Peccati capitali: una verifica politica

di Giorgio Mascitelli

L’amara consapevolezza che durante le feste natalizie il peccato di gola mi ha tratto seco mi ha indotto ad avventurarmi in questo giochino un po’ idiota di fare una sorta di borsino di valori dei peccati capitali nella nostra società: chi scende, chi sale e così via. A mia difesa per tanta frivolezza posso solo riecheggiare le parole del Santo Padre: meglio questo che fidarsi delle profezie degli astrologi e degli economisti.

In fondo poi se ci si pensa un attimo, i peccati capitali veicolano un immaginario collettivo anche in società secolarizzate come le nostre e questo non solo perché molte delle categorie religiose continuano a funzionare seppur in forma laica anche oggi. La disapprovazione, poco importa se dovuta alle autorità spirituali o a quelle mediatiche, agisce sempre come un ottimo collante ideologico e come indicazione implicita di quelle che sono le virtù raccomandabili. Ho classificato i vecchi peccati capitali in tre gruppi: gli stazionari, quelli che si sono aggravati e quelli che hanno fatto il grande salto sociale diventando virtù.

Tra i peccati stazionari va indicata la superbia in primo luogo: essa è condannabile e va contro l’imperativo spettacolare della simpatia universale ( quella incarnata da uomini politici che raccontano barzellette o fanno smorfie e gestacci in occasioni di foto ricordo ai vertici internazionali), ma da un certo punto di vista rappresenta anche il legittimo crisma delle persone di successo e pertanto non va stigmatizzata oltre il ragionevole, anche perché può essere sempre giustificata come una forma di sincerità che, come è noto, è un elemento indispensabile per una relazione stabile. In ogni caso il peccato di superbia mantiene una vita carsica perché talvolta riemerge d’improvviso quando torna utile rimproverarlo a quelle voci che acquistano notorietà difendendo cause perse o innominabili: ne è un esempio l’ex ministro delle finanze greco Varoufakis, che la scorsa primavera ha insolentito con la sua insopportabile superbia il povero Dissenbloijm e i pazienti creditori.

Anche l’ira mantiene questa statuto mediano: da un lato la mansuetudine è raccomandabile sia a livello di grandi uomini ( si pensi a Blair che si scusa per la guerra in Iraq dopo solo una dozzina d’anni, ammettendo con umiltà che si poteva fare di meglio e lo si farà, lo si farà) (1) sia a livello di gente comune ( si pensi alle domande sul perdono rivolte dai media ai famigliari di vittime di atti criminali), dall’altro ci sono delle categorie di persone che hanno diritto all’ira e che solo uno sciocco temerario può provocare. Nei rispettivi sottosistemi mediatici sono Putin ed Erdogan ad essere gli iracondi di successo, nel nostro è senz’altro il ministro delle finanze tedesco Schäuble: per tutti costoro l’ira non è un peccato, ma una normale manifestazione della loro superiorità. Ma gli iracondi di successo per eccellenza sono i mercati: la manifestazione della loro ira ha sempre qualcosa in comune con quelle degli dei del mondo antico e come quelle ha motivi imperscrutabili ma fondatissimi. E di recente s’incazzano spessissimo. D’altronde qui la colpa è del Vangelo: non si arrabbiò forse Gesù con i mercanti nel tempio? Nulla di più logico che i mercanti si adirino quando qualcuno d’indesiderato si aggira nel loro tempio che è il mondo.

Tra i peccati che si sono aggravati ci metto subito quello da me commesso, la gola: troppo culto per i corpi perfetti e troppo sospetto per il tempo perso a tavola quando ci si può nutrire efficacemente in piedi e su due piedi per poter sperare in un’assoluzione. La prova più eloquente è che in televisione l’immaginario alimentare è stato sdoganato sotto forma di competizione tra i cuochi e non in quello tradizionale di cuccagna. Le lunghe serate in cui un gruppo di amici si mette intorno a un piatto di pasta non senza la provvidenziale presenza di qualche bottiglia e senza altro scopo che quello improduttivo di stare insieme in allegria restano un peccato mortale.

