Seia sette: Joanna Rakoff

Dove vanno le anatre?un_anno_con_salinger_02_2_

di

Seia Montanelli

Mi tolgo subito il dente e l’ammetto: il libro di cui sto per scrivere non è uno qualsiasi per me.

“Un anno con Salinger” di Joanna Rakoff (Neri Pozza, trad. it. Martina Testa, pp. 287, € 17) è il libro che avrei voluto scrivere io se fossi una scrittrice, o meglio, quando pensavo di poter diventare una scrittrice – vivere di libri, con i libri e per i libri.

E così vi dico subito che se questo non è successo anche a voi, “Un anno con Salinger” potrebbe non dirvi granché. Non che gli manchino i pregi: è ben scritto (e ben tradotto) e descrive una New York che abbiamo imparato a conoscere nei film o nelle serie tv più sofisticate. La protagonista racconta la propria vicenda in prima persona con uno stile vivace; le cose che ella dice su se stessa e il mondo meritano di essere lette. Ma se non avete mai amato uno scrittore tanto da volergli telefonare nel cuore della notte per fargli delle domande, o dirgli solo grazie di esistere, allora questo libro forse vi deluderà.

E sarà pure un po’ colpa vostra, perché il titolo dice tutto: cosa vi aspettavate esattamente scegliendo di leggere “Un anno con Salinger” di Joanna Rakoff, se non di passare un anno con Salinger? E poi esistono le quarte di copertina: talora sono un po’ astruse – il più delle volte a bella posta, perché se dicessero nitidamente di cosa parla un libro non se lo comprerebbe nessuno – ma qui l’editore si è espresso con chirurgica esattezza: è la storia dell’anno in cui la scrittrice e giornalista americana ha conosciuto J. D. Salinger. No, dico: pensavate parlasse di rugby?

L’anno salingeriano comincia quando la ventiquattrenne Joanna, dopo essersi laureata e aver vissuto per un po’ a Londra, si trasferisce a New York sperando di vivere delle sua poesie. Ben presto si accorge della insensatezza delle sue aspettative, e trova, quasi per caso, un lavoro come impiegata/segretaria in un’agenzia letteraria. O meglio, non in un’agenzia ma nell’ Agenzia, la più antica di New York, quella che rappresenta perlopiù scrittori leggendari o morti (meglio se leggendari e morti), ma che, a parte ciò, è l’unico contatto col mondo esterno per J. D. Salinger.

La vita di Joanna all’epoca, e quella di molti che la circondano nell’ambiente letterario newyorchese che fa da sfondo alla vicenda, è simile a quella di chiunque lavori nell’editoria e non abbia santi in paradiso: bollette e affitti saldati sempre in ritardo e facendo salti mortali, case condivise, pasti veloci consumati sulle panchine o alle scrivanie, insopportabili attese, gente che ti sfrutta, qualcuno che ti dà ogni tanto qualche possibilità, l’euforia per aver conosciuto questo o quello scrittore, l’inevitabile delusione nello scoprire che sono uomini e donne come tutti, l’entusiasmo che lentamente si dissolve. E poi ogni tanto qualcuno che riesce a “farcela”, diventando un editor importante, un critico, un giornalista culturale di grido: ma a quel punto, ahimè, la passione è svanita da un pezzo e son cresciute tre dita di pelo sullo stomaco.

Joanna Rakoff alla fine ce l’ha fatta, è una di quelle che hanno investito nel “lavoro culturale” e per cui non vale quello che una volta scrisse Luciano Bianciardi: «Costoro né producono dal nulla, né trasformano. […] Non sono strumenti di produzione, e nemmeno cinghie di trasmissione. Sono lubrificante, al massimo, sono vaselina pura».È diventata una giornalista famosa, una scrittrice di successo, i suoi libri ottengono anticipi sostanziosi, le riviste non si dimenticano di pagarla, la pagina della cultura dei giornali trova lo spazio per i suoi pezzi.

“Un anno con Salinger” è un libro sull’editoria, sulla competizione, sulla difficoltà di rincorrere i propri sogni, e anche se ambientato in una New York di quasi vent’anni fa, e in un’agenzia letteraria in cui il tempo sembra essersi fermato agli anni sessanta (per il rifiuto snobistico della direttrice di utilizzare i computer e altre diavolerie tecnologiche), le dinamiche sono le stesse ovunque, anche se forse in questo momento nel nostro Paese, è tutto più difficile, e ci sono più epigoni di Bianciardi in giro – non tanto per il valore letterario, quanto per l’insoddisfazione per la propria condizione, – che non di Joanna Rakoff.

Ma il libro è soprattutto un memoir, oltre che una dichiarazione d’amore per Salinger e la letteratura in genere. Joanna si racconta con brio, intrecciando sulla pagine le sue vicende professionali con la vita privata; parla dei fidanzati, delle amiche, della famiglia, delle difficoltà economiche, del malessere esistenziale di una giovane donna catapultata un po’ per caso in un mondo dove ancora è al tempo stesso straniera e inesperta. Ma man mano che si procede con la lettura, vediamo come la sua vita venga sempre più influenzata dalla presenza/assenza di questo mitico – e a dir poco originale, per idee e stile di vita – scrittore quasi ottantenne, con cui ella parla qualche volta al telefono. Proprio in quel periodo un piccolo editore vuole pubblicare l’ultimo racconto di Salinger uscito su rivista, “Hapworth, 16, 1924”, e ci sono molte cose da decidere in merito, così Salinger si farà vivo spesso da quelle parti, una volta addirittura di persona.

