mater (# 2)

di Giacomo Sartori

 

come facciamo con le sedie

 

come facciamo con le sedie

ci tenevi tanto

a regalarmele tu

ma poi mancava il tempo

per andare a sceglierle

veniva la festa successiva

avevo altre urgenze

l’anno seguente ero  via

il Natale dopo ancora

mi faceva fatica

 

un po’ era anche

per non farti spendere

diciamola tutta

(anche le vecchie

accoglievano le chiappe

stando un po’ accorti)

 

ridevamo di queste sedie

che non arrivavano

né a Natale né mai

adesso come facciamo

è il mio compleanno

e il tempo lo avrei

(scegliere è niente)

tu però sei morta

(e i fratelli covano

l’eredità)

 

 

perché mi guardate?

 

perché mi guardate

tutti?

sei sbottata all’ospedale

insofferente anche

ai rituali della morte

 

 

portavi pezzi di pane

 

con le tue gambettine

dure e storte

portavi pezzi di pane

e di polenta

e altri avanzi

non sapevi bene a chi

tassi e volpi

magari un cervo

vicino all’alloro

rovesciavi il sacchetto

il pane secco lo tritavi

danzando sui talloni

con il corpicino cocciuto

di bimba decrepita

il giorno dopo guardavi

s’avevano mangiato

il genero disapprovava

non era bene

nutrire le bestie

vicino alla casa

allora smettesti

(o meglio detto

lo facevi di nascosto)

 

l’altra sera

ho svuotato anch’io il pane

di fianco all’alloro

mi sono ritrovato

a pestare i talloni

come facevi tu

danza in barba al cognato

e alle tassonomie

 

 

da dove veniva

 

da dove veniva

quella tua fibra tigliosa

di minuto mammifero

l’ostinazione a respirare

asma o non asma

a dilettarti sugli sci

e nei salotti

debiti o non debiti

poi con le forze residue

nelle poltrone dei cinema

in spedizioni sul prato

con passetti diligenti

sotto cieli come più vasti

battendo a carte

altri sopravvissuti

vincite e perdite

indignazioni e sarcasmi

ancora e ancora

parole e parole

smaniosi desideri minimi

una compulsione di esistere

 

 

perché non viene?

 

perché non viene?

hai chiesto al primo figlio

dopo la seconda operazione

perché non è ancora

venuto?

ti facevo aspettare

come sempre

 

 

la signora coi poteri magici

 

la signora coi poteri magici

mi stringe le mani

espelle dalla bocca

le tue parole di morta

a quanto pare

non hai trovato pace

non ancora

ma non ti lamenti

e ti scusi

ecco però che s’interpone

lo spettro di mio padre

brusco anche da defunto

dice ch’ha sbagliato

e anche lui si scusa

però m’ha amato

tiene a chiarire

(se non abbastanza

ci sono attenuanti)

poi torni in onda tu

come tamponando

un battibecco postumo

 

DSC_0657_rit2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6 COMMENTS

  1. Questo suo scrivere in colonna è una lama affilata che fa male, pur non smetterei mai di ringraziarla per avercene fatto partecipi.

  2. mi sa che l’adotto, questa sua definizione “SCRIVERE IN COLONNA” (io non so come chiamarlo, e ripiego su “proesie”, dove però c’è ancora troppo “oesie”, ho l’impressione); e beninteso con il motto che l’accompagna (deve essere come UNA LAMA AFFILATA!);
    quindi grazie

  3. la scrittura l’è on taja e medéga*** o almeno dovrebbe esserlo…

    *** antico proverbio lombardo lett. taglia e poi medica, strappa e poi rammenda

    ,\\’

  4. sì, proprio così Orsola! perchè in un certo senso tutta la materia, tutto il senso, sono già lì, nella lingua, e quindi gli interventi che ci restano da fare, che possiamo fare, sono in fondo limitati, e hanno un andamento di va e vieni (da questa trama dalla quale non ci è dato di allontanarci, e che senza che ce ne rendiamo troppo conto ci guida): tagliare, ricucire…

  5. anch’io le trovo bellissime, e questo andare a capo così (di quelle che ‘potrebbero’ essere frasi) è come un lamento lucido, un andare avanti e indietro come quando uno piange, e si fa compagnia solo col movimento.

  6. grazie Renata, e non sai come mi fanno piacere, che non è un “piacere egotico”, non è questo, le tue parole (come dire, è l’autore che è in me che è contento, io più che altro sono qui per assecondarlo, anche se certo sapere che non combina disastri mi rassicura; ma appunto lui invece ha bisogno di precise valutazioni da parte di gente competente, e ancor più quando si avventura in campi che non sono i suoi; mi spiego male, ma forse hai capito)

Comments are closed.

articoli correlati

inversioni rupestri (# 2)

di Giacomo Sartori Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore...

inversioni rupestri (# 1)

di Giacomo Sartori Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore...

dizionarietto dei tempi digitali

di Giacomo Sartori algoritmo s. m.: deus ex machina dei tempi digitali, che viene convocato per risolvere problemi inestricabili...

La staticità dell’assenza

di Mariasole Ariot   John Cage In a Landscape   La distanza che separa il voler essere dall’essere, questa sacca nera...

Il mio Antropocene

di Giacomo Sartori Sull’utilità pragmatica del concetto di Antropocene, e sulla sua propensione, così come è nato e viene propalato,...

La geografia della mia infanzia

di Giacomo Sartori Attorno alla vecchia villa dove vivevamo, la casa di mia nonna, c’era un territorio che era bello...