte a vapore e marinai di gomena
insieme a marinai di malta e cazzuola
e argano gabbiano
mese dopo mese
superando l’ipotetica misura
dell’ipotetica massima onda
che la memoria ricavi
sempre più in alto
circondato da concentriche scogliere
dismosse e accumulate
su letti di cemento
e punte nere rissose
a fendere le compatte onde
Fadófadó o tanto tempo fa
se allora fossi stato là
allora non sarei qua[1]
a scrivere per niente
nel vecchio faro cadente
ponendo la mano destra
sull’asimmetrica mano sinistra
un destino di pietra morente
contro un destino cadente
intermezzo
Gerico
Dal tempo in cui i muratori
accatastarono pietre
e mattoni
impastati a malta e cemento
da quel tempo non remoto
guardiani del faro
pronubo l’imperativo
Tagethoff Wilhelm von
furono il calco esatto
di Rahab di Gerico[2]
perché la loro luce per le navi
è come la cordicella di color scarlatto
che dondola sulle secche mura di Gerico
al vento
che porta i sudori del Mar Morto
e indica la strada
come concordarono i due fumosi spetsnatz[3] di Giosuè
con la maglietta a righe di Kronstadt[4]
così
ogni cigolante nave
alla lontana
veee de
la finestra di Rahab
e prende le sue misure
dalla cordicella di color scarlatto
per valutare
tempo
stagione
marea
sarà
dice la vecchia talpa del Diamat[5]
ma quando la polvere coprì il capo di Giosuè
e le sue trombe spiritual suonarono
cenere e ossa calcinate dai secoli
coprivano le dissolte e morte mura di Gerico[6]
e in quegli anfratti di sterpi e serpi
posero le loro coperte gli habiru[7]
VIII
Ma quel che resta
altro non sono che informi scheletri
incagliati fra i cariati degli scogli
e altro non sovvien che non somigli
a salate alghe and the salt-surf weeds
of bitterness di spuma
dell’amarezza[8]
En escripvant ceste parolle
A peu que le cuer ne me fent[9]
E Maria Teresa s’è venuta
e San Marco se ne è ito
lasciando leoni di pietra sulle porte
e il moderato cantabile
delle voci dei pescatori della costa
simile alla scintillante striscia che stria le isole
come usa la lentocalcificata lumaca
segnando di puro argento il suo passaggio
e
Grillparzer camminando fra una birra e l’altra
lungo il Kahlenberg[10]
ha inventato
così come sempre si suole
da chi comanda
la tradizione
tessendo da sé e per sé gli eventi
e soffiando affinché seguendo la rotta prestabilita
vadano
intanto
le stesse burrasche avvolto
ogni vecchio fumando il suo sigaro
dice all’ospite
che tutto è cambiato
e niente è come prima
da secoli rammentando
tempi migliori ai tempi antichi
eppure
ne dicas non dire non
come mai quid putas causa est
quod come mai i giorni di prima priora tempora
meliora fuere erano migliori di questi
quam nunc sunt?
perché non è una domanda interrogatio
stulta enim est huiuscemodi intelligente[11]
ma
ugualmente
fatalmente
per la caduta dei gravi
tu ovunque sia
tu lo dirai
NOTA: Questi frammenti sono tratti da Il guardiano del faro, poemetto postumo di Tito Maniacco, pubblicato dalla Biblioteca Civica V. Joppi (Udine, 2014). Scrive Luigi Reitani nell’introduzione:
“Fin dai suoi esordi, la produzione in versi di Maniacco s’inscrive nel genere della «poesia di pensiero» che, pur non essendo molto praticata, ha nel Novecento italiano un illustre esempio nelle Ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini.
Anche Il guardiano del faro segue questa linea e rimanda più volte proprio al componimento di Pasolini, a partire dalla citazione della celebre Ode sopra un’urna greca di Keats, che costituisce una sorta di trait d’union delle due opere. Tuttavia, nell’ultima parte del proprio poemetto Maniacco sembra passare a un linguaggio più lirico. La riflessione sulla storia lascia posto a una più esistenziale meditazione sul tempo:
e in questa raggelata visione
solo di atomi è
l’esis-
tenza
e il resto che sospirava davanti al nulla
è puro vuoto
Democrito dixit
e allora
di che ti lamenti
tormenti
ti?
di che ti attorcigli fra sudore e sudari?