Joanna, per via del lavoro che fa, deve anche rispondere alle numerose lettere dei fan per Salinger: una risposta standard, cordiale, distaccata in cui si spiega che lo scrittore non vuole ricevere corrispondenza di nessun tipo. Tuttavia quelle lettere sono così personali e accorate, e divertenti o commoventi che – Joanna se ne rende conto – meritano più di due parole laconiche di diniego. Comincia così a rispondere loro per proprio conto, dedicando del tempo a quei ragazzini ribelli che si riconoscono nel giovane Holden, o ai veterani che con Salinger condividono il trauma di aver vissuto l’orrore della seconda guerra mondiale. E mentre legge capisce di trovarsi in una situazione molto simile a quella dei personaggi salingeriani: confusi, ribelli in un mondo che non riconoscono, costretti a rivedere le loro prospettive e a fare i conti con il loro diventare adulti, e con una sorta di anarchia sentimentale da dominare.

È così che inizia ad affrontare i libri di Salinger, uno via l’altro, lasciando per ultimo “Il giovane Holden”.

Joanna si identifica con la bella e tormentata Franny di “Franny e Zooey”, con la quale condivide affanni sentimentali: ma è solo dopo aver letto l’unico romanzo dello scrittore più chiacchierato della seconda metà del Novecento, ch’ella coglie l’importanza della sua opera e meglio di tanti critici titolati riesce a riassumere il senso degli scritti di Salinger in poche parole: “anatomie di una perdita”, perché parlano di smarrimenti, della scomparsa di qualcosa o di qualcuno, di amputazioni sentimentali o esistenziali, c’è sempre qualcuno che cerca disperatamente qualcosa. Joanna con “Il giovane Holden” coglie il senso ultimo dell’influenza che quei libri hanno sulla vita delle persone che li hanno amati: è l’empatia che unisce autore, personaggi e lettore, la sensazione di raccogliere delle confessioni, di avere Salinger «che ti sussurra le sue storie all’orecchio» e ti apre il suo mondo, senza difese, senza muri, senza filtri, gioia, dolore, malessere, speranza, disperazione, tutti esposti al lettore che – a tanti è successo – alla fine vuole condividere tutto ciò che ha provato leggendo quelle parole con il loro autore e, come Holden, vorrebbe chiamarlo al telefono, ma non può e allora scrive alla sua agenzia letteraria.

E sì, lo ammetto: una volta ho scritto anche io una lunga lettera a J. D. Salinger, ce l’ho ancora da qualche parte nelle mie carte sparse. Avevo letto per l’ennesima volta “Il giovane Holden” e volevo sapere cosa gli sarebbe successo dopo il sanatorio, cosa avrebbe fatto nella vita. Era qualche anno prima che Joanna Rakoff varcasse la soglia dell’Agenzia, ero più giovane di lei e meno attrezzata a resistere all’impatto con Salinger.

Ma il cerchio si chiude sempre, sono trascorsi quasi quattordici anni e l’autrice si è sposata, ha avuto dei figli e poi ha divorziato per tornare al suo primo amore. Eppure sul finale del memoir la ritroviamo in una mattina grigia di gennaio, a piangere per la morte di Salinger appena scomparso: perché non importa chi sei diventato e quanta strada hai fatto, ma se qualcuno ha scritto parole che ti han scosso dentro finisce per essere come uno di famiglia, un amico che non vedi mai ma c’è, e la sua morte – che ti priva di altre sue parole, in via definitiva – è un lutto che ti colpisce.

Mentre Joanna piangeva Salinger, io all’altro capo del mondo ricevo un sms da un amico lontano. Diceva soltanto: “Holden non tornerà più. Ho pensato che non volessi saperlo da un articolo”.

articoli correlati

Seia nove: Charles Webb

Il grande Slam di Seia Montanelli Se la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, quella che porta all’olimpo della...

Seia otto: Ernest Hemingway

  Pariscope di Seia Montanelli Mentre scrivo alla tv passano le immagini di Place de la Rèpublique in cui si sta svolgendo la...

Seia sei: Ricardo Menéndez Salmón

Il grado Zen della scrittura  di Seia Montanelli “Bambini nel tempo” (Marcos y Marcos, trad. di C. Tarolo, p. 224, € 15),...

Seia cinque: Gaetano Cappelli

La Romanza di Seia Montanelli   Autore prolifico, con oltre quindici romanzi in trent’anni di carriera (oltre a decine di racconti e...

Tutte queste informazioni di Vincent: Ilaria Boemi

Morire due punto zero di Seia Montanelli A sedici anni volevo morire. Mi ero presa una cotta assurda per una specie di...

Seia quattro: Fantasmagoriana

Galeotto fu un libro!  di Seia Montanelli Era una notte buia e tempestosa, quella del 16 giugno del 1816 in Svizzera....
francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017