Anche l’accidia è tra i peccati che si sono aggravati nel corso del tempo e ciò in ragione in primo luogo della sua difficoltà di definizione. In un’epoca che non ama troppo le sottigliezze e in cui si può dire tutto purché in trenta secondi, la natura di questo peccato di per sé è un’aggravante. Poi sia che lo s’intenda come gli sceneggiatori di Seven come il trionfo della droga sia come come il Petrarca come l’incapacità di rinunciare alle cose che ci fanno stare male risulta sospetto per la perdita di tempo che comporta. Se ci aggiungiamo il fatto che forse questo perdere tempo potrebbe avere a che fare con la riflessione su di sé anziché sforzarsi di cambiare la propria vita in una sorta di perenne gara contro se stessi per vedere se si è più bravi degli altri, come ci consiglia un filosofo importante quale Sloterdijk, oppure anziché spenderla nella ricerca di scariche di adrenalina che hanno miglior mercato, si può comprendere quanto l’accidia sia intollerabile per il nostro mondo.

Il peccato più grave di tutti, però, resta l’invidia e questo in ragione di due sue qualità logiche. La prima è che nell’immaginario collettivo è un peccato da cui vanno immuni i principi e i potenti della Terra di ogni tipo e genere, che naturalmente non possono invidiare gli altri essendo loro i migliori; la seconda è che esso ha a che fare con la critica. Qualsiasi critica infatti può essere descritta come frutto d’invidia ( perfino questa mia alla ricezione sociale dei vari peccati potrebbe essere descritta con qualche efficacia retorica come espressione dell’invidia di un goloso nei confronti degli altri peccati capitali) e ciò è estremamente comodo per bloccare a priori qualsiasi discorso critico, tramutando ogni criticato in un biondo Sigfrido e ogni critico in un nano che trama nell’oscurità. Naturalmente non si può essere naif, se si designa ogni critica espressamente come prodotto dell’invidia, è chiaro che si sortisce un effetto comico involontario, ma se con più prudenza ora si parla di ressentiment, ora di cieco furore ideologico ora di odio atavico si ottengono risultati di gran valore, tenendo conto che la statistica dà una mano perchè alcune critiche derivano effettivamente da sentimenti d’invidia.

Veniamo ora ai peccati che ce l’hanno fatta e che sono diventate virtù: lussuria e avarizia. Sulla lussuria c’è poco da dire da desiderio peccaminoso e irrealizzabile è diventata parte integrante del codice performativo attivistico per cui il vero terrore dei nostri tempi non è cadere nel peccato di lussuria ma essere ghettizzati nella temperanza. Bisogna darsi da fare in ogni campo. Il primo ad accorgersi degli albori di questo fenomeno fu Adorno in uno dei suoi minima moralia, mi pare, nel quale nota un po’ sprezzantemente, del resto era verosimilmente un superbo, che qualsiasi impiegata dei suoi tempi poteva vantare un’esperienza sessuale che nel secolo XVIII era riservata a M.me Pompadour e poche altre donne del suo rango. Sarebbe fin troppo facile citare qui la dichiarazione berlusconiana sulla propria giornata tipo costituita da 18 ore di lavoro 3 di sonno e altrettante di sesso, che tra l’altro implica che atti intimi e sonno vengano consumati sul posto di lavoro non essendo riservato alcuno spazio temporale per i trasferimenti. Più interessanti appaiano da un lato la fitta casuistica e il connesso galateo su ogni pratica sessuale resi noti con apprezzabile continuità dal mondo mediatico in uno slancio in cui la volontà di sapere incontra quella di performance, dall’altro lo sviluppo di una biopolitica dell’amore che prevede la traduzione in diritto politico individuale di ogni desiderio: di recente per esempio si è scoperto il diritto alla genitorialità da garantire tramite la liberalizzazione del mercato dei neonati a coppie abbienti a vario titolo sterili.

