L’ANOMALIA CHE DIVENTA STORIA (Balestrini & Parenti)

I furiosi di Nanni Balestrini nello spettacolo di Fabrizio Parenti

Di Angela Bozzaotra

 

Il turbinio di eventi narrati ne I Furiosi (1994) è una costellazione caotica che si anima attraverso le parole vive della lingua dei protagonisti. Un linguaggio ruvido e inframezzato da slang urbano e dialetto, che delinea un’epopea burrascosa istoriata da un barbaro cinismo, direttamente trascritto dall’autore Nanni Balestrini senza utilizzo di punteggiatura negli undici canti che compongono l’opera.

La spaziatura è l’unico “salvagente” a cui si aggrappa il lettore, immerso in un flusso di scrittura quasi beat, dove i fatti si susseguono mescolando la memoria autobiografica del narratore – di volta in volta diverso – alla storia ufficiosa dell’Italia a partire da fine anni Settanta fino ai tardi anni Ottanta.

L’anno di pubblicazione del romanzo è il 1994 – dunque siamo alla metà dei Novanta sul fiorire della meravigliosa Gioventù Cannibale e del post-Tondelli – ma il tempo della narrazione è anteriore; il racconto si svolge in prima persona (spesso utilizzando il “noi”) e si riferisce a un periodo già trascorso, ad avventure e disavventure oramai concluse. I protagonisti usano degli pseudonimi quali Zigolo, Falco, Picchio e si avvicendano quali cantori delle gesta compiute.

In un’atmosfera a dir poco steinbeckiana, in cui i microcosmi individuali di uomini umili si innalzano a imprese cavalleresche e goffamente eroiche attraverso l’operazione romanzesca, questi “eroi “ si raccontano senza censure, partendo proprio da una dichiarazione di identità. Alcuni di loro sono fuoriusciti direttamente dai movimenti studenteschi degli anni Settanta, si incontravano “nelle biblioteche” per disquisire in merito a quello che nella società non funzionava, colmi di una rabbia e di una repulsione che aveva urgenza di esternarsi. Non mancano le esperienze dirette o indirette di reclusione istituzionale: l’adolescenza passata presso un collegio educativo (i salesiani!), un fratello “ospite” al Carcere di San Vittore, e infine chi ha un amico (o due) rinchiuso nella comunità di San Patrignano. Il gruppo si convoglia nelle file della tifoseria estremista del Milan, quasi come ripiego, per ottemperare al compito di manifestare una presenza, e un dissidio allo stesso tempo. Fregandosene di essere sorvegliati, Picchio, Nibbio e compagnia si caricano di droghe per affrontare meglio le trasferte ammassati nei famigerati “lamieroni”, ovvero gli autobus adibiti alle trasferte delle tifoserie, onde evitare l’occupazione dei mezzi pubblici ; ectasy, cocaina e marijuana primeggiano nella loro lista della spesa; subentrerà successivamente l’eroina (droga di elezione degli anni Novanta) e si porterà via un buon numero dei loro amici.

Ma da dove arriva il nome “furiosi”? Al di là di un immediato riferimento alla furia e alla rabbia, di cui non sono affatto manchevoli, le quattro voci di Balestrini prendono il nome da un’impostura , il furtop  dello striscione della tifoseria cagliaritana, “I furiosi”, appunto. Con il pretesto di parlare di sport, delle partite – anche memorabili come il mitico match di Sheffield nel 1989 dove dedicano You’ll never walk alone ai tifosi del Liverpool, scena diffusa a destra e a manca dai media britannici e italiani – i protagonisti si imbucano in alcuni momenti topici della storia di quegli anni. Al concerto dei Rockets al Palalido di Milano il 25 Ottobre del 1978, ad esempio, durante il quale il gruppo blocca la band “perché fascisti”, o in occasione della manifestazione in via De Amicis a Milano del 1977, divenuta icona dei movimenti di fine anni Settanta grazie alla foto scattata da Paolo Pedrizzetti. Morti e feriti si lasciano alle spalle i “furiosi”, testimoni non troppo inconsapevoli di una storia ufficiosa (divenuta poi ufficiale) che si stava letteralmente scrivendo davanti ai loro  occhi, e di cui si qualificano antieroi minoritari, non protagonisti eppure presenti degli avvenimenti topici. Alle lotte del Movimento Autonomia Operaia loro c’erano, durante le occupazioni delle università altrettanto, eppure non vengono nominati nei libri, loro come tutti i coprotagonisti anonimi: solo uno pseudonimo e una schedatura al commissariato, magari qualche foto identificativa. Eppure non sono quello che sembrano; se nella rappresentazione teatrale avvenuta proprio nello scorso mese al Teatro India di Roma per la regia di Fabrizio Parenti, gli attori interpretano degli ultras alquanto naïf, recitando con una forte cadenza dialettale, ad un’attenta lettura del romanzo fuoriesce un’attenzione vivace e fervida da parte degli stessi verso gli avvenimenti di quegli anni, che hanno segnato, di fatto, il fallimento delle utopie e aperto la strada agli anni Novanta, gli anni del rifiuto e dell’azzeramento.

Non sono intellettuali, Falco, Picchio, Nibbio e Martino: sono degli “uomini di strada”, che attraversano il territorio come saette da una città all’altra, fraternizzando con gli altri ultras e con le altre meteore incontrate lungo il percorso. Preferiscono la violenza al nulla, la “merda” che consiste nel vivere di spaccio e di scommesse al lavoro impiegatizio; sono in fondo uomini liberi, che scrivono la propria traiettoria in un periodo storico in cui non esisteva ancora il Google I.D. che controllava ogni minimo spostamento, forse l’ultimo in cui era ancora possibile pensare a un ideale sovvertimento dei valori dominanti. Lo spettacolo  teatrale, sebbene didascalico, ha la funzione primaria di ri-portare alla luce il testo cult di Balestrini lasciando aperta l’interpretazione di quel periodo oscuro della storia italiana attraverso una narrazione che elide la barriera tra Storia ufficiale e vicende ufficiose, forse le più esplicative della realtà di quegli anni.

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I furiosi

tratto dal romanzo di Nanni Balestrini “I furiosi” adattamento Federico Flamminio, regia Fabrizio Parenti

con Giampiero Judica, Fabrizio Parenti, Alessandro Riceci, Josafat Vagni

La voce del prologo è di Nanni Balestrini scene e costumi Massimo Bellando Randone video Francesca Del Guercio foto di scena Achille Le Pera

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andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.