Sì che se d’un tratto spunta l’aurora
la crediamo un’ombra di morte
e così camminiamo nelle tenebre come se fossero luce
Quest’immagine di ascendenza biblica è fra le più amate in Maniacco, che la adopera frequentemente in molteplici variazioni in tutta la sua opera, a partire dagli anni Settanta. La stessa condizione umana, si potrebbe affermare, è per lui sospesa tra le tenebre e la luce. Ma l’attesa messianica del nuovo giorno, che nella fede marxista degli anni Settanta appariva come una promessa di redenzione dalle atrocità della storia e di restituzione di un senso delle cose, si capovolge ora nell’idea che l’alba non potrà che essere la pagina bianca della morte, come accade nella poesia della raccolta in friulano Oltris. Non rimane, dunque, che camminare nella tenebre. Senza false consolazioni, e tuttavia con l’orgoglio di un’irriducibile dignità. E, soprattutto, con quella gentile ironia che rendeva Tito un prezioso maestro di vita.”
Lapide in memoria di Danjl Verfeolumeevič Avdeev “Danil” capitano della cavalleria dell’Armata Rossa, comandante del battaglione “Stalin”, garibaldino, caduto combattendo contro i fascisti a San Francesco Val d’Arzino, prealpi carniche l’11 novembre 1944, sepolto all’esterno del cimitero di Clauzetto il 21 novembre 1944
in this neglected spot
qui
negletto giace
oltre lo sgretolato muro di un cimitero di montagna
un forte cavaliere
di un paese perduto nel tempo della storia
indifferente la sua polvere
avvolge la nostra cupa memoria
malinconico retaggio dei viventi
Sta l'uomo dal bianco crine in cima
all'ondoso faro
e contempla con le chiare correnti
il tempo che scorre
dal moto immoto delle stelle
i cui fiori alla finestra dei parsec
appassss
siscono
e
muo
iono
come gli imperi
come il pettirosso
che
portato da un battello
i suoi morituri colori
es
pone
come la bandiera di un tempo che fu
26 luglio 2005 – 25 aprile 2007
Le immagini che accompagnano i testi sono, in ordine di apparizione:
1) Foto di Danilo De Marco
2) Merre Merre Tekel Ufarsim – collage e china su carta 1997 di T. M.
3) L’occhio di Pasolini – collage su carta fotocopia e china 1998 di T. M.
4) Senza titolo – collage fotocopia e china di T. M.
5) Senza titolo collage fotocopia e china di T. M.
6) Per chi? Collage e china su tela 1994 di T. M.
7) Genesi 11: (1) -fotocopia e china…dettaglio di T. M.
8) Collage fotografico di Danilo De Marco”
Questa è la terza parte della quarta tappa di un itinerario ideato da Danilo De Marco riguardante alcuni poeti friulani attuali non conosciuti dal grande pubblico, e cominciato con Federico Tavan e continuato con Ida Vallerugo (prima parte e seconda parte) e Novella Cantarutti. Con il suo consueto modo di operare/fotografare, e di concepire la fotografia, De Marco ha ritratto questi autori, non tutti facili da avvicinare, solo dopo averne una conoscenza intima, e con una grande empatia, seppure non priva forse di qualche venatura ironica. GS
[1] Ritornello celtico
[2] Giosuè, 2,1-21
[3] Spetsnatz, J Keats, Ode sopra un’urna greca, II
[4] Si allude ai marinai della flotta sovietica del Baltico
[5] Acronimo in uso nel linguaggio filosofico ideologico sovietico, sta per materialismo storico e dialettico
[6] cfr. M Liverani, Oltre la Bibbia. Storia antica di Israele, II,B,316 Laterza. “Le risultanze degli scavi archeologici hanno dimostrato che le mura di Gerico erano assai più antiche dell’epoca di Giosuè, epoca in cui la città era stata abbandonata.”
[7] Nome con cui erano noti gli ebrei nel tempo del Medio Bronzo come gente estraniata dal proprio contesto sociale di origine, cfr. Liverani, ct.31-79. Habiru è definizione accadica.
[8] Byron, Manfred,II,1.
[9]Villon, Testament, XXVI (e nello scrivere queste parole mi sento il cuore rompersi già).
[10] Collina da cui i viennesi poterono vedere la sconfitta dell’armata turca nel 1863
[11] Il frammento è un incastro fra Qhaélete nella traduzione di cerobt
[…] (prima parte e seconda parte), Novella Cantarutti, e Tito Maniacco (prima parte, seconda parte e terza parte). Con il suo consueto modo di operare/fotografare, e di concepire la fotografia, De Marco ha […]