In un certo senso però la trasformazione più spettacolare è stata quella dell’avariza ossia di quella che noi chiamiamo avidità, essendo un tempo chiamata ‘miseria’ la nostra avarizia. Il discorso sportivo, vincono solo le squadre che hanno fame di vittoria, e quello finanziario, che parla encomiasticamente di ‘grandi predatori’ e di ‘spiriti animali del capitalismo’, sono i principali sintomi della metamorfosi virtuosa e travolgente di questo peccato. A questo proposito basta fare una prova: chiunque facesse un’affermazione del genere ‘ oggi uno dei problemi è che c’è in giro troppa gente avida che desidera semplicemente troppo denaro, con il problema di non sapere più che farsene perchè la stessa avidità rende impossibile investirlo’ verrebbe accolto con la costernazione che si riserva agli alienati anche da parte di chi in linea teorica sarebbe d’accordo. Eppure due grandi predatori intelligenti, reazionari non sprovvisti di senso storico che oggi pertanto risultano dei progressisti, come George Soros e Warren Buffet hanno dimostrato di temere questo trionfo dell’avidità come pericoloso per il corso stesso dei loro affari: non è un mistero per nessuno, ad esempio, che sono state le fondazioni di Soros a finanziare l’importante e complessa ricerca di Piketty sul capitale del XXI secolo. Ma l’episodio più sofisticato di questo processo di assunzione in cielo dell’avidità resta l’articolo che l’attrice erotica Valentina Nappi pubblicò un paio di anni fa su Micromega. In questo articolo l’autrice spiegava che la cosa migliore per la sinistra era rinunciare a mettere in discussione il primato delle banche, cosa che ormai fanno solo i fascisti, mentre esse di questi tempi rappresentano il progresso, e occuparsi solo di diritti civili. Era una splendida allegoria in cui la lussuria sdogana l’avidità in nome dei diritti dell’individuo libero ormai dalle arcaiche superstizioni collettivistiche.

(1): anche se personalmente resto un fan di quelle date dalla Chiesa Cattolica a Galileo, che possono essere riassunte così: “scusaci, abbiamo sbagliato oggi, ma all’epoca avevamo ragione noi”.

 

18 COMMENTS

  1. bellissimo, Giorgio, segnalo che “I sette vizi capitali. Storia dei peccati nel Medioevo”, di Carla Casagrande e Silvana Vecchio rimane un testo fondamentale sull’argomento e sottolineo poi che tutta la tradizione nostra è cominciata con l’ira, prima parola dell’Iliade (ménin, s’intende in accusativo), oltre che con la lussuria di Paride che non resistette al fascino di Elena. Ma la lussuria anche il fustigatore Alighieri la tratta ben con un occhio di riguardo, si pensi ai due “che ‘nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggieri” e che hanno anchesì “l’amor che i mena”. Insomma!

  2. Dallo Zingarelli ed.XI :nell’uso comune PECCATO ‘comportamento umano che costituisce violazione della legge etica e divina’, VIZIO ‘abitudine inveterata e pratica costante di ciò che è male’. Allego link http://www.preghiereagesuemaria.it/libri/i%20sette%20peccati%20capitali.htm, dove teologi cattolici usano i due termini in maniera intercambiabile perché evidentemente non è utile tale distinzione per il loro discorso. Peraltro la distinzione rigida tra azione commessa ( peccato) e inclinazione ( vizio) presuppone un’accettazione della dottrina scolastica dell’anima, che inclina naturalmente al bene ed è portata al male dal desiderio di beni terreni, i vizi, non così scontata nell’italiano del XXI secolo, soprattutto in uno scrittarello tra il serio e il faceto come questo. Sia detto con il massimo rispetto per Wikipedia e per il mondo della catechesi.
    Per Sparz: Dante aveva un occhio di riguardo per la lussuria anche perché per una parte della sua carriera intellettuale aveva molto puntato sul fatto che un certo tipo di amore terreno non fosse peccato.

