Il sordido realismo

Taxi Teheran, Orso d'oro al 65° Festival internazionale del cinema di Berlino
Taxi Teheran, Orso d’oro al 65° Festival internazionale del cinema di Berlino

di Francesca Fiorletta

Jafar Panahi ha girato, letteralmente davanti alla telecamera, uno dei film più interessanti degli ultimi tempi. Si è messo alla guida di un taxi, in un ipotetico giorno qualunque, e ha attraversato le vie polverose e catatoniche di Teheran. Ha fatto salire, sembrerebbe per caso, un borseggiatore professionista che inneggia all’impiccagione dei ladruncoli d’accatto, una maestra d’asilo che si esercita nella difesa dialettica dei diritti umani, seppure senza troppa convinzione, e un venditore abusivo di dvd che prova a spacciarsi per socio del regista, nella speranza di spillare qualche spicciolo in più ai suoi affezionati clienti; ha accompagnato in ospedale un uomo ferito alla testa dopo un incidente stradale, con al seguito la giovane moglie, assai preoccupata per il testamento della povera vittima, (presunta), ha aiutato due signore anziane a compiere un rito scaramantico con due pesciolini rossi, poi è passato a prendere, con grave ritardo, la nipotina davanti la scuola, una bimbetta assai sveglia per la sua età, e l’ha scarrozzata un po’ in giro, spiegandole su esplicita richiesta i primi rudimenti del cinema “indipendente”; ha dato un passaggio a una giovane donna avvocato che si occupa, come può, dei diritti dei detenuti, ha incontrato un ex vicino di casa, vittima di un brutto furto con aggressione, dopo un mese ancora palesemente sotto shock, e ha persino avuto modo di intercettare il suo “carnefice”.

  • Che faccia ha?
    chiede Jafar, che si tormenta per non aver scrutato con la dovuta attenzione il ragazzotto apparentemente innocuo che gli ha appena servito una spremuta
  • Quella di tutti gli altri
    è la risposta schiacciante, assordante, inutile.

Dopo un po’, il taxi di Panahi viene borseggiato, pure lui. Ma l’obiettivo non sono certo i soldi, che il regista non accetta (quasi mai) dai suoi passeggeri. Gli viene bruscamente staccata la telecamera, sfondo nero, fine proiezione e ringraziamenti sentiti a chi ne ha permesso la distribuzione.

Questi sono in sintesi i fatti nudi e crudi, il “sordido realismo” che è  sempre caldamente sconsigliato mostrare. Pena l’interdizione.
Sì, perché Jafar Panahi, regista memorabile, giustamente pluripremiato e investito dei massimi riconoscimenti (a Locarno, Venezia, Cannes, Berlino…) è stato arrestato il 2 marzo del 2010 per aver aderito a dei movimenti di protesta contro il regime iraniano e condannato a sei anni di reclusione; non solo, “gli viene inoltre preclusa la possibilità di dirigere, scrivere e produrre film, viaggiare e rilasciare interviste sia all’estero che all’interno dell’Iran per vent’anni”. Venti anni.

Vent’anni senza il sordido realismo. Vent’anni di telecamere spente, di bocche cucite, di occhi e orecchie chiuse, ma soprattutto di nasi tappati.
Non credo ci sia bisogno d’aggiungere altro.

2 COMMENTS

  1. […] Nazione Indiana, “Il sordido realismo”: Jafar Panahi ha girato, letteralmente davanti alla telecamera, uno dei film più interessanti degli ultimi tempi. Si è messo alla guida di un taxi, in un ipotetico giorno qualunque, e ha attraversato le vie polverose e catatoniche di Teheran. Ha fatto salire, sembrerebbe per caso, un borseggiatore professionista che inneggia all’impiccagione dei ladruncoli d’accatto, una maestra d’asilo che si esercita nella difesa dialettica dei diritti umani, seppure senza troppa convinzione, e un venditore abusivo di dvd che prova a spacciarsi per socio del regista, nella speranza di spillare qualche spicciolo in più ai suoi affezionati clienti; ha accompagnato in ospedale un uomo ferito alla testa dopo un incidente stradale, con al seguito la giovane moglie, assai preoccupata per il testamento della povera vittima, (presunta), ha aiutato due signore anziane a compiere un rito scaramantico con due pesciolini rossi, poi è passato a prendere, con grave ritardo, la nipotina davanti la scuola, una bimbetta assai sveglia per la sua età, e l’ha scarrozzata un po’ in giro, spiegandole su esplicita richiesta i primi rudimenti del cinema “indipendente”; ha dato un passaggio a una giovane donna avvocato che si occupa, come può, dei diritti dei detenuti, ha incontrato un ex vicino di casa, vittima di un brutto furto con aggressione, dopo un mese ancora palesemente sotto shock, e ha persino avuto modo di intercettare il suo “carnefice”. […]

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