Overbooking: Lorenzo Mazzoni

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di

Francesco Forlani

 

In uno dei più famosi saggi sulla letteratura fantastica, quello scritto da Todorov, Introduction à la littérature fantastique (traduz. it. La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, collana Gli elefanti, 2000) c’è un passaggio che riporta tra le varie definizioni  quella adottata da P.G.Castex, in Le conte fantastique en France (Paris 1951), «il fantastico si caratterizza per un’intrusione brutale del mistero nella sfera della vita reale».

Nel romanzo fiume di Lorenzo Mazzoni, Quando le chitarre facevano l’amore, (Spartaco Edizioni, 2015) accade esattamente il contrario: il fantastico si caratterizza per un’intrusione brutale della vita reale nella sfera del mistero. La sfera del mistero è la custodia di una chitarra, personaggio che oltre a dare il titolo al libro parla, racconta, evoca alla prima persona quello che è davvero essenziale in questo romanzo, ovvero come sia stato possibile il passaggio dal Finale di gruppo al Finale di un gruppo rispettivamente titoli del penultimo e ultimo capitolo.

La band è The Love’s White Rabbits, gruppo realmente esistito, davvero dotato di repertorio psichedelico, ma a Ferrara e non in un’oscura cittadina americana ma soprattutto senza un manager che sembra in tutto e per tutto, ma solo fisicamente, corrispondere al profilo di uno dei più ricercati e insieme meno noti criminali nazisti, ovvero il segretario di Hitler, Martin Bormann.

 «Lui è totalmente sconosciuto al popolo americano. In verità anche allora il suo volto non era poi così noto. Ci pensi, signor Portaleone. La gente generalmente si ricorda di quel depravato poliomielitico di Goebbels, del viso da ragioniere psicopatico di Himmler e della grossa faccia di Göering, ma chi può dire di conoscere davvero il viso di Martin Bormann?».

«E come è arrivato negli Stati Uniti?» leggiamo poco dopo. Questo più o meno si sa; quello che invece non sapevamo e che per una buona metà del libro scopriremo tra mille colpi di scena e di fucili mitragliatori M16, è che da angoli tra i più reconditi del pianeta, con storie e origini tra le più politicamente diverse e profondamente incorrect, ma soprattutto con moventi che vanno dalla giustizia politica alla vendetta sentimentale, un’ondata di personaggi, uno tsunami praticamente, converge su Anita, luogo in cui la band e l’ex criminale nazista tentano di far partire disordini, caos e anarchia. 

«Martin Weisberg (la nuova identità di Bormann) è stato visto ai convegni di Lake Villa, di Cleveland e San Francisco. Da fonti sicure mi è giunta voce che il nostro ragazzo sia il tramite fra la Mobilitazione nazionale e i gruppi della Liberazione negra».

Il senso della psicorivoluzione in atto ce lo suggerisce del resto la citazione presente nel nome della band protagonista e che tra letteratura e musica, Alice nel paese delle meraviglie e Jefferson Airplane, ritroviamo in una delle più celebri canzoni di questi ultimi.

« One pill makes you larger,
and one pill makes you small
And the ones that mother gives you
don’t do anything at all
Go ask Alice when she’s ten feet tall »

« Una pillola ti rende grande
e una pillola ti rende piccolo
E quelle che ti dà la mamma
in fondo non fanno nulla;
Domandalo ad Alice, quando è alta tre metri »

(White Rabbit, Jefferson Airplane)

 

Le parole seguono, le frasi inseguono Luigi Portaleone, Robert e Peter, José e Ramirez, Paco Ignacio, Cindy Johnson, Lolicia Smith, tutti diretti da una sola persona Martin Bormann, con una sola missione: ucciderlo. Così Lorenzo Mazzoni tesse una “reale” cartografia, vera e propria tela di ragno in cui i punti d’incrocio, Singapore, Guatemala,Tan Son Nhat, Houston, Berlino, Trieste, Los Angeles, New Mexico, convergono su quell’unico e misterioso luogo fondato da un garibaldino innamorato della donna dell’eroe dei due mondi, Anita.

FBI, CIA, Mossad, colpi di stato, rock band, in un sessantotto d’oltreoceano tanto immaginario quanto terribilmente reale, agitano i fili della storia che per quanto intricati non potranno mai competere per durezza e resistenza con le corde di una chitarra modello di Les Paul GoldTop serie 1957/58 e la storia che vorrà raccontarci, suonarci a patto che l’ascoltatore come lettore sia pervaso da tarab, art di farsi commuovere da gioia o da dolore, dall’incanto.

 

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017