  3. Appunto: anche lo Zingarelli distingue tra peccato (atto singolo) e vizio (abitudine).

    Il sito citato non può essere citato come fonte per esemplificare il pensiero della chiesa: è fortemente ostile al Vaticano (accusato di “luteranismo”); propaganda i messaggi di Medjugorie (notoriamente non riconosciuti e anzi disapprovati dal Vaticano); contiene fesserie sul “gender” che vari documenti ecclesiastici hanno ampiamente smentite; eccetera.

    Peraltro anche lì si distingue tra “vizio” e “peccato”, a es. in frasi come

    L’accidia appare prima di tutto come uno stato d’animo negativo intessuto di scoraggiamento, di noia, di pesantezza, in questo manifestarsi però essa non è ancora peccato, ma solo tentazione.

    Il Catechismo della chiesa cattolica, al n. 1865 e successivi, distingue anch’esso:

    Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male.

    Notare che la formula del Catechismo non presenta il vizio come generatore del peccato (che è una concezione antica).

    Ovviamente qui è questione solo di terminologia, non certo della sostanza dell’articolo, sulla quale non ho niente da ridire. E nel primo rapido intervento intendevo richiamarmi all’uso comune delle parole (per questo citavo Wikipedia e non il Catechismo).

  4. Ma perché, mi domando, ho l’impressione di trovarmi di fronte ad una sottile passata di ironia che non riesce a coprire una buona dose di qualunquismo di fondo?

    Nulla di quello che ho letto finora di Mascitelli mi ha mai fatto sospettare una qualche deriva qualunquista e allora perché di fronte a questo pezzo questa impressione ce l’ho? E’ forse la vicinanza ai temi di Grillo? O forse è proprio quest’uso dell’ironia che sembrerebbe fungere da paravento per esternazioni discutibili? Non so, non riesco a darmi una risposta, ma rimane un po’ d’amaro in bocca.

    • Vorrei rassicurarla sulla vicinanza a tematiche grilline: Grillo dice tutto e il contrario di tutto, salvo sulla questione dei privilegi dei politici, dunque è tecnicamente impossibile non incontrare nella sua orbita verbale l’uomo politico genovese almeno una volta. Questa è l’unica mia vicinanza.
      Quanto alle esternazioni discutibili, le discuta per l’appunto anziché classificarle.

  5. Grillo dice tutto e il contrario di tutto, salvo sulla questione dei privilegi dei politici, dunque è tecnicamente impossibile non incontrare nella sua orbita verbale l’uomo politico genovese almeno una volta.

    Effettivamente…

    Quanto alle esternazioni discutibili, le discuta per l’appunto anziché classificarle.

    Posso incominciare, ma dubito che riuscirò a finire prima dei festeggiamenti serali ed anche nei prossimi giorni sarò tendenzialmente lontano da un computer. Comunque.

    […] ne è un esempio l’ex ministro delle finanze greco Varoufakis, che la scorsa primavera ha insolentito con la sua insopportabile superbia il povero Dissenbloijm e i pazienti creditori.

    Il fatto che Varoufakis fosse a mio avviso nel giusto sulle possibilità di ripagamento del debito pubblico greco non toglie che abbia effettivamente trattato con sufficienza, se non con ostentata superiorità, Dijsselbloem — ancora la settimana scorsa lo ha definito un pupazzo agli ordini di Schäuble, dopo averlo già descritto, tra l’altro, come un peso leggero intellettuale. In sostanza, che Varoufakis fosse nel giusto non significa che l’accusa di superbia nei suoi confronti sia ingiustificata.

