Scanning – Il cuore in bianco e nero del “reale”
di Giampiero Marano
Il cuore in bianco e nero del “reale”
Mentre una moda culturale abbastanza recente sponsorizzata da alcuni filosofi e letterati predica il ritorno al “realismo”, ai “fatti”, al “senso comune”, è il caso di riflettere sulla radice ascetica dell’arte. Sulla sua necessità innata e vitale di distanziarsi dalle cose e dall’io, e in generale dal mondo come rappresentazione, astratta o concreta che questa sia. Il preliminare dell’espressione artistica consiste in una sorta di reclusione iniziatica dello spirito che, sia pure senza sostarvi indeterminatamente, è chiamato a sperimentare il baratro spalancato fra noumeno e fenomeno, o fra essere ed ente. Vale, in breve, quello che scriveva Adorno nella Teoria estetica: “la separazione della sfera estetica dall’empiria è costitutiva dell’arte”.
L’ottimo Scanning (Corraini Edizioni, 2014), cofirmato dal fotografo Mussat Sartor e dal poeta (ma anche artista figurativo) Nicola Ponzio, ha il merito di riattivare questa elementare e paradossale “esperienza anti-empirica”. Le cinquantotto immagini in bianco e nero, scattate dall’interno di un’automobile in movimento, fissano un’oggettività doppiamente filtrata, dunque doppiamente distanziata: dall’obiettivo del fotografo e, nello stesso tempo, dal parabrezza. Lo sguardo di Mussat Sartor si concentra su paesaggi, autostrade, ponti, strade urbane, nei quali la figura umana è spesso assente oppure relegata in uno spazio marginale, quasi accessorio. C’è un’attitudine iconoclasta, in Mussat Sartor, che gli vieta di dare forma alle sue visioni mediate, cioè di organizzarle in un racconto chiuso e rassicurante: le fotografie sono “i fermo immagine di un film non girato”, come osserva Marco Giovenale nella postfazione al libro. Insomma, nessuna linearità narrativa, nessuna promessa messianica di senso ma un sapiente raffreddamento espressivo, comunque mai cerebrale né snobistico.
Quanto ai versi di Ponzio, va detto in primo luogo che non fungono da paratesto didascalico o da commento ma si sviluppano in armonia con le immagini interrogando anch’essi il tema fondamentale della separazione dell’arte dall’empiria. Ossessivi e ripetitivi come esercizi spirituali, propongono un elenco impressionante di tutte le varietà possibili del bianco, del nero e del grigio: “bianco bioluminescente / nero utero / grigio marmo / bianco boxer / nero voragine / bianco cascata / bianco das / nero terroso / bianco alabastro / bianco Cervino / nero tetro / grigio sporco”, e avanti così per più di trenta pagine. E’ chiaro che Ponzio non vuole assecondare e riprodurre lo slancio lirico dell’io. Non gli interessa neppure la provocazione del “disegnare i baffi alla Gioconda”, come avrebbe detto Fortini. A dispetto dell’apparente realismo, in verità così scrupoloso e intenzionalmente paranoico da trascendere se stesso e sconfinare nel suo opposto, i testi di Ponzio puntano a descrivere l’interiorità degli oggetti, il cuore nascosto della natura, fatto di pochi elementi essenziali: un non-colore (il bianco) e la somma di tutti i colori (il nero) che si combinano e si trasformano continuamente assumendo le infinite, meravigliose gradazioni della molteplicità.
Paolo Mussat Sartor, Nicola Ponzio, Scanning. Con una postfazione di Marco Giovenale. Corraini Edizioni, 2014.
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