mater (# 7)

di Giacomo Sartori

Eri bella mentre morivi

eri bella

all’ospedale

senza rossetti e fronzoli

senza plateali

parole

 

eri bella

avviata alla morte

priva d’attrezzatura

bramosa di concludere

(sobbarcandoti pur sempre

la lunga marcia)

 

eri bella

prima di morire

(basta ospedale)

davvero tanto bella

finalmente calma

finalmente assorta

(con una così

faceva voglia

ricominciare)

 

eri bella

finalmente leggera

nell’etere della morfina

leggera come una piuma

leggera come il tuo nome

stavi bene

e te ne andavi

 

eri bella

sballata e rilassata

senza più disprezzi

senza fingere interesse

senza esigere

d’essere finita

 

eri tanto bella

divertita e incantata

dalla recita privata

(danze certo di morti)

avevi vinto

(il dolore e le remore)

te la godevi

 

eri bella

gaia di meraviglia

sopra di noi

(restati tal quali)

coreografie di spettri

 

eri bella

tutta impegnata

a morire

senza più vezzi

d’autostima

senza moine

di scolaretta

solo concentrata

solo presa

 

eri bella mentre

t’uccidevamo

impenetrabile

come una statua

ma anche presente

incollata anzi all’istante

così si dovrebbe

solo in ascolto

di voci vere

 

eri bella da morire

mentre morivi

stregata dalle ombre

sopra le nostre teste

(viventi poco intriganti)

 

eri bella

mentre vegliavi

con scrupolo di principiante

e distacco di santa

le tregue del respiro

interminabili vertigini

simili a doglie

silenzi già di morte

ch’esplodevano

senza preavviso

in fragorose frane d’aria

(le ultime unghiate

della vita)

 

eri bella mentre

partorivi la morte

con la gioia sofferta

e altruista

d’ogni mamma

 

eri bella

arresa alla vita

(ch’è poi morte)

senza più bisogno

di dar prove

e aver riprove

solo nuotando

nel presente

 

eri bella mentre morivi

sparite le paure

la sete di conferme

le impazienze

restava la diligenza

di chi fa bene

lo stupore

d’un mondo nuovo

 

eri bella

mentre un rametto

si troncava

nel tuo torace

(tornato androgino)

e il vuoto dilagava

nel tuo corpicino

come cupa

lama d’acqua

(uno tsunami

nel retroterra)

 

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Ho tanta nostalgia di te

 

ho tanta nostalgia di te

declamavi al telefono

strascicando le vocali

su uno scivolo

surrettiziamente ironico

ma anche accogliente

 

 

Settemila lire

 

quand’ho cominciato

a guadagnare

(e niente male

questo è il punto)

hai proposto

che pagassi

per ogni pasto

(beninteso consumato)

settemila lire

(esentasse?)

come si chiede indietro

il dovuto

a un profittatore

ristabilendo giustizia

 

certo poi un’amica

t’ha fatto soprassedere

 

 

Sei ancora comunista?

 

sei ancora comunista?

mi chiedevi

 

non rispondevo

 

 

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Era una forma di premura

 

non mi dicevi

quando l’asma

ti scippava l’aria

(e la fiducia di farcela)

era una forma di premura

o forse di sprezzo

 

 

Presiedevi alle cene

 

presiedevi alle cene

mondane o familiari

insediata nel trono

a capotavola

con saltelli nevrotici

d’uccellino

tra gli alti braccioli

reginetta petulante

e capricciosa

(ma anche struggente)

di cartone animato

 

 

Parla più forte

 

parla più forte

non sento niente

mi dicevi

 

 

Volevi morire

 

volevi morire

per non dipendere

da infermieri trasandati

e estranei condiscendenti

per non tradire la filosofia

d’una vita

per disgusto dello sfascio

per il peso del vivere

 

volevi morire

per non dover morire

 

 

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4 COMMENTS

  1. Non sono riuscito a finire la più lunga, lacerante, tornerò più tardi. Me lo sono promesso.Oh avere tutte queste parole che privilegio, che inarrivabile privilegio Mater. Un saluto Andrea

  2. eri bella da morire. Ecco, non avevo dubbi che nel proseguire la lettura dei tuoi mater # avrei trovato sempre e ancora il mio mater. Quanto amore pur nell’odio si può ritrovare, @Giacomo Sartori, grazie!

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