    Dov’è l’impressione di qualunquismo? Nel volere stabilire un legame tra le due cose: che se tu critichi il comportamento di Varoufakis lo fai per discreditare le sue idee. Intendiamoci, ci saranno stati casi in cui ciò è successo, ma il qualunquismo sta nell’insinuazione indiscriminata di questo secondo fine.

    Tra parentesi, Dissenbloijm al posto di Dijsselbloem è sicuramente involontario, però non posso fare a meno di notare che quello di storpiare i nomi è un vezzo che Beppe Grillo ha ereditato da Emilio Fede.

    (si pensi a Blair che si scusa per la guerra in Iraq dopo solo una dozzina d’anni, ammettendo con umiltà che si poteva fare di meglio e lo si farà, lo si farà)

    Non so quali siano le scuse cui lei si riferisce. Nell’intervista di Fareed Zakaria a Tony Blair del 25 Ottobre di quest’anno, le scuse proffere da Blair sono accompagnate da una serie di qualificazioni che ne riducono la portata, ed il senso che ne esce non è esattamente quello di uno che si scusa per la guerra in Iraq:

    […] I can say that I apologize for the fact that the intelligence we’ve received was wrong because even though he had used chemical weapons extensively against his own people, against others, the program in the form that we thought it was did not exist in the way that we thought. So I can apologize for that.

    I can also apologize, by the way, for some of the mistakes in planning and certainly our mistake in our understanding of what would happen once you remove the regime. But I find it hard to apologize for removing Saddam. I think even from today in 2015, it is better that he’s not there than he is there.

    [Continua nel 2016, tra qualche giorno…]

  6. Accidenti, ho dimenticato di chiudere un tag. Ricopio l’ultimo pezzo del mio commento precedente:

    (si pensi a Blair che si scusa per la guerra in Iraq dopo solo una dozzina d’anni, ammettendo con umiltà che si poteva fare di meglio e lo si farà, lo si farà)

    Non so quali siano le scuse cui lei si riferisce. Nell’intervista di Fareed Zakaria a Tony Blair del 25 Ottobre di quest’anno, le scuse proffere da Blair sono accompagnate da una serie di qualificazioni che ne riducono la portata, ed il senso che ne esce non è esattamente quello di uno che si scusa per la guerra in Iraq:

    […] I can say that I apologize for the fact that the intelligence we’ve received was wrong because even though he had used chemical weapons extensively against his own people, against others, the program in the form that we thought it was did not exist in the way that we thought. So I can apologize for that.

    I can also apologize, by the way, for some of the mistakes in planning and certainly our mistake in our understanding of what would happen once you remove the regime. But I find it hard to apologize for removing Saddam. I think even from today in 2015, it is better that he’s not there than he is there.

    [Continua nel 2016, tra qualche giorno…]

  7. Nicola Esposito scrive:

    … quello di storpiare i nomi è un vezzo che Beppe Grillo ha ereditato da Emilio Fede…

    Non dimentichiamo Travaglio. Ma la cosa che volevo far notare, per curiosità, è che “vezzo” e “vizio” sono (etimologicamente) la medesima parola (vedi).

  8. Il fatto che Varoufakis sia stato l’unico personaggio tacciato di superbia dall’apparato mediatico quando potremmo citare con facilità decine di episodi è da ricondurre alla sua posizione sul debito greco.
    Quanto a Blair siamo al grottesco: chiedere scusa per aver creduto alla storia della armi di distruzione di massa, che è il motivo ufficiale per cui è stata fatta la guerra in Iraq, politicamente significa scusarsi per aver fatto la guerra e non scusarsi per aver abbattuto Saddam Hussein, che è una conseguenza logica della guerra, significa affermare o che la guerra è stata fatta per altri motivi da quelli dichiarati o che andava gestita meglio dal punto di vista della comunicazione, cioè che si sarebbe potuta far meglio.
    Veramente io non regalerei questi argomenti ai grillini, perché etichettarli in questo modo significa negarsi la comprensione del presente e la possibilità di una sua critica

