Passione per il western

di Ugo Cornia

La passione per il film western è un fenomeno che accomuna molti genii. Notissimo il caso di Ludwig Wittgenstein e di John Maynard Kejnes, insieme all’amico Pietro Sraffa, che grazie ai soldi di Wittgenstein avevano rilevato un piccolo cinema di Cambridge, dove proiettavano esclusivamente e continuamente i film western che poi andavano a guardarsi, mangiandosi dei sacchetti di carne di maiale fritta.

È invece molto meno noto che anche Dante Alighieri fosse un grande appassionato di Western, nonostante il fatto che a quell’epoca nella realizzazione di western ci fossero ancora molti problemi che rendevano il western un genere già molto promettente ma ancora totalmente imperfetto. In primo luogo c’era il problema degli indiani, perché c’era ancora un’immaginazione molto vaga di come bisognasse conciare gli attori che dovevano fare gli indiani: molto spesso gli attori che facevano gli indiani dovevano portare in testa strani cappelli di velluto molto piumati perché l’idea che un indiano si riconosceva subito dalle piume in testa si era già affermata, ma si pensava che ci volesse un cappello a cui fissare le piume, mentre l’idea di fissare le piume direttamente ai capelli sembrava troppo strana e campagnola. Anche il fatto che i cowboy dovessero avere delle armi da fuoco veniva risolta così: si usavano dei tubi di ferro chiusi in fondo in cui bisognava infilare un sassolino dal lato aperto e poi si dava una gran sbracciata col tubo, per imprimere gran forza al sasso urlando PAM PAM PAM. Se l’indiano veniva beccato dalla sassata per contratto doveva urlare “Ahhhh, muoio, per Manitu” e buttarsi per terra dal cavallo. Spesso gli indiani, che dovevano essere più arretrati tecnologicamente, tiravano le sassate a mano, senza il tubo di ferro. Quindi si iniziava a girare il film e cowboy e indiani iniziavano a inseguirsi in mezzo ai boschi facendosi degli agguati e urlando PAM PAM, PAM PAM PAM, tirandosi le sassate col tubo di ferro (se cowboy) o a mano (se indiani) e buttandosi giù dal cavallo se colpiti dalla sassata. Nel corso del film ogni tanto un indiano riusciva a uccidere un cowboy e a rubargli il tubo di ferro, allora si sedeva da qualche parte e si metteva a guardare i tubi di ferro per capire come funzionavano, ma spesso veniva ucciso da un altro cowboy prima di riuscire a capire come i tubi di ferro funzionassero.

La cosa che faceva imbestialire l’Alighieri, e che invece divertiva Cecco Angiolieri, che lo accompagnava spesso a Borgo San Lorenzo a veder girare i western, era che nei western delle compagnie che avevano un budget limitato quasi sempre gli indiani invece dei cavalli dovevano cavalcare degli asini o dei muli, molto meno costosi, mentre i cowboy montavano sempre dei cavalli. Dante diceva che non si era mai visto un indiano su un mulo, che era meglio a piedi. Infatti si era arrabbiato con Cavalcanti che al ritorno dall’esilio, visto che aveva bisogno immediato di soldi, aveva diretto un western a budget limitatissimo dove tutti gli indiani montavano asini. Gli aveva detto “Guido, non si è mai visto un indiano su un asino”, ma Cavalcanti gli aveva detto “non si è mai visto neanche un indiano” “Però i cowboy, che non si sono mai visti neanche quelli, come mai sono tutti a cavallo?” e Cavalcanti gli aveva detto che era stata la produzione a imporglielo, perché i western con i cowboy sui muli non li voleva nessuno.

Era stato per quel motivo che Dante, che da tempo abbozzava un western, indignato, aveva lasciato perdere e si era messo a scrivere la Divina Commedia.

 

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andrea inglese
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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.