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Pensieri & pensioni ( una bagatella)

di Giorgio Mascitelli

Giunto alla per certi versi ragguardevole età di anni ventotto, Guido della Veloira si trovò a passeggiare e a ponderare passeggiando il proprio avvenire. La diffusione delle famiglie mononucleari e l’ormai prossima definitiva estinzione di qualsivoglia forma di stato sociale rendevano assolutamente tempestiva la fondazione di una famiglia con prole numerosa, che una volta cresciuta avrebbe abbondantemente compensato i costi di svezzamento ed educazione coi vantaggi del numero di fronte ai singoli. Il fatto di tornare a essere un paterfamilias in una società tendenzialmente atomizzata sarebbe stato un prezioso asset nel suo portfolio di risorse aggiuntive che avrebbe potuto risultare addirittura vincente in ragione della sua controtendenzialità ed essere così premiato come il rialzista che annusa il ribasso venturo prima del gregge e come il salmone che risale per primo la corrente. Che la fine della previdenza sociale avrebbe generato famiglie numerose, questo lo prediceva anche fior fiore di algoritmi, anche se poi le addizioni e le sottrazioni quotidiane e/o mensili sembravano indicare l’opposto. Ma quest’ultima era solo della banale aritmetica.

Due i problemi che si frapponevano o sembravano frapporsi all’esecuzione del disegno: il primo, alquanto superabile tutto sommato, di trovare una giovane donna di vent’anni, ché non era cosa da primipare attempate, disposta a farsi ingravidare quattro, cinque o anche sei volte nel corso della sua unica giovinezza, che si fugge tuttavia e fugge alla grande, se non l’acchiappi e non la trattieni a viva forza fino agli anta, ma non a quei primi, ma a quegli altri o addirittura a quelli dopo, per tacere dei millanta;  il secondo, più annoso, era che lo stesso autore del progetto non era particolarmente entusiasta di esso perché la sua realizzazione cozzava contro l’attuazione di un paio di quelli che unanimemente erano considerati pilastri dell’autorealizzazione personale, senza i quali vita non poteva dire d’essere degnamente vissuta. Innanzi tutto  un’intensa attività sentimentale sessualmente appagante ed emotivamente impegnativa, che conducesse per via anatomica alla conoscenza psichica di sé e anche dell’altra,  delle altre, ma per la verità più di sé: l’ altra la si conosce già perfettamente dopo che le hai visto l’ombelico e dopo che l’ hai viste bere due negroni sbagliati di fila. Anche se pensionisticamente raccomandabile, diventare plurigenitore pagante era obiettivamente d’ostacolo al raggiungimento di questa condizione appagante, che presuppone tempo libero e spazi disponibili alla promiscuità seriale o contestuale.

Il piacere di viaggiare era l’altro pilastro ( e quasi ogni pilastro è un ordine), sia nella forma in minore più turisticamente immediata sia più nobilmente in quella del viaggio professionale sia nella suprema della fuga del cervello. E non v’è  dubbio che la famiglia numerosa sia stanziale e tenda alla stanzialità per costruire tutto il reticolo di contatti, posizioni, relazioni e abitudini che fan crescere & prosperare. Non ostava invece la fondazione della famiglia numerosa al terzo di questi pilastri ovvero al possesso, e alla maestria nel suo impiego, di tutta una fitta oggettistica elettronica che l’industria della valle del silicone metteva a disposizione per tutti i momenti della giornata del consumatore. E questo, si può dire, era l’unica ragione per cui non aveva ancora cestinato interiormente il suo proprio progetto.  Le rinunce erano sì gravose segnatamente verso il regime ( severo) delle sue aspettative,  ma sull’altro piatto della bilancia pesava il peso strategico di poter godere, di lì a trent’anni, di un’adeguata prole da schierare sulla scacchiera d’una società ormai divenuta campo di gioco di anziani orbi e bisognosi, di figli unici alla perenne ricerca di badanti,  di coppie non generative con l’orrore dell’invecchiamento, superando d’incanto la forca caudina del pensionamento.

Come si scrisse dianzi, Guido della Veloira passeggiava e passeggiando ponderava e siccome tale ponderazione ambulatoria aveva luogo in un luogo molto moderno quasi avveniristico, come la passeggiata tra la città della moda e piazza Aulenti a Milano, è probabile che l’avvenirismo di quelle costruzioni avesse ispirato l’avvenirismo dei suoi pensieri o viceversa. Il sentimento del desiderio e le ragioni del pensionismo, l’un contro l’altro armati, si scontravano in lui come due fratelli in uno scontro fratricida. Fu verosimilmente a causa di tale scontro interiore che, poco prima di giungere alla piazza, finì col pestare una merda di cane, la quale come una rosa recisa e puzzolentissima di città giaceva sul terreno. Era, infondo,  il minore degli inconvenienti che sarebbero potuti capitargli. Provò a sfregare la scarpa, ma non servì a nulla; cercò una pozzanghera, ma non ce n’erano; avrebbe dovuto togliersela con un fazzolettino di carta, ma l’idea gli faceva ribrezzo. Questa persistenza della merda, anche a non volerla considerare un’allegoria, inficiava indubbiamente il suo futuro, almeno quello immediato. Allora bisognava ponderare e lui ponderò. Ma essa non accennava a staccarsi dalla scarpa. Fu però un fantastico gioco di riflessi tra le pareti dei grattacieli, quando ormai si era già abituato all’odore, a riportarlo al suo solito umore.

 

 

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