    • Quanto all’errore del nome di Dijsselbloem, il quale peraltro secondo il giornale greco To vima ha dichiarato di aver chiesto lui stesso il licenziamento di Varoufakis dal governo greco, si tratta di un errore dovuto alle conseguenze dei miei peccati di gola, del quale mi scuso con l’interessato e i lettori,non assimilabile alle pratiche di Fede e Grillo che sbagliano di proposito in maniera caricaturale i nomi. Ammetto, tuttavia, che si tratti di una convergenza oggettiva con le pratiche grilline, del resto ho appena ascoltato il discorso di fine anno di Beppe Grillo che terminava con l’augurio di buon anno: ora mi è capitato in questi giorni di esprimermi ripetutamente in termini analoghi ( credo che sia un comportamento, ma potrebbe chiamarsi anche una pratica). E’ indubbio che ci siano due convergenze oggettive nel giro di pochi giorni da parte mia

  9. Grazie a Giorgio Mascitelli per il suo pezzo, che mi ha fatto incominciare l’anno con il piede giusto e il vizio aggravato (l’accidia). Mi scuso se ho apprezzato il pezzo, anche senza aver passato l’esame di filosofia morale e quello di teologia, dedicati alla distinzione tra peccatore e vizioso.

  10. Giulio Mozzi:

    Non dimentichiamo Travaglio.

    Travaglio mi era completamente passato di testa. Comunque per curiosità sono andato a controllare e questo vizio e/o vezzo era già presente nell’Uomo Qualunque di Giannini.

    Andrea Inglese:

    Mi scuso se ho apprezzato il pezzo, anche senza aver passato l’esame di filosofia morale e quello di teologia, dedicati alla distinzione tra peccatore e vizioso.

    Non c’è bisogno di scuse, Inglese, questo è il bello delle lettere: uno può sempre trovare qualcosa di adeguato al proprio livello cultulrale.

    Mascitelli:

    Il fatto che Varoufakis sia stato l’unico personaggio tacciato di superbia dall’apparato mediatico quando potremmo citare con facilità decine di episodi è da ricondurre alla sua posizione sul debito greco.

    Se così fosse, non si capisce perché non siano stati tacciati di superbia coloro che hanno avuto posizioni vicine a Varoufakis come l’IMF e Lagarde stessa. Ad un certo punto della conversazione diventa anche opportuno incominciare ad evitare dei vuoti generalismi: quando si parla di “apparato mediatico” che taccia di superbia Varoufakis, sarebbe opportuno portare qualche esempio così si capisce esattamente di quello che stiamo parlando, altrimenti il tutto rimane un po’ nebuloso.

    […] peraltro secondo il giornale greco To vima ha dichiarato di aver chiesto lui stesso il licenziamento di Varoufakis dal governo greco […]

    Perché “peraltro”? La reciproca antipatia personale tra i due è ben documentata – secondo Moscovici i due sono quasi giunti alle mani.

    […] chiedere scusa per aver creduto alla storia della armi di distruzione di massa, che è il motivo ufficiale per cui è stata fatta la guerra in Iraq […]

    Bisogna fare attenzione quando si legge. Uno dei luoghi comuni che compaiono spesso in dichiarazioni pubbliche sono delle finte scuse del tipo: «Mi spiace che alcuni si siano offesi per quello che ho detto», che si può interpretare come «Mi spiace che voi siate dei permalosi»: praticamente chiedere scusa e allo stesso tempo declinare la responsabilità. Il modo corretto di offrire delle scuse per quello che si è detto è «Mi spiace per quello che ho detto: era sbagliato/orribile/etc.»

    Che cosa fa qui Tony Blair? «Chiedo scusa che le informazioni che ci hanno dato fossero fossero sbagliate.» Praticamente chiede scusa che altri non abbiano saputo fare il proprio lavoro per bene – Nota che secondo molti qui Blair mente e cioè che il mosaico di informazioni ricevute fosse corretto e che Blair ed amici abbiano preso in considerazione soltanto i frammenti a favore dell’intervento.

