Da “Epica dello spreco”
di Laura di Corcia
3.
Che cosa si prova a non avere
più una mammella
da succhiare,
che cosa si prova a scoprire
che l’asfalto brucia la pelle?
Ricordo il mio stupore, da bambina,
che la bicicletta era una scuola dura.
Rimanevo a bocca aperta
sotto il cielo
prima ancora che nascesse la paura.
Le ginocchia sanno tutto,
conservano i segni, le scorticature.
Bisogna starle a guardare
con pazienza,
capirle a suon di carezze.
Che cos’è un ginocchio?
Un osso a punta,
che ti ricorda quel cielo
e tutto il resto che andava avanti
mentre tu eri ferma, infiammata.
Sappiamo tutti cosa c’è
sotto la pelle:
sputi e grida
Caravaggio e santi.
*
4.
Il lago ha questo vizio del colore pieno
(e del bosco; e del tonfo)
ha l’allegria attonita di una mosca contro il vetro.
Non è orizzontale,
ma di una verticalità che piomba, che srotola verso
lo zolfo, il terrigno del profondo nulla
che ci contiene e ci origina.
Così, in silenzio, ci dicevamo queste storie
contro le montagne alte, e molte altre
che erano diverse, ma consustanziate al lago.
È di queste appartenenze lontane
che si riempiono le cose.
*
10.
Lombardia è come un sogno di Purgatorio eterno
che a saperlo prima avresti scelto il male e l’Inferno
è un fiume che non vuole saperne di arrivare al mare.
Viviamo una storia inutile, senza sbocco:
è una ruota bucata che non si rompe mai
una preda che non hai voglia di inseguire.
Non è la fine che spaventa
ma la radura, il girotondo di certi sentieri.
*
24.
Non puoi pensare di averci capito qualcosa
se non ti rendi conto che sei vittima almeno di due vettori
che sei incastrata in un gioco di forze
e sei il risultato di un’osmosi, di un equilibrio
momentaneo, già pronto a tradirsi:
sei vissuta da fili opposti, catene
che tirano ognuna verso una specie di redenzione.
C’è da sperare con tutte le forze nel suicidio volontario (a volte capita)
o che uno diventi gregario, o ancora che quell’altro
muova un passo verso il primo (e idem il primo verso l’altro).
La cosa veramente importante è vedere questo gioco,
rifletterlo in trasparenza ed evitare di usare la parte per il tutto
nella guerra del mondo, non trasformare il vettore in persona:
non soccombere alla sineddoche, ma vivere tutto come riflesso
(sopportare il gioco degli opposti).
*
26.
So scavare negli scantinati a lungo con rigore e tenacia
e se ti dico che eh, sembra che faccia altro, tu non crederci:
sappi che questa che scava e scova sono io, è un’altra
che mi fa da contorno e non posso mai definire
ed è una specie di Laura sbrindellata che scava e scava finché non trova un mostro
a cui dire, dai fai schifo, dai faccio schifo:
(ma chissà perché non riusciamo a levarci dalla melma)
(che è coazione a ripetere, alchemica ossessione di trasformazione)
(ma che, intendiamoci, prima che il piombo si indori ne deve passare)
(non possiamo perdere tutto questo tempo con i perfezionismi)
(l’Inferno è il risultato del Paradiso, direi)
*
Laura Di Corcia, Epica dello spreco, Dot.com Press, Milano 2015.
Mi incanta la poesia 1 la sua forma leggera, una corsa nel mondo,
un piacere e un dolore,
un avventura nell’infanzia.
Una cicatrice.
ho una minuscola cicatrice sulla ginochia in forma di luna
quasi invisibile con gli anni
so che è li.
I versi più belli per me questi:
“Non è la fine che spaventa
ma la radura, il girotondo di certi sentieri”
V.
belle, Laura, belle dense di vita e riflessioni.
Gran bella poesia. Una voce autonoma, testimoniata da immagini originali e sempre potenti. Di questi tempi non è poco.