    Nei rispettivi sottosistemi mediatici sono Putin ed Erdogan ad essere gli iracondi di successo, nel nostro è senz’altro il ministro delle finanze tedesco Schäuble: per tutti costoro l’ira non è un peccato, ma una normale manifestazione della loro superiorità.

    ‘Spetta un attimo. Prima dici che Varoufakis viene tacciato di superbia da chi è in disaccordo cone le sue idee e poi tu che cosa fai due righe di sotto? Dici che Schäuble si concede l’ira in quanto manifestazione della sua superiorità, quindi in effetti come peccato di superbia?

    Veramente io non regalerei questi argomenti ai grillini

    Al contrario, direi che la cultura umanistica ci fornisce gli strumenti di pensiero critico atti a vagliare le fallaci argomentazioni che così spesso si trovano nelle analisi grilline e più generalmente qualunquiste. Sarebbe peccato rinunciarvi in nome di qualche simpatia politica in più, soprattutto in un momento storico come questo dove la cultura, e quella di declinazione umanistica in particolare, è sotto attacco proprio per queste capacità di spirito critico.

    [Avrò ricordato di chiudere correttamente tutti i tag questa volta?]

  11. ‘Spetta un attimo. Prima dici […]

    Nell’adottare uno stile più colloquiale sono scivolato dal Lei al Tu. Me ne scuso.

  12. Affermare che Dijsselbloem abbia fatto quelle dichiarazioni per antipatia personale e non con un preciso intento politico-diplomatico e, temo, anche giuridico significa ritenere che egli sia un pivello e non un dirigente di alto livello: cosa che personalmente non penso di lui.Quanto alle altre obiezioni mi troverei a riscrivere ciò che ho già scritto irritandola ulteriormente.
    Comunque se le fa piacere pensare che io sia un grillino, prego faccia pure: me ne farò una ragione.

  13. Affermare che Dijsselbloem abbia fatto quelle dichiarazioni per antipatia personale e non con un preciso intento politico-diplomatico e, temo, anche giuridico significa ritenere che egli sia un pivello e non un dirigente di alto livello: cosa che personalmente non penso di lui.

    Non posso fare a meno di notare che lei sembra avere di Dijsselbloem un’opinione migliore di quella che su di lui ha Varoufakis ;-)

    Seriamente, se lei ha mai avuto modo di partecipare a riunioni di lavoro avrà notato come i disaccordi di natura personale tendano a rappresentare degli ostacoli di più difficile superamento di quelli di natura tecnica: da questo punto di vista una riunione di ministri delle finanze non è molto diversa da un consiglio di classe o un comitato direttivo. Nel momento in cui il presidente dell’Eurogruppo giunge alla conclusione, a torto o a ragione, che con Varoufakis è impossibile lavorare, chiederne la sostituzione è il passo logico successivo – è il non farlo che risulterebbe, per usare i suoi termini, Mascitelli, da pivello.

    Quanto alle altre obiezioni mi troverei a riscrivere ciò che ho già scritto irritandola ulteriormente.

    Non si preoccupi, addentrandoci nell’analisi l’unica mia predisposizione è la curiosità intellettuale.

    Comunque se le fa piacere pensare che io sia un grillino, prego faccia pure: me ne farò una ragione.

    Farsene una ragione è sempre un saggio atteggiamento. Ancora più saggio sarebbe forse coltivare la possibilità che le critiche avanzate dagli interlocutori possano essere valide.

    È comunque opportuno ricordare che io non giudico la sua persona, ma solo specifiche istanze di quello che lei scrive. La mia critica non è che lei sia un grillino, ma che l’articoletto da lei scritto contenga una buona dose di qualunquismo a malapena coperta da un velo di ironia. Ho cominciato (sarò arrivato ad un terzo del suo pezzo) ad articolare il mio giudizio su sua espressa